Brunori Sas a Roccella, altro che… “concertino”

Fonte: Il Max Factor-Il Blog di Max Passalacqua

«Sa la Madonna cosa c’entra Brunori col jazz», commenta un amico di Facebook quando posto una foto del palco di Roccella Ionica ancora vuoto in attesa del concerto del cantautore cosentino. Ineccepibile, nonostante il direttore artistico di “Roccella Jazz” Vincenzo Staiano si arrampichi sugli specchi in presentazione argomentando che, se diversi jazzisti gli hanno confidato di ammirare Brunori, significa che il Nostro è universale e quindi ci sta anche in un contesto solitamente di nicchia. Per di più – ci ricorda Staiano – è il primo artista calabrese ad avere l’onore della chiusura di un festival che negli anni, soprattutto quando si chiamava “Rumori Mediterranei”, ha portato in Calabria l’élite del genere. Ma l’élite vera, non per dire.

Per rendere immediatamente comprensibile la mia posizione al riguardo, cito la risposta che ho dato all’amico di Facebook: «Futtitinni» («frègatene», per i non siciliani). Perché se è vero che la musica è uno dei pochi, pochissimi ambiti in cui la distinzione di “genere” ha ancora un senso – al netto dell’arzigogolata definizione di crossover che ci confonde da una trentina d’anni – è altrettanto vero che la fame di note, di applausi, di cori, insomma di concerti ci fa… digerire facilmente anche degli abbinamenti non proprio ortodossi. Inoltre, la scelta di Brunori di anticipare la ripresa, anzi l’inizio del suo tour nei palazzetti (rinviato in primavera) con una serie di “concertini acustici” in location più appartate e minimaliste rendeva l’appuntamento di chiusura di “Roccella Jazz” un evento di quelli da non perdere.

E così in effetti è stato. Con al suo fianco la formazione pressoché originale della Brunori SAS (Dario Della Rossa alle tastiere, Massimo Palermo alla batteria, Mirko Onofrio ai fiati, Stefano Amato contrabbasso e violoncello, Simona Marrazzo ai cori) non si è limitato a un “concertino” ma ha riversato sul palco del teatro al Castello mesi di frustrazione e di incertezza (lui che sul tema dell’incertezza ha messo su pure uno spettacolo teatrale) scatenandosi in canti e balli come se di fronte, anziché i mille-milleduecento spettatori ammessi per le regole anti-Covid, avesse i diecimila che lo aspettano quest’inverno al Forum, al PalaEur, a Casalecchio o al Pentimele: molte date già sold out e pubblico che freme da mesi per riabbracciare il suo cantore.

Il problema principale per Dario Brunori classe 1977 da Joggi, frazione di Santa Caterina Albanese, sta proprio qui. Cip!, il suo quinto album pubblicato e gennaio e già premiato con il “Tenco” e con il disco d’oro (sulle orme del platino “incassato” dal precedente e strepitoso A casa tutto bene), sembrava infatti già ai primi ascolti un disco pensato per essere eseguito live nei palazzetti: cori e intermezzi ritmati un po’ dovunque, batteria in quattro quarti, arrangiamenti pop (it-pop, si dice ormai) e un filo narrativo ideale per intrattenere il pubblico fra un brano e l’altro. E hai voglia a dire che basta provare, e tanto; se non ti cimenti davanti alle folle non capirai mai la resa di una simile operazione.

Tanto che Brunori ha voluto cambiare qualcosa proprio nei pezzi tratti da Cip!, ben otto (con la struggente Quelli che arriveranno presente in scaletta ma non eseguita, con grande sollievo di quanti sono stati squassati dal testo scritto insieme ad Antonio Dimartino); via il ritmo pari di Capita così e Al di là dell’amore, ridimensionati i cori di Anche senza di noi e il “tiro” di Fuori dal mondo, curiosamente velocizzata Per due che come noi. E così, qualche passaggio è risultato ancora da affinare in termini di arrangiamento, così come la resa vocale dello stesso Brunori apparso poco sicuro specie sulle note alte, mentre nei brani più datati la collaudata SAS ha sostenuto alla perfezione il suo sforzo scatenando il (per niente compassato, che bella sorpresa) pubblico roccellese.

Inizio di concerto dedicato appunto a Cip! con cinque brani: Il mondo si divide Mio fratello Alessandro al piano, poi alla chitarra Anche senza di noi e i due singoli Capita così Al di là dell’amore prima di introdurre – con la solita tirata fake sul suo pubblico che purtroppo vuole sentire i pezzi vecchi, cosa che invece secondo me gli piace da morire – la canzone che ha cambiato la vita del cantautore calabrese: Come stai, anno 2009, singolo tratto dall’album d’esordio Vol. 1 vincitore del Premio Ciampi al “Tenco”. Come previsto, il pubblico si scalda e le successive Bello appare il mondo e soprattutto Fuori dal mondo, anch’esse tratte da Cip!, tengono alto il livello di coinvolgimento.

Tornato a sedere al pianoforte, Brunori regala una parentesi intimista con Un errore di distrazione (colonna sonora del film L’ospite di Duccio Chiarini, finalista ai David di Donatello) e LA canzone del nuovo disco, ovvero Per due che come noi, terzo singolo tratto da Cip! e la più “sanremese” – absit iniuria verbis – della produzione brunoriana. Sulla quale ho una teoria: trattasi di brano risarcitorio per Simona Marrazzo, corista e storica fidanzata del Brunori, che non doveva aver preso benissimo l’ultima strofa di Secondo me («Secondo me dato che sono diciott’anni che ci vogliamo bene / E che dormiamo insieme / A che ci serve un prete o un messo comunale / Se c’è una cosa innaturale / È doversi dare un bacio / Davanti a un pubblico ufficiale»).

Quindi ben cinque brani dal pluripremiato A casa tutto bene: subito, un po’ a sorpresa, Diego e io, scritta a quattro mani ancora con Antonio Dimartino e dedicata a Frida Kahlo, poi una Lamezia Milano un po’ sacrificata dalla veste acustica (che brano sfortunato: Brunori aveva realizzato un video con Neri Marcorè terrorista all’aeroporto di Lamezia, video che non è stato mai pubblicato a causa degli attentati che nel 2017 presero di mira proprio gli aeroporti), l’accoppiata per così dire “civile” L’uomo neroDon Abbondio e infine, per il “momento-brividi”, la splendida Canzone contro la paura, manifesto artistico e umano di Brunori nonché, manco a dirlo, mio brano preferito in assoluto del cantautore cosentino.

Il primo “regalo” al pubblico roccellese arriva al piano: dopo Kurt Cobain, strepitosa ballata che – giuro – non c’entra nulla con il compianto cantante dei Nirvana ma è una riflessione agrodolce sulla caducità e sul peso della fama, anziché seguire la scaletta con Quelli che arriveranno Brunori spiega di aver voglia di suonare un’altra canzone, Arrivederci tristezza che insieme alla precedente costituisce il cuore del bellissimo e fortunatissimo Vol. 3-Il cammino di Santiago in taxi (ci credereste? Aveva pensato di non farla!). Altra piccola sorpresa nei bis, con un’aggiunta non prevista e infatti suonata al pianoforte dal solo Dario: Una domenica notte, unico brano tratto da Vol. 2-Poveri Cristi e raro caso di canzone che ha dato il titolo a un film (diretto da Marco Albano nel 2013 con colonna sonora e perfino un cammeo del Nostro), pezzo delicato e disperato allo stesso tempo che Brunori, a mia memoria, non eseguiva dal vivo da un bel po’.

Il finale, come spesso accade ai concerti di Brunori, è la parte migliore e trascina il pubblico a cantare come in un falò, quello di Guardia ’82 che conclude l’esibizione. Ma andiamo con ordine: subito prima arriva La verità, il brano di maggior successo della carriera di Dario, disco di platino con 10 milioni di visualizzazioni su YouTube, che ormai sappiamo tutti a memoria e possiamo quindi cantare a squarciagola e senza vergogna. Secondo problema della serata: l’orario. Dopo poco meno di due ore di concerto, sono appena le 23,30 del 30 agosto e Brunori vorrebbe aspettare una mezzoretta per cantare Guardia ’82 quando è già il 31 (ormai diventato San Brunori nell’immaginario collettivo dei fan), ma la platea è impaziente e così «Il 31 d’agosto / C’è una storia che nasce / E un’estate che muore» arriva giusto un po’ in anticipo. Ma così è: finisce l’estate e finisce, in bellezza, “Roccella Jazz”. Darione tornerà nella sua Calabria il 14 novembre, al Pentimele di Reggio Calabria, data ancora non sold out e quindi ancora di più da non perdere.