Anarcord: Cospito può attendere

di Eleonora Martini

Fonte: il manifesto

L’anarchico Alfredo Cospito è stato finalmente trasferito ieri in un carcere dotato di un centro di cura più adeguato alle sue ormai cattive condizioni di salute, dopo oltre tre mesi di sciopero della fame. Lo chiedevano numerosi appelli umanitari che da più parti si sono levati negli ultimi giorni affinché lo Stato dimostri di avere salde radici e lo sottragga alla morte. Purtroppo però il solo trasferimento non servirà a salvargli la vita perché non potrà essere sottoposto – per suo esplicita disposizione – ad alimentazione forzata. E «il Ministro della giustizia ritiene di non revocare il regime di cui all’articolo 41 bis», come ha fatto sapere Nordio a tarda sera.

Per alcuni siti anarchici la notizia è subito diventata che Cospito «è stato trasferito dal carcere di Bancali al Sai (Servizio di Assistenza Intensificata) interno al lager di Opera, a Milano».

SECONDO IL SUO LEGALE, l’avvocato Flavio Rossi Albertini, l’anarchico che dal 20 ottobre rifiuta il cibo per protestare contro il regime di 41 bis cui è sottoposto dall’aprile scorso «proseguirà lo sciopero della fame, su questo non c’è alcun dubbio, è determinatissimo. L’unica novità di questo trasferimento è che nella struttura di Opera hanno specialisti in grado di intervenire tempestivamente in caso di emergenza. Se vogliono il martire, lo avranno».

A decidere il trasferimento «a fronte di un quadro clinico in evoluzione, affinché il detenuto – che resta sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’articolo 41bis – sia ospitato in una struttura detentiva più idonea a garantire tutti gli eventuali interventi sanitari necessari» sono stati i medici dell’Asl di Sassari, come ha comunicato ieri il Guardasigilli Nordio poco prima di entrare nel Consiglio dei ministri dedicato in parte al caso. «La tutela della salute di ogni detenuto – ha affermato Nordio – costituisce un’assoluta priorità». Attorno al tavolo di Palazzo Chigi i ministri di Giustizia, dell’Interno e degli Esteri hanno informato la presidente Meloni, ciascuno per la sua parte, sia sul caso specifico del detenuto che riguardo le proteste e le azioni di sabotaggio che si sono moltiplicate negli ultimi giorni in Italia, in Europa e non solo, in suo nome (ma non in suo supporto).

GIORGIA MELONI un’idea se l’era già fatta prima di incontrare i suoi ministri: «Credo che lo Stato non debba farsi intimidire da chi pensa di minacciare i suoi funzionari», aveva detto poco prima. Da Nordio probabilmente ha ascoltato anche le novità contenute nell’istanza depositata in Via Arenula dall’avvocato Rossi Albertini per chiedere al Guardasigilli di revocare il 41 bis: una sentenza che scagiona Cospito dall’accusa di essere stato l’ispiratore di una supposta cellula insurrezionalista a Roma (v. il manifesto del 14 gennaio 2023). Il ministro ha tempo fino al 12 febbraio per pronunciarsi, ma per respingere l’istanza basta non rispondere.

Da Tajani la premier ha ricevuto l’informativa sulle iniziative adottate dalla Farnesina per «rafforzare la sicurezza delle sedi diplomatiche italiane all’estero». Perché, come ha sottolineato il ministro degli Esteri, «dobbiamo separare la vicenda personale, su cui è competenza del ministro di Giustizia intervenire, e la vicenda che riguarda gli attacchi». La stessa Farnesina sarà sottoposta a misure di sicurezza rafforzate, e sono stati disposti «maggiori controlli per quanto riguarda la protezione delle nostre sedi diplomatiche e consolari in tutto il mondo, soprattutto dove si temono di più rischi». «Certamente gli attentati di Atene e quello di Berlino e l’assalto al consolato di Barcellona ci preoccupano, ma con chi usa violenza il governo non è disposto a trattare, perché – sottolinea Tajani, strizzando il solito occhiolino ai sindacati di polizia – insieme alle violenze contro le sedi diplomatiche ci sono state quelle contro le forze dell’ordine a Roma, e questo è assolutamente inaccettabile. Non si può usare violenza contro le istituzioni e le forze dell’ordine».

INFINE, PER IL TITOLARE del Viminale il 41 bis in questo caso «è stato applicato ad un personaggio di discreta pericolosità, valutata tale dagli organismi competenti. Si tratta di una persona condannata in via definitiva per gravissimi reati», ha detto Matteo Piantedosi riferendosi però probabilmente solo alla condanna per la gambizzazione dell’Ad di Ansaldo nucleare, Roberto Adinolfi, avvenuta nel 2012 (la cui pena a 10 anni circa è stata già scontata da Cospito). L’anarchico si trova però ancora in carcere perché è stato condannato dalla Corte d’appello di Torino a 20 anni per i due ordigni scoppiati, nel 2006, a mezz’ora di distanza l’uno dall’altro di fronte alla caserma allievi carabinieri di Fossano. Per questo crimine la Cassazione ha riformulato l’accusa in strage contro lo Stato, reato che prevede l’ergastolo, e rinviato gli atti alla Corte d’Appello, la quale a sua volta ha sollevato la questione di costituzionalità sull’ergastolo – ostativo, in questo caso – comminato per un attentato che avrebbe potuto ma non ha prodotto vittime, né feriti. Alla Consulta però gli atti non sono ancora mai arrivati. Dunque il processo è fermo.

IL REGIME DI 41 BIS invece è stato firmato otto mesi fa circa dall’allora ministra Cartabia per evitare che i continui proclami rivoluzionari pubblici di Cospito venissero veicolati attraverso riviste e siti dell’area anarchica. Dopo il no del Tribunale di Sorveglianza, l’avvocato Rossi Albertini ha presentato ricorso in Cassazione contro il carcere duro cui è sottoposto il suo cliente: la decisione è attesa per il 7 marzo. I ministri riuniti ieri sera hanno rinviato «ogni decisione nelle sedi opportune». «Resta ferma la linea del governo – è quanto emerso dal Cdm – che non si farà condizionare dagli eventi esterni di questi giorni». Un rigore che tralascia – o forse la consapevolezza c’è – il fatto che il “martirio” di Cospito sarebbe esso stesso un “pizzino”, per così dire, e questa volta rivolto a chiunque sia disposto a riceverlo e a tramutarlo in azione violenta. Oltre al rischio che, come sostiene l’ex Guardasigilli Andrea Orlando, «la vicenda finisca per diventare un elemento di coesione per quella rete anarchica che si cerca di combattere».