Calabria 2021. De Magistris: “La mia rivoluzione politica è portare avanti l’idea di bene comune”

di Saverio Di Giorno

Non passano nemmeno dieci minuti dal messaggio alla chiamata. Il tempo di liberarsi da quella precedente. De Magistris sta cercando di incastrare tutti gli incontri possibili per gettare le basi della campagna elettorale. È facile immaginarlo a rispolverare vecchi numeri di telefono e rinfrescare contatti. Mai del tutto persi, in realtà. In questi anni il sindaco di Napoli non ha mai reciso i suoi rapporti con la Calabria, ha seguito l’avvicendarsi degli eventi nonostante una parte di Calabria, il “sistema”, abbia provato a reciderli con lui.

Ed è da questi rapporti che parte la chiacchierata. Ha di recente incontrato Carlo Tansi, intento anche lui a saldare i ranghi, ma contemporaneamente hanno dato il loro appoggio Rifondazione Comunista e lo stesso Lucano. E il sindaco di Napoli è proprio a Riace “insieme ad altri amici”.

Quindi qual è l’obiettivo? Creare un unico grande fronte civico?  

“Sto percorrendo la Calabria, la sto risalendo, per incontrare amici o persone che stimo per la loro storia o per il loro impegno. Sono realtà con le quali vorrei accompagnarmi, sicuramente mi farebbe piacere” Insomma nulla ancora di definitivo, si studiano sguardi e intese”.

Ma la domanda che viene naturale è un’altra: nelle sue inchieste e poi nelle interviste ha descritto un sistema asfissiante, un controllo del territorio assoluto. Cosa gli fa pensare che ora ci sia spazio e forze per costruire altro? Il sistema è più o meno sostanzialmente ancora fermo là o no? Il bisogno che crea pacchetti di voti solidi è sempre in agguato e morde.

“La Calabria è un territorio che scelsi come magistrato, ma a cui sono legato per svariati altri motivi. Ho avuto modo di conoscerla bene sotto diversi aspetti e in questi anni l’affetto di molti cittadini onesti calabresi è sempre stato forte per cui sono convinto che le forze e le energie ci siano. Bisogna che qualcuno le raccolga in maniera credibile. La politica e la magistratura sono due terreni differenti e tali devono restare: quella che ora propongo è una rivoluzione politica, una rivoluzione nel modo di governare. Senza voler andare troppo indietro, in Calabria sono 30 anni che c’è una finta alternanza di forze, in realtà il sistema è unico e ruota attorno alla gestione della spesa pubblica. Controllare la spesa pubblica in Calabria, dove l’iniziativa privata è debole, significa controllare tutto. Una volta fatta questa analisi bisogna agire”.

E l’analisi non pare essere sbagliata. D’altra parte è proprio dalla gestione dei fondi pubblici che muovevano Why Not e Poseidone poi illecitamente sottratte. Ma ci potrebbe essere un altro ostacolo oltre alla mancanza di forze e potrebbe venire dalla stessa magistratura. Il sistema calabrese fa perno soprattutto su una parte di magistratura deviata. Quando indagò sulla Compagnia delle Opere, Saladino (poi prescritto) si rivolse ad Enza Bruno Bossio e Nicola Adamo, i quali si rivolsero ad un magistrato della procura generale. Gli allora giovani Lia e Facciolla impugnarono il decreto di proscioglimento. Visti gli ultimi fatti e quanto sta venendo fuori da carte inedite, ma dormienti, nelle procure il sistema è vivo e vegeto e colpisce e spesso ha colpito anche la politica con l’effetto però determinarne le sorti e non di scoprire magagne. Teme in tal senso?

“È vero, in Calabria c’è questo problema. La politica dovrebbe prevenire e la magistratura intervenire sulla patologia. Se però la commistione è tale, come è, di arrivare fino agli organi di controllo vengono meno gli stessi principi di uguaglianza. Si pone un problema di democrazia. È importante che la magistratura non diventi un ostacolo, non bisogna averne timore. Bisogna sostenerla quando agisce in maniera autonoma e lontana da centri di potere. Per fortuna in Calabria ci sono anche tanti magistrati onesti che lavorano sodo, magari in silenzio ma ce ne sono tanti. Io resto convinto che all’epoca arrivai al cuore del problema dove si trova politica, imprenditoria, magistratura e massoneria deviata. Se non mi avessero cacciato sarei arrivato fino alla fine”.

Il livello toccato nel 2007 da De Magistris resta un tentativo quasi isolato in quei termini. E poi bisogna confessarlo. Sentir parlare un candidato di poteri deviati con cognizione di causa è già qualcosa. Non avviene mai. Se non altro si pone nel dibattito e gli avversari per essere credibili dovrebbero rispondere sui temi e non sulla persona. Va bene l’amore per la terra e va bene anche la conoscenza e la passione che non mancano, ma se c’è una cosa che si contesta soprattutto alla seconda amministrazione De Magistris a Napoli è aver trascurato le periferie. La Calabria è come se fosse una grande periferia: cosa aspettarsi quindi?

“Sono contento quando mi si stimola sulla mia città. Io vengo qua non come chi ha finito i mandati e non sa cosa fare, ma come chi ha maturato esperienza nella gestione di una realtà complessa e soprattutto ha governato in maniera autonoma e senza forze criminali. Se mi chiede delle periferie le farò due esempi: l’abbattimento delle Vele e la bonifica di Bagnoli. Si potrà discutere ma sono occhi sulle periferie, non disinteresse. Potrei parlarle di quanto è stato fatto per portare avanti l’idea di “bene comune”, ma le do un dato, il 21 febbraio in una classifica Napoli era la città che è cresciuta maggiormente in termini di turismo e iniziative culturali e partivamo da strade colme di rifiuti. Non è il paradiso, questo no, ma di strada ne abbiamo fatta”.

Se c’è una cosa che manca in Calabria è proprio l’idea di bene comune. Quello che è pubblico o è di nessuno e nessuno se ne occupa o di chi lo occupa come fosse cosa propria sbattendo in faccia il privilegio. Chissà se dietro lo sguardo serio di De Magistris si nasconde un finto Masaniello come dice qualcuno o semplicemente un uomo appassionato. La Calabria non è mai stata terra di rivoluzioni come Napoli, la Calabria è terra di briganti solitari, di banditi e contadini duri che fanno fatica a fidarsi di qualcuno. Non a torto. Ma anche piena di gente che – a differenza di quanto si dice – ricorda (quello che sa) e conserva. La conservazione è la resistenza declinata in calabrese.