A Rovito il capolavoro sovietico “Siberiade” in un’atmosfera “siberiana”

SIBERIADE, LA SAGA DELL’IMMENSITÀ

Come ogni anno anche nel 2016 il Cineforum “Falso Movimento” propone ai suoi frequentatori un evento speciale pensato e curato da Ugo G. Caruso.
L’appuntamento è per domani, domenica 17 gennaio alle ore 17.30, come di consueto, al Teatro Comunale di Rovito.
Il film proposto da Caruso è “Siberiade” (URSS 1979) di Andrej Končhalovski,

Viste le innevate montagne della Sila sovrastanti Rovito, è proprio il caso di dire che domani a Rovito l’evento speciale del capolavoro sovietico Siberiade si svolgerà in un’atmosfera… “siberiana”.

“Siberiade” è stato entusiasticamente salutato come un capolavoro al Festival di Cannes dello stesso anno di uscita, il 1979, dove si aggiudicò il Premio speciale della Giuria che, com’è noto, al netto degli accordi e delle mediazioni diplomatiche, il più delle volte viene conferito al vero vincitore morale, ancor più della stessa Palma d’oro.

“Si discusse a lungo allora – rievoca Caruso che ha un ricordo diretto delle polemiche di quell’edizione – della legittimità di quel verdetto che premiò con la Palma d’oro “Apocalipse Now” di Francis F. Coppola, nonostante il mutato finale rispetto ad una prima versione, ma che rimane a sua volta una delle più importanti opere cinematografiche degli ultimi decenni e, per quel che può valere, anche uno dei miei film preferiti”.

“Siberiade”, il cui sottotitolo è “Poema” ricostuisce attraverso una narrazione fluviale l’epopea di Elan, uno sperduto borgo della Siberia orientale, per circa settanta anni, dall’epoca zarista all’era brezneviana.

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Il film è la saga di due famiglie irriducibilmente contrapposte, i possidenti terrieri Solomin ed i proletari Ustazanin, questi ultimi dediti al sogno della costruzione di una grande strada che attraversi la foresta siberiana. Il sogno si realizzerà solo dopo la Seconda guerra mondiale e tutto il paese ne beneficerà con l’improvvisa scoperta del petrolio.

L’improvvisa ricchezza ricollocherà la Siberia nelle gerarchie del governo centrale di Mosca come l’Eldorado dell’impero sovietico. La torrenziale saga si snoda lungo l’arco di tre generazioni ed è divisa in sei capitoli. Kolossal senza retorica, affresco epico ma non celebrativo in cui si mescolano natura, violenza, passione (neppure una storia d’amore sul tipo di Giulietta e Romeo riesce a riconciliare definitivamente le due famiglie), politica in dosi massicce.

Končhalovski, fratello minore di Nikita Michalkov (che è a sua volta tra gli interpreti del film), puntava al riconoscimento ufficiale da parte del suo paese ma la nomenklatura di Mosca ebbe ad interferire più volte nelle riprese limitando la sua libertà artistica. Questi contrasti e la delusione che ne conseguì nonostante l’esito considerevole del film, indussero il regista ad emigrare ad Hollywood.

Dall’America Končhalovski dopo una serie di titoli di successo e di altri dal risultato controverso, tornerà solo nel 1994, in epoca eltsiniana, per girare “Asja e la gallina dalle uova d’oro”, ideale seguito di “Asja Kljacina che amò senza sposarsi” del 1967 (ma rimesso in circolazione solo nel 1988 per effetto della glasnost gorbacioviana), al fine di mostrare come era cambiato il paese dopo la caduta del regime comunista.

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“Siberiade” è stato accostato per la tematica a “Novecento” di Bertolucci ma alcuni scenari, come la Criniera del diavolo, la foresta che sovrasta il villaggio di Elan, evoca la Zona di “Stalker”, opera coeva dell’amico Tarkowskij, con il quale Končhalovski aveva lavorato da attore agli inizi della sua attività di cineasta. Ma il riferimento più aderente è semmai al primo ciclo di “Heimat” che Edgar Reitz girerà qualche anno più tardi e che sembra possedere lo stesso passo rapsodico in sincrono con la Storia.

Inedito in Italia, il film dura 200′, dunque la kermesse rovitese che prevede un intervallo è apertamente rivolta a cinefili di palato fine  ma allenati sulla lunga distanza. Tanta capacità di concentrazione sarà senz’altro premiata dalla straordinaria intensità di un grande poema visivo che come asserisce con sicurezza Caruso “reclama a buon diritto un posto importante e definitivo non solo nella storia del cinema sovietico ma in quello della cinematografia mondiale contemporanea”.