Anche la procura di Salerno dice no alle querele temerarie della cupola di Cosenza

Sono anni che cerchiamo di spiegare ai tanti detrattori (che in quanto tali fanno finta di non capire perché “complici”, chi più chi meno, chi in un modo chi nell’altro, dei tanti intrallazzatori che finiscono nei nostri articoli) che spargono il loro veleno in giro accusandoci di “infangare” brave persone, che noi siamo vittime da tempo delle temutissime “querele temerarie”. Uno “strumento” utilizzato da chi, paventando una (insussistente) lesione della propria reputazione e facendo leva sul diritto alla tutela della reputazione stessa, sporge querela (o minaccia di farlo) al solo fine di intimidire o minacciare il giornalista. In quattro parole: i soliti marpioni ammanicati.

È chiaro che oltre alla temerarietà, spesso, il marpione, si assicura di far “arrivare il fascicolo” contenente la sua denuncia, sulla scrivania del giudice amico (leggi corrotto). Giusto per esser certi di non incappare in qualche giudice onesto che potrebbe non accogliere le sue richieste. Perché il risultato a cui aspirano è la condanna del cronista che ha osato scrivere quello che nessuno doveva e deve sapere, da usare come esempio e monito per tutti gli altri: ecco la fine che fa, e il prezzo che paga (magari con il pignoramento per risarcire la “vittima” della casa, della macchina, del conto corrente del cronista), chi osa scrivere su di noi.

E siccome in tanti, riferito ai cronisti, qualcosina da perdere ce l’hanno, prima di scrivere qualcosa sul marpione ci pensano tremila volte. E il risultato è raggiunto: un modo “legale” per mettere un bel bavaglio alla stampa.  Che funziona, però, solo se si hanno i giusti agganci in tribunale. Il ruolo del giudice in questo giochetto è fondamentale. E per meglio rendere l’idea vi proponiamo, com’è nostro costume, un esempio concreto. Potremmo scrivere decine di esempi di querele temerarie che abbiamo ricevuto e finite con un nulla di fatto per i marpioni, ma ne abbiamo scelto una in particolare che bene fa capire, anche a chi si ostina a far finta di non comprendere, che dietro questo “strumento” c’è sempre una combriccola di personaggi che si adopera per arrivare al risultato. Quando il “sistema” ha deciso che devi essere punito non c’è nulla che un normale cittadino può fare. Contro certa magistratura (pagata dai marpioni) solo un magistrato onesto e coraggioso può contrapporsi. Già, perché non tutti i magistrati sono corrotti. E questo lo abbiamo sempre sostenuto, checchè se ne dica. Anche perché di magistrati onesti ne abbiamo incontrati tanti nelle aule del tribunali, e non solo.

Noi abbiamo scritto di alcuni magistrati, non della “magistratura”. Abbiamo fatti i nomi di: Luberto, Spagnuolo, Granieri, Tridico, Cozzolino, Manzini, Valea, Petrini. Magistrati conosciuti da tutti, e sfidiamo chiunque a dirne bene. È sotto gli occhi di tutti, da 30 anni a questa parte, l’inefficienza della procura cosentina, nonostante i gravi reati amministrativi e massomafiosi che ogni giorno si “consumano” in città. E noi abbiamo raccontato quello che tutti sanno e che nessuno osava dire: alcuni pm e il procuratore capo della procura di Cosenza, si sono resi complici, spesso e volentieri, della solita e conosciuta classe politica cittadina impegnata a saccheggiare le casse pubbliche.

La procura cittadina non ha mai dato seguito all’obbligatorietà dell’azione penale, a fronte di pubbliche “notizie di reato”, contro i soliti marpioni cittadini. Eppure sul tavolo del procuratore capo di Cosenza giacciono da tempo denunce circostanziate, esposti, e notizie di reato, tutte con riferimento, anche documentale, sulle ruberie poste in essere, ad esempio, dalla passata amministrazione.

Non è mai successo nulla: nessuno ha mai osato aprire una inchiesta su questo. Ora il nuovo sindaco annuncia di portare le carte del debito del Comune in tribunale perché ha riscontrato gravi irregolarità (di natura penale) nella gestione delle casse comunali. Carte che il procuratore Spagnuolo ha già da tanto tempo sulla sua scrivania e che conosce benissimo, e che l’annunciata azione di Franz porterà definitivamente alla luce.

Ecco, questo noi abbiamo scritto: la verità che inizia a venire a galla. Cosa che ha offeso i succitati magistrati che hanno sporto querela nei nostri confronti. Ovviamente si sono dovuti rivolgere alla procura di Salerno. Tra di loro non poteva mancare il dottor Granieri, già procuratore capo a Cosenza, e protettore di Occhiuto e degli amici degli amici. Tutti i cosentini sanno questo. Non serve un processo per dire chi “mangia” e chi no a Cosenza. Esistono le verità storiche e quelle legate ai fatti. E qui “carta canta”.

Bene, Granieri ci ha denunciato a Salerno e per questo abbiamo riportato una condanna a 10 mesi di reclusione per aver offeso la reputazione del dottor Granieri. Una condanna che è arrivata nonostante la stessa procura generale avesse chiesto la nostra assoluzione. Cioè: il magistrato che in aula rappresenta l’accusa (in questo caso nei nostri confronti), ha chiesto alla Corte la nostra assoluzione: i nostri articoli per l’accusa non erano offensivi. Ma siccome la paranza di Granieri/Spagnuolo arriva ovunque, la Corte ha deciso di condannarci lo stesso, per “amore di appartenenza (alla stessa paranza)”.

È notizia di qualche giorno fa che la Procura Generale di Salerno, ha fatto ricorso in Cassazione contro questa sentenza, ritenendola non solo ingiusta, ma addirittura lesiva delle libertà di stampa e di espressione. Quelli che dovevano accusarci hanno preso le nostre difese, fino ad impugnare la sentenza in Cassazione (cosa rara). Ecco come funziona la Giustizia asservita al massopotere: la Procura Generale non ravvisa reati nei nostri articoli, ma la paranza dei giudici corrotti ha deciso che dobbiamo essere condannati per dare l’esempio a tutti. E noi contro questi non possiamo niente, se non sperare, ogni volta, di trovare in aula un coraggioso pm capace di porre un freno a questa aberrante stortura della Giustizia.

Queste le motivazioni della Procura Generale che chiede la nostra assoluzione.