Calabria, capoluogo e rivolte: le quattro giornate di Catanzaro

Luglio 1970-luglio 2020. Sono iniziate da qualche giorno le celebrazioni per il 50° anniversario della rivolta di Reggio Calabria per il capoluogo di regione. Un evento fondamentale per capire la storia di ieri e quella di oggi. Anche noi ci apprestiamo a dare il nostro contributo di memoria e iniziamo tratteggiando il contesto con quanto scrive Francesco Forgione nel suo libro “Porto Franco” e con le cronache della prima rivolta in ordine cronologico, che era scoppiata per le stesse motivazioni, vent’anni prima, nel 1950, ma a Catanzaro e quindi a parti invertite. 

Boia chi molla

dal libro “Porto Franco” di Francesco Forgione

E’ una terra strana la Calabria, impervia e aspra sia nelle spigolosità della natura che in quelle degli uomini. Terra di banditi, scrivevano i viaggiatori che attraversavano il Sud tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento. Quelli arditi e coraggiosi, perché gli altri, per evitare rischi, se ne tenevano alla larga e appena arrivavano a Napoli si imbarcavano sulla prima nave diretta a Palermo.

Forse è tutta colpa del fatto che la Calabria è sempre stata una provincia, mentre i calabresi non hanno mai accettato di essere sudditi di regni che non sono mai stati loro: o erano regni di Napoli o delle Due Sicilie. La Calabria, almeno nei nomi, non esisteva mai. E quando alcuni come i vecchi briganti hanno provato a dire che non ci stavano, li hanno deportati in catene e sterminati in un bagno di sangue.

In questa storia lunga secoli è nato e cresciuto un odio verso ogni forma di potere costituito che non ha trovato pari in nessun’altra parte d’Italia. E’ lo stesso odio che, col tempo, si è trasformato anch’esso in potere, si è fatto contro-stato e alla fine, come un parassita, è diventato Stato nello Stato.

Poteva succedere solo qui, dove niente è così come appare, ogni cosa ha più facce o è almeno doppia, dai suoi mari, lo Ionio e il Tirreno, alle sue più grandi montagne, l’Aspromonte e la Sila. E persino il nome… Qualcuno ha mai sentito dire le Lombardie o le Toscane o le Ligurie? La Calabria sì, perché esiste quella Citra e Ultra, prima e seconda. Ancora oggi, percorrendo l’autostrada verso Sud, quando si arriva a Salerno e cominciano le code interminabili per i lavori in corso da sempre, si trovano le indicazioni che segnalano come percorso alternativo la SS 19 delle Calabrie. Insomma, c’è scritto pure sui cartelli, di Calabria non ce n’è una sola.

Figuriamoci se il 1970, con la nascita delle Regioni, tutto poteva filare liscio. Portare il nome al singolare era stato facile. Regione Calabria. Città capoluogo, invece, ce n’erano almeno due. E non è che i notabili democristiani e socialisti di Catanzaro e di Cosenza, che con i loro partiti reggevano il governo di Roma, si potevano sedere a tavolino e fottere l’unica città che nel suo nome aveva pure quello della Regione. Anche perché era chiaro a tutti che diventare capoluogo non significava solo mettersi un pennacchio, ma anche l’arrivo di tanti soldi, uffici, impiegati, lavoro. E voleva dire soprattutto avere la politica sotto controllo, con assessori e consiglieri regionali a portata di mano ogni giorno, perché, con la fame che c’era, problemi da risolvere e favori da fare ce n’erano davvero tanti.

Questo pensavano a Reggio Calabria, in quella calda estate del 1970, il sindaco della città, la gente della strada e i caporioni della rivolta che covava da tempo e stava per scoppiare. Dopo più di dieci anni di valigie di cartone e treni della speranza presi come carri bestiame per andare a lavorare nelle fabbriche del Nord, l’occasione non si poteva perdere e nessuno gliela poteva scippare.

LE QUATTRO GIORNATE DI CATANZARO

Ma prima di andare avanti col racconto della rivolta, è necessario un flashback, perché vent’anni prima un’altra rivolta c’era già stata e non a Reggio Calabria, ma a Catanzaro.

Il 25 gennaio 1950 i catanzaresi occuparono le piazze per rivendicare alla loro città il riconoscimento dello status di capoluogo della Regione Calabria. Fu l’inizio di quattro giornate di mobilitazione totale che portarono alla paralisi i servizi, con la chiusura degli uffici, delle scuole e dei negozi, e il fermo dei mezzi di trasporto pubblici. Furono giorni scanditi da manifestazioni imponenti, con comizi e cortei nei teatri e per le strade, alle quali presero parte migliaia di persone, in rappresentanza di tutti i ceti sociali.

La città era stata chiamata alla rivolta dopo che la commissione Affari Istituzionali della Camera dei Deputati aveva accantonato la relazione del comitato parlamentare che indicava Catanzaro come sede degli uffici regionali. La decisione di rimettere in discussione la scelta, rinviandola ad un futuro pronunciamento del Parlamento, era stata assunta dopo che i reggini avevano a loro volta dato vita ad accese manifestazioni di piazza svoltesi senza problemi per l’ordine pubblico. Fu invece a Catanzaro che il 26 gennaio i dimostranti si scontrarono con la polizia. Una carica della Celere, avvenuta davanti alla sede del Provveditorato regionale alle Opere Pubbliche, provocò 14 feriti. La contesa per il capoluogo della Calabria suscitò aspre polemiche che richiamarono l’attenzione dei mezzi d’informazione nazionali e un acceso dibattito parlamentare sull’istituzione delle Regioni. La protesta di Catanzaro fu soffocata dal venir meno del progetto regionalista, attuato solo negli anni Settanta, quando la rivolta divampò a Reggio. Il libro “Le Quattro giornate di Catanzaro” (Rubbettino editore) di Alessandro De Virgilio, bravo giornalista dell’Agi, ripercorre tutta la storia della rivalità fra le città calabresi, dall’Unità d’Italia al 1950, con cenni sulle prime ipotesi regionaliste diffusesi all’indomani dell’unificazione del Paese e racconta il nascere dell’antagonismo fra Catanzaro e Reggio con la promulgazione della Costituzione repubblicana.

“Questo puntuale lavoro di Alessandro De Virgilio – si legge nella prefazione di Pantaleone Sergi –, che ha il privilegio della scrittura giornalistica, immaginifica e descrittiva, associato alla tenacia della ricerca storica e al rigore del trattamento delle fonti, permette di ricostruire, mediante una lettura rispettosa, che ha una prospettiva neutrale ma non neutra, uno degli episodi più importanti e a lungo il più trascurato della recente storiografia politica, sociale e istituzionale della Calabria.

Parliamo della prima «rivolta» per il Capoluogo di Regione, quella che matura negli anni 1948-1950, quando fu Catanzaro a scendere in piazza – una fiammata subito domata dall’intervento repressivo ed eccessivo della «celere» come questo volume documenta – per rivendicare quello che riteneva un diritto acquisito de secoli e messo in discussione, cioè essere designata ufficialmente «capitale», come allora si diceva, del nuovo Ente Regione…”.

Il 25 gennaio 1950 la popolazione di Catanzaro fu chiamata allo sciopero generale dai rappresentanti del comitato cittadino costituito per affermare il diritto della città a vedere riconosciuto il suo ruolo di capoluogo della Regione Calabria. Un comitato parlamentare aveva indicato le ragioni storiche e geografiche che giustificavano tale designazione e le aveva illustrate in un’apposita relazione, denominata “Donatini-Molinaroli”, dai nomi del presidente del comitato e dell’estensore del documento. L’incarico al comitato parlamentare fu affidato dalla commissione Affari Istituzionali della Camera dei Deputati, alla luce della contesa che, con la promulgazione della Costituzione, opponeva Catanzaro a Cosenza e Reggio Calabria, ciascuna, con motivazioni diverse, candidate ad assumere il ruolo di capitale della nascente Regione. Tra Catanzaro e Reggio Calabria, in particolare, a partire dal 1947, si sviluppò un’accesa rivalità. I catanzaresi candidavano la loro città in ragione della sua funzione di capitale giudiziaria e burocratica esercitata da secoli, grazie alla presenza della Corte d’Appello e della maggior parte degli uffici decentrati dallo Stato, e della sua centralità geografica. Reggio, dopo l’accorpamento dei comuni del suo comprensorio, avvenuto negli anni Venti del Novecento, era la città più popolosa oltre che la più antica alla luce delle sue origini magnogreche ed era indicata, per il suo primato demografico, come principale centro della Calabria da diverse carte geografiche. Cosenza era stata la capitale dell’antico popolo italico dei Bruzi e vantava una certa vivacità economica e culturale.

La necessità di dirimere la contesa fra le città calabresi, che trovava un’analogia nella situazione dell’Abruzzo con la rivalità fra L’Aquila e Pescara, indusse la commissione Affari Istituzionali della Camera a incaricare appositi comitati, composti da parlamentari, di individuare i capoluoghi delle due Regioni. Nel corso del 1949 il comitato di indagini per la scelta del capoluogo della Regione Calabria effettuò una serie di sopralluoghi nella regione, visitando le città contendenti e le rispettive province, acquisendo documenti storici, geografici ed economico-sociali. Nel novembre del 1949, con la consegna della relazione Donatini-Molinaroli alla Commissione, il comitato giunse alla conclusione che, in base a parametri storici e geopolitici, Catanzaro fosse il capoluogo della Calabria. La decisione suscitò l’accesa reazione della popolazione reggina e dei suoi rappresentanti istituzionali, che diedero vita a manifestazioni di protesta imponenti.

Il timore di una rivolta nella città dello Stretto consigliò alle forze politiche un atteggiamento di estrema cautela nella gestione della vicenda, che richiamò l’attenzione della stampa nazionale e fu al centro del dibattito parlamentare sull’opportunità di istituire le Regioni previste dalla costituzione. Dopo alcuni mesi, la Commissione Affari Istituzionali decise di rinviare la decisione sulla scelta dei capoluoghi delle due regioni interessate al Parlamento. Di fatto, il lavoro del comitato di indagine e la relazione Donatini-Molinaroli furono accantonati.

La notizia raggiunse Catanzaro la sera del 24 gennaio 1950. Il 25 lo sciopero generale paralizzò il capoluogo, cui fecero pervenire il sostegno dei rispettivi comuni molti sindaci della provincia. I catanzaresi diedero vita, a loro volta, a manifestazioni, cortei e comizi a cui parteciparono migliaia di persone in una città in cui i servizi pubblici e tutte le attività rimasero bloccati. La mattina del 26 una folla attraversò la città protestando fino a scontrarsi con la Polizia davanti alla sede del Provveditorato regionale alle Opere Pubbliche. La carica della Celere fu violenta e provocò il ferimento di 14 persone. Alcuni dei dimostranti furono fermati.

I fatti di Catanzaro animarono il dibattito parlamentare e richiamarono in città gli inviati dei principali giornali nazionali dell’epoca. La violenza dell’intervento della Polizia fu criticata aspramente. Solo il 28 gennaio, quando il fronte della protesta cominciò a incrinarsi soprattutto a causa della presa di distanza della Democrazia Cristiana (il Pci e il Psi lo avevano fatto fin dall’inizio temendo che la questione del capoluogo fosse strumentalizzata dagli antiregionalisti) dato il carattere antigovernativo che la rivolta stava assumendo, il comitato decise la sospensione della mobilitazione. Nei mesi successivi il dibattito sulla questione andò scemando, fino a spegnersi quando fu chiaro che gli enti regionali non sarebbero più stati istituiti. Com’è noto, le Regioni furono attuate solo nel 1970. La designazione di Catanzaro come capoluogo della Calabria fece esplodere la rivolta, ben più estesa e radicale, a Reggio. La città fu segnata da lunghi mesi di guerriglia urbana che provocarono morti e decine di feriti. I giorni della protesta dei catanzaresi del gennaio 1950 saranno ricordati come le “quattro giornate di Catanzaro”.

Fu un «assaggio», a parti invertite, di ciò che accadde venti anni dopo a Reggio con quella che, molto frettolosamente, è passata alla storia con il nome di rivolta dei «boia chi molla», intestandola così agli eccessi di una parte politica, neofascista, ma che fu invece una rivolta popolare, forse anche populista e sicuramente violenta, motivata però dal mancato sviluppo socio-economico di una città che si pensava potesse arrivare dal conseguimento del «titolo» di capoluogo dell’istituenda Regione.