Calabria, c’è bisogno di un programma “verde”. A un anno da Civita un monito su clima e svolta ecologica

La crisi climatica dell’ecosistema terrestre e l’urgenza di una svolta ambientale del pianeta, assumono sempre di più rilevanza e centralità nel confronto politico ad ogni livello mondiale, europeo, nazionale, regionale e comunale. Anche in Calabria è maturo il tempo di produrre un programma regionale verde e di svolta climatica, chiamando tutte le energie intellettuali e morali, del sapere, del civismo, delle professioni, delle religioni e delle scienze a concorrere a un Alleanza Regionalista Verde e Ambientalista per il 2020.

di Vito Barresi

A un anno dalla tragica sciagura dove si è infranto il sogno buono dei Parchi Nazionali in Calabria, c’è l’urgenza di una riflessione. anche in vista delle imminenti elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale e la scelta di un nuovo Presidente della Regione.

L’importanza strategica della questione ecologica nella prospettiva della sicurezza umana si avverte ancor di più in Italia dove il tema della transizione da un vecchio ad un nuovo modello post fordista della fabbrica e dei campi, dei servizi comuni e del lavoro innovativo, dovrà assumere i caratteri più connotati ed evolutivi di una trasformazione manifatturiera, strutturale e infrastrutturale, a impatto zero, coerente con una politica di governo a sostegno della svolta climatica verde, sostenibile ed eco-compatibile.

Una nuova, ulteriore, “rivoluzione tecnologica industriale a impronta ecologica verde” è particolarmente attesa, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia.

Quasi fosse l’avverarsi di una impossibile, per quanto autentica, profezia millenaria, il Sud è chiamato ad affrontare uno straordinario tempo di rigenerazione demografica, territoriale, produttiva, comunicativa.

Con forze ed energie, risorse e disponibilità economiche evidentemente minori rispetto a un Nord del paese dove i processi di invecchiamento della popolazione e di più concentrata urbanizzazione che elimina l’infrazione geografica, la contraddizione ‘incivile’ delle campagne e del mondo rurale, si pongono in quanto questioni di assoluta immediatezza pragmatica di tutela socio-ecologica, cioè nei termini di una ecologia urbana che si deve tramutare nell’emergenza in una concatenazione di scelte politiche e amministrative, strumento principale di coesione e identità collettiva, anche come prassi e avveramento delle utopie divenute contingente realtà, quasi narrate nei suoi studi scientifici e analitici da Murray Booking.

Sebbene non si disponga di una banca dati sull’evoluzione del pensiero verde e dei programmi politici ecologisti nel Sud, vale a dire di informazioni ordinatamente raccolte e scientificamente catalogate che possano permettere letture dinamiche e non frammentate dell’insediamento “ideologico”, filosofico e politico di questo movimento politico, da cui dedurne inferenze logiche e conseguenze comparative circa l’accoglienza, l’apertura o il rifiuto, fino all’ostilità verso il paradigma ambientalista nel tessuto pubblico socio comunitario e politico meridionale, tutto ciò che sappiamo dai dati empirici, dalle storie e dal vissuto ambientalista meridionale, cioè da alcuni studi, inchieste e rapporti relativi alle origini, la formazione di un consenso elettorale e l’articolarsi organizzativo, in breve sul radicamento politico, sociale, istituzionale e culturale in una prospettiva storica dei movimenti ambientalisti e dei Verdi del Sole che Ride nel Mezzogiorno d’Italia, risulta comunque particolarmente utile riconsiderare, con un apposito piano di ricerca, le dinamiche insediative e le linee evolutive dei Verdi in una regione alla periferia dello sviluppo europeo, la Calabria, in un ben definito arco temporale che va dal 1980 fino al 2020..

La mia ipotesi di ricerca (e, dunque, di conseguente impegno civico, politico e regionalista), è che la linea interpretativa del fenomeno ambientalista nel Mezzogiorno d’Italia, va inserita nel quadro storico del regionalismo degli anni ’70 e ’80, allorquando quella ‘ideologia regionalista’ abbia costituito il principale ostacolo, anzi il nemico capitale numero uno, che ha impedito la diffusione dei programmi e dei progetti Verdi, le cui basi cognitive, calate in specifici programmi politici e amministrativi locali, furono considerate e combattute in quanto antitetici e antieconomici rispetto alla programmazione centralista, dirigistaì e statalista.

Pertanto l’esordio dei Verdi del Sole che Ride venne inteso in quanto antagonista a uno sviluppo regionale pianificato in base a investimenti strutturali e infrastrutturali, di opere, cemento, modificazioni territoriali degli eco sistemi, ecc. che i vari governi, in sede nazionale, e soprattutto la Comunità Europea attraverso i primi programmi operativi, avevano varato per l’attuazione di una gigantesca programmazione europea a raggio regionale (strade, autostrade, dighe, modificazioni antropoecologiche degli habitat fluviali, lacustri, marini, portualità, industrializzazione pero carbonifera, ecc. ) nelle regioni del sud, in special modo in Calabria.

Per questo l’avvento delle prime Liste Verdi del Sole che Ride venne avversato, pesantemente contrastato, talvolta persino dalle stesse associazioni ambientaliste, molte delle quali erano in combutta e/o in diretta filiazione organizzativa e funzionale con gli stessi partiti della ‘prima repubblica’ che detenevano il potere di comando di governo, il controllo del regime e anche dell’opposizione democratica, nel Paese e nel Sud.

Ora che molte cose sono cambiate, anche in una regione ai margini del ritmo di cambiamento e di sviluppo dell’Unione Europea, adesso che il punto di rottura può determinarsi nella svolta climatica ed ecologica, davanti alla frastagliata spaccatura con il passato, dolorosamente rappresentata dalla tragedia di Civita e del Raganello appare possibile cominciare a lavorare alla definizione di un programma politico verde e regionalista, che dia sostanza ad un Alleanza verde e Regionalista 2020.