Bella Bella, il pentito, l’assessore e l’ingegnere del Comune

Nei mesi scorsi abbiamo parlato di diverse figure che compongono le filiere dell’imbroglio e dell’intrallazzo. Personaggi chiave, senza i quali non è possibile, per malandrini e marpioni, produrre nessun maneggio.

Uomini e donne che, forti del loro ruolo istituzionale, e abusando delle prerogative in capo ai loro uffici, possono garantire la riuscita di ogni garbuglio. Perché la malavita locale, oltre ai classici reati (estorsioni, strozzo, droga e porcarie varie), da tempo si “nutre”, con la complicità di politici e di pubblici dirigenti, di denaro pubblico.

Lo abbiamo visto a Rende, Acri, Montalto, Marano, Castrovillari. Ma non a Cosenza. Almeno non in una inchiesta ufficiale. Affidamenti diretti per tutte le ditte amiche e appalti elargiti con ribassi ca mancu i cani, e soprattutto il “disbrigo” di pratiche di loro interesse: apertura attività commerciali, autorizzazioni, concessioni, licenze, varianti. Tutte pratiche che un cittadino normale, al Comune di Cosenza, può metterci anche 10 anni per portarle a compimento. Ma se sei del giro, e hai la bustarella pronta, tutto può risolversi in un batter d’occhio.

La storia che stiamo per raccontarvi, evidenzia, senza ombra di dubbio, la commistione tra il pubblico e la malavita. Siamo nell’era Perugini. Gli anni d’oro della premiata ditta Franco Ambrogio/Nicola Adamo. L’attività amministrativa in favore dei cittadini è pari a zero. Ma le pratiche che interessano i marpioni, viaggiano alla velocità della luce. Sprido a na lira. Contratti di appalto firmati in un nano secondo. Ovviamente di verifiche e collaudi sulla effettiva realizzazione del lavoro, come dice la legge, manco a parlarne. Nessuno mette il naso negli affari del cardinale Ambrogio. Le coperture di cui godono sono pesanti. Istituzionali e malandrinesche. Nessuno osa chiedere conto di questa o di quella pratica strana. Tutti firmano e passano le carte. Fino ad arrivare all’incasso. Tutto fila liscio come l’olio. Senza intoppi, né petri i punta.

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QUELLA MATTINA A PALAZZO DEI BRUZI

E’ una mattina come tante in Comune. Nei corridoi il solito tram tram di impiegati e dirigenti impegnati a sbrigare pratiche per gli amici. E’ il tempo dell’ascesa criminale dei Bella Bella. Il clan è guidato da Michele. Che si è conquistato i gradi sul campo. Colto, baldanzoso, garbato, deciso. E’ stimato e voluto bene da tutti. Il clan fa base nelle città vecchia.

E lì, Michele, ha intenzione di aprire diverse attività. Ma si sa che la burocrazia è feroce, e i tempi biblici. Così, come da prassi, si reca al Comune. Ad attenderlo c’è un assessore della giunta Perugini. Che lo riceve nel suo ufficio. Si conoscono bene. E vanno subito al sodo. Michele espone il problema: avere in tempi celeri tutte le autorizzazioni necessarie per aprire le sue attività. E l’assessore si mette subito a disposizione. Di tutta risposta, Michele, estrae una busta farcita e la consegna all’assessore. Il quale fa presente che tutto è in mano al solito ingegnere al quarto piano, e che bisogna incontrarlo. Ma non in Comune.

Così fissa un appuntamento nello studio privato dell’ingegnere. L’assessore, Michele e un altro picciotto oggi pentito, si recano presso lo studio. Entrano, salutano e si accomodano e l’ingegnere, al quale l’assessore consegna tutta la documentazione che interessava il Bruni, inizia a consultarla. Uno sguardo qui, uno là. E la risposta arriva repentina. Si può fare. Non ci sono problemi. Per te, dice l’ingegnere, questo e altro.

L’ingegnere fa capire che da questo momento in poi tutto passa per l’assessore, bustarelle comprese. Perché è poco salutare farsi vedere insieme. Michele saluta e ringrazia, e tutti vanno via. L’assessore, appena arrivato in Comune, dà subito disposizioni agli impiegati di istruire quelle pratiche alla velocità della luce. E gli uffici comunali si mobilitano, mentre la città langue. Tale episodio è a conoscenza sia degli investigatori della questura, sia di quelli dei carabinieri, e soprattutto è patrimonio probatorio della direzione distrettuale antimafia.

Una “testimonianza” chiara, verificata dagli investigatori attraverso il resoconto dei tabulati telefonici, di tutti i contatti avvenuti tra l’assessore, il picciotto pentito, e l’ingegnere. Nonché il Bruni. Raccontiamo questo episodio, perché vogliamo non ci siano più dubbi sulle commistioni tra ‘ndrangheta, politica e pubblici dipendenti, anche a Cosenza. Che come tutti i cosentini sanno, non può certo essere immune a questo. Contiguità che non si è fermata certo alla giunta Perugini, ma che è continuata con Occhiuto. Anzi con Occhiuto, raggiunge il suo massimo punto di splendore.

GdD