Catanzaro. Ciconte, Comito e la “supposta”

Le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria sono ormai andate in archivio da due anni e mezzo e tutti – ma proprio tutti – avevano ampiamente capito che centrodestra e centrosinistra avevano un candidato da far vincere (Occhiuto) e una candidata-civetta (nel senso che guidava liste… civetta) ovvero Amalia Bruni.

Gli schieramenti in campo, del resto, almeno quelli che dicevano di concorrere per il sacco della Regione Calabria avevano molto di più di qualcosa in comune. Erano e sono costellati da una schiera di brutti ceffi, gli impresentabili, che si sono riciclati dietro un familismo osceno validato dalla Commissione Antimafia guidata all’epoca dal giullare Morra, oppure hanno applicato un codice etico scritto su fogli di Emmenthal, rigorosamente di produzione svizzero. E’ l’esercito della massomafia di centrodestra e di centrosinistra che cambiatosi di abito scegliendo quello della grandi occasioni, continua il suo percorso di occupazione della Calabria dietro i famosi “casati” della politica locale, dove l’unico stemma che possono esporre è qualche avviso di garanzia o se maggiormente titolati di sangue blu, un rinvio a giudizio.

I capitani di ventura di questo nuovo esercito senza colore, senza odore e senza nessuna dignità, vengono fuori come le lumache, figli di una politica corrotta come Roberto Occhiuto della famiglia dei cazzari cosentini o come Amalia Bruni, la scienziata di Calabria riconosciuta faccendiera della sanità. 

Se da una parte c’era Roberto Occhiuto che continua a presentare “la Calabria che l’Italia non si aspetta” suscitando l’ilarità generale dappertutto; dall’altra Amalia Bruni abbandonata la terza persona vicina a Dio, nel dare del tu ai calabresi, presentava “la Calabria SiCura”. Era un fatto di slogan, ci verrebbe da dire, utile per annientare le coscienze misurando chi la spara più grossa o chi ce l’ha più lungo, mentre la campagna elettorale procedeva in modalità stanca e con una opacità di fondo, diventando niente altro che un nuovo manuale, da studiare, della propaganda elettorale della nuova mafia di governo.

Il segno caratteristico e di comprovata riconoscibilità, da annotare sui documenti d’identità al pari dell’altezza e del colore degli occhi, è quello di essere ‘ndranghetisti per appartenenza, per frequentazioni e per selezione della servitù: quella tipicamente nascosta nei sottoscala e nelle cucine dei palazzacci della politica calabrese. Tutti fratelli di ‘ndrina con parentele “obbedienti”.

Superata la prima linea di fuoco, quello dello stato maggiore delle truppe, ed avendo sempre presente la qualità dei generali, la cui composizione è obiettivamente criminale in entrambi gli eserciti, anche con l’aggiunta di qualche camorrista campano, non serve molto per entrare nel cuore della truppa e sul suo valore magari dando anche un’occhiata allo scacchiere di guerra, che è sempre il regno della sanità calabrese, dove i singoli belligeranti hanno cercato di accaparrarsi un reparto, una corsia e, se serve,  qualche “pappagallo” anche usato.

Alla ricerca di un voto con valenza sanitaria tutto è lecito. Così alcuni candidati dal camice bianco hanno rincorso il consenso nei corridoi del Policlinico di Catanzaro, per i comuni mortali il Mater Domini, cercando di strappare un sorriso ed una promessa ad una flebo, ad incrostati pappagalli e, prestandosi al bisogno, anche alla riesumazione delle salme dall’obitorio aziendale. Quanto basta per strappare con i denti e la dentiera un pezzo di quell’oceano di voti che galleggiano nella sanità calabrese: il vero quinto centro siderurgico mancato nella piana di Gioia Tauro.

Tutto è lecito e poco importa se il pacchetto dei voti viene da voltagabbana che dal Pd sono approdati a Forza Mafia come Vincenzo Ciconte, l’immarcescibile presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Catanzaro; se i corridoi del Mater Domini sono diventati – in periodo di restrizione Covid-19 per i normali cittadini – un mercatino di virus di importazione vibonese e pacche sulla spalla grazie alla dispensa del commissario Giuliano, non a caso mandato proprio a Vibo dalla “restaurazione” di Occhiuto poco prima che Gratteri lo cacciasse per i falsi posti letto del Covid; poco importa se in questa trattativa all’ombra del giuramento d’Ippocrate si sono stretti patti di seggiola consumando un evidente reato di voto di scambio. Dovrebbe ben saperlo il candidato di Forza Mafia, Michele Comito, cardiologo e collega del fantasma dell’ex piddino Vincenzo Ciconte.

D’altronde era stato proprio l’allora procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri a gridare “erga omnes” il pericolo di infiltrazioni con figure fantoccio candidate dei feudatari impresentabili e, della possibile consumazione di reati monstre nella ricerca di un voto! Michele Comito è stato insensibile agli appelli e per un voto, ha consentito alla supposta di riprendere il suo viaggio controcorrente, come i salmoni, verso il suo naturale approdo

Lo stesso approdo che ci presenta il miracolo della bilocazione, sempre della supposta sia ben inteso, se c’è da garantirsi un’altra poltrona, è sempre questo l’unico pensiero di Vincenzo Ciconte, come risarcimento di un impegno elettorale ed al contempo la sottoscrizione di un reato penale. Poco importa, la nomina a futuro direttore generale dell’Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio meritava un brivido. Era questa la promessa di Forza Mafia e dei suoi generali con l’avallo del capo di stato maggiore fatta a Vincenzo Ciconte e sottoscritta dal candidato Michele Comito che è diventato al contempo beneficiario di un voto e complice di un reato.

I voti, a dire il vero, sono stati addirittura 13.000 e hanno dato parecchio all’occhio e ormai da un po’ è stato interrotto quel sussurro generale secondo il quale non si può toccare la ‘ndrina sanitaria perché aveva fatto favori proprio al fratello del procuratore, che è un medico e si chiama Santino.

Ma torniamo a Ciconte e alla supposta… Se questo era l’obiettivo futuro che restituiva residenza alla miracolosa supposta della bilocazione, poco importava a Vincenzo Ciconte se avesse dovuto anche fumare il calumet della pace con i suoi storici nemici catanzaresi: la ‘ndrina di Via dei Conti Ruffo a Catanzaro, dove già da tempo ha fatto cucù la Guardia di Finanza, la porta di accesso del cantone elvetico di Tallini e Parente. E così Vincenzo Ciconte, il consigliere smaterializzato di opposizione al Comune di Catanzaro, aveva siglato l’accordo fatto da Michele Comito e votato in abbinamento la “quota rosé”, Silvia Parente la rampolla della famiglia delle cliniche fasulle, dell’operazione Corvo e che garantisce “Ti fa stare bene” alla Calabria ed ai calabresi magari anziani e malati. Anche se alla fine non ce l’ha fatta, scavalcata da una donna più furba che si chiama “Fedele”… Che però a sua volta è stata superata dal ricorso dell’avvocato Talerico… che al mercato mio padre comprò. 

E la supposta? Beh, forse è anche superfluo, visti gli eventi, aggiungere dove sia andata a finire.

Questo è il quadro del consenso nel mondo oscuro della sanità truffata della Calabria, dove anche i “topini” con la Campanella diventano animali in via d’estinzione e dove la scienza applicata alla zingara della nicastrina difende la cognata Aquila Villella, con buona pace del codice etico e del bureaux di comando di Forza Mafia Catanzaro. E dove i vescovi fuggono con il favore delle tenebre… Sempre a futura memoria.