Calabria corrotta, chi c’è dietro la “Fondazione Magna Grecia”?

La Calabria è da sempre il far west della legalità, dove tutto è possibile e dove tutto si ricollega sempre alla società che conta, quella ‘ndrangheta pervasiva che ha costruito relazioni e collegamenti con la società cosiddetta civile, attraverso la quale esercita il suo potere prevalentemente finanziario ed inquina la democrazia.

In questo schema esportabile nel territorio nazionale c’è un buco nero, il braccio armato del politico rampante di turno o del partito più in voga con annesso codazzo di balordi, quel grigio universo che si materializza attraverso le cosiddette “fondazioni” politiche, il mare magnum dell’illegalità conosciuta ed accettata da tutti che, né la legge di riforma approvata dal Parlamento, né la legge spazzacorrotti modificata con il decreto crescita sembra abbia messo ordine in quello che resta un ambito scivoloso ed al contempo pericoloso. Il far west resiste e si consolida fuori dalla presunta azione di riordino, quel traballante canovaccio di norme e di controlli, partorito già con le armi spuntate.

Le recenti vicende giudiziarie sulla Fondazione Open legata a Matteo Renzi ed al giglio magico ci fa capire che siamo di fronte ad una legge inefficace e mutilata, perché i nuovi obblighi di trasparenza in capo a partiti, associazioni, comitati e fondazioni politiche sono numerosi mentre resta deficitaria la dotazione umana per la commissione prevista al controllo. Nei fatti un organismo, la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, inesistente che non riesce in alcun modo a scavare negli intrecci che giustificano ed alimentano il proliferare delle “fondazioni” quale braccio armato della politica opaca e sempre corrotta.

La Calabria non è mai da meno nel processo di contro-riforma della politica e nel presupposto di chiarire i contorni ed il perimetro del fiume di denaro che finanzia una certa politica. Non lo è per la sua tradizione storica, culturale e sociale che abbraccia spesso, molto spesso il mondo di mezzo, quello che ha nella ‘ndrangheta finanziaria e non più stragista il suo referente principale, tanto che nei fatti anche la politica diventa la lavanderia del denaro delle cosche e della loro presenza nelle stanze di comando.

In questo ragionamento troviamo la “Fondazione Magna Grecia” quello che viene definito come un ritrovo esclusivo, un “think tank” molto gettonato, corroborato da un flusso di danaro pubblico a volte lecito e privato, occulto e discutibile. Un serbatoio di pensiero obliquo ed inquinato nei rapporti tra fondazione ed i soggetti finanziatori, definibile come un articolazione di partito politico che mette a disposizione di parlamentari o ex, carte di credito e bancomat, con l’aggravante di una provenienza assolutamente illecita di proventi afferenti al mondo della ‘ndrangheta.

A capo della Fondazione Magna Grecia troviamo Nino Foti,  un trombato tra i soliti parlamentari della vecchia Forza Italia o meglio Forza Mafia, il quale è un arnese senza voti che però smercia influenza politica e consistenza elettorale senza avere né l’una, né l’altra.

Agli inizi degli anni 2000, Nino Foti definito “signorino grandi eventi” circolava come consulente, profumatamente retribuito – e cchi pensati gratis? – nei gruppi parlamentari europei di don Silvio Berlusconi “vasamu i mani”, per poi passare alla corte come “consigliori” di Scajola “sciaboletta”, quando questi era Ministro delle Attività Produttive nel Berlusca ter.

Di lì coordinatore provinciale di Reggio Calabria di Forza Mafia, quando la tavola era apparecchiata da Peppe dj, che non faceva “toccare palla” a nessuno, da buon fascista e uomo duro, però tutto facciata e solo chiacchere visto che i distintivi li detestava e li detesta anche considerando la fine che ha fatto.

Ora Nino Foti “signorino grandi eventi”, organizza per tramite della Fondazione Magna Grecia simposi mirabolanti con ospiti di grido, riflessioni ridondanti e cornici eclatanti.

Certo, chi paga è la Fondazione Magna Grecia, ma i “picciuli” da dove vengono? Chi controlla queste spese faraoniche di impiegati, collaboratori ed i conseguenti rimborsi spese?

Siamo nella terra di nessuno consolidata da una produzione legislativa pomposa la cui applicazione concreta è ridotta all’osso, tanto da pensare che in fondo vada bene a tutti così! Fatta fessa la legge e coglionato il popolo, al quale si trasmette il messaggio rassicurante, “le leggi ci sono!”, ma la loro applicazione va a rilento e si impasta nel terreno della complicità e della connivenza: il solito vizio italiano. Si ripropone, con protagonisti in parte diversi ma dinamiche sempre uguali a se stesse, il grande vulnus della democrazia italiana: il buco nero del finanziamento pubblico ai partiti, abrogato dal referendum radicale del 1993 sull’onda di Tangentopoli, quello che in Calabria assume connotazioni di maggiore preoccupazione, perché chi finanzia, nove volte su dieci, è sempre la ‘ndrangheta attraverso le sue articolazioni territoriali.

E’ per questo che uno che come lui, il signorino Nino Foti che viene da Reggio Calabria, con il suo fare equivoco e sibilante, non la conta giusta per come si muove, dando a intendere a tutti, anzi ostentando al mondo intero, di godere protezioni altolocate, da parte dei settori dello Stato, con fare arrogante, quasi fosse il Luttwak dello Stretto. La dicesse tutta almeno una volta sola!

Un consiglio agli “illustri” ospiti della magistratura che sono il parterre royale dei grandi eventi di Nino Foti e cioè di fare attenzione, poiché il loro anfitrione dalle dubbie frequentazioni e dal portafoglio troppo ricco, li propaganda quasi al limite del millantato credito: sono compiacenze, oppure irriverenze?