Calabria e massomafia. Locri 2006, il sistema perverso per arricchire i boss della sanità privata

Senza memoria non può esistere futuro. E allora, se vogliamo davvero capire quali sono i mali della sanità in Calabria – anche alla luce dell’ultima clamorosa vicenda di corruzione all’ospedale di Locri – è più che mai opportuno fare un salto nel passato, alla genesi del commissariamento, per farci un’idea della situazione e per arrivare alla fin troppo facile conclusione che, nella sostanza, ben poco è cambiato. Nonostante nel ruolo di commissari si siano alternati generali dei carabinieri, burocrati, boiardi di stato e ora un parassita presidente di Regione eletto con i voti della borghesia mafiosa. 

Quella che vi proponiamo in una serie di pubblicazioni è la parte dedicata a “Sanità e corruzione” della relazione della #Commissione #Parlamentare #Antimafia del 2008, quando era presidente Francesco Forgione. L’ultimo vero presidente della Commissione Antimafia, che poi è stata affidata a soggetti del tutto inaffidabili come Rosy Bindi (arrassusia) e Nicola Morra (Diocenescansi). 

PRIMA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/sanita-buco-nero-della-calabria-la-genesi-il-caso-crea-centrodestra-e-centrosinistra-nessuna-differenza/)

2. 1987. Taurianova e Locri: le prime USL sciolte
Con due decreti datati 15 aprile 1987 il Presidente della Repubblica stabiliva lo scioglimento delle USL di Taurianova e di Locri. La situazione era arrivata ad un punto di non ritorno. Le relazioni che accompagnavano il decreto erano firmate da Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca ministro dell’Interno. In modo molto eloquente, seppure sintetico, era descritto quanto era accaduto a Taurianova e a Locri. Ne risultava un quadro davvero desolante ma nello stesso tempo illuminante delle ragioni di fondo che avrebbero permesso alla ‘ndrangheta di dominare quelle realtà.

A Taurianova il presidente del comitato di gestione assumeva direttive ed iniziative “illegittime” e aveva “da tempo informato la propria azione a criteri arbitrari e clientelari. Alla condotta del presidente del comitato di gestione dell’unità sanitaria locale che è stato più volte colpito da gravi condanne penali per fatti connessi alla sua qualità di pubblico ufficiale, ha fatto riscontro, in perfetta unità d’intenti, l’operato non meno illegittimo ed arbitrario degli organi collegiali dell’unità sanitaria locale, i cui provvedimenti – a citare i più salienti – in materia di fornitura, di acquisti, di assunzioni e carriera del personale sono stati adottati con la violazione di ogni procedura amministrativa, con la persistente trasgressione delle norme contabili”.

Ancora più pesante la situazione dell’Usl di Locri dove c’era “un retroscena amministrativo caratterizzato sostanzialmente da ingerenze di tipo mafioso, lottizzazioni ed irregolarità gestionali di ogni genere. La situazione trova così origine nelle numerose azioni di stampo mafioso commesse da componenti dell’unità sanitaria locale e rivolte ad acquisire profitti illeciti con inevitabili danni per la stessa gestione dell’ente. Il condizionamento mafioso si è estrinsecato, oltre che con atti di violenza intimidatoria nei confronti di persone interessate alla gestione dell’unità sanitaria locale o comunque orientate a denunziare le disfunzioni amministrative, anche nello svolgimento dell’attività amministrativa riguardo alle certificazioni richieste dalla legge antimafia per gli appalti di opere pubbliche, e per le stesse assunzioni nell’ente, condizionate dall’appartenenza ad associazioni di stampo mafioso”. A completezza della situazione c’è solo da aggiungere che il presidente era stato tratto in arresto e i membri del comitato di gestione erano stati raggiunti da comunicazioni giudiziarie

3. 2006. Locri, il secondo scioglimento
A distanza di venti anni da quei fatti, la relazione Basilone, 122 desecretata nel febbraio 2008 su iniziativa di questa Commissione parlamentare, mostra come i fenomeni degenerativi presenti nel 1987 negli anni si siano aggravati, diventando normalità di relazioni interne e metodologia permanente di gestione. L’A.S.L. n. 9 di Locri al momento dell’accesso della Commissione aveva 1.630 dipendenti e 366 medici esterni convenzionati.
Secondo la relazione le attività dell’A.S.L. sono state fortemente condizionate dal tessuto socio-economico e dalle pressioni della ‘ndrangheta. Sull’amministrazione sanitaria “si sono concentrati gli interessi della criminalità e perpetrata una diffusa compressione, se non una forte intimidazione, dell’autonomia dell’ente.

Ne è conseguita un’attività dell’amministrazione sanitaria non sempre ispirata ai criteri di buon andamento e di imparzialità, ed anzi spesso ben lontana dalla applicazione delle regole di giusto procedimento di legge perché soggetta alle pressioni che ne hanno compromesso il regolare funzionamento. In generale tale compromissione è risultata evidente proprio, e non a caso, nei settori della spesa e quindi dell’utilizzo delle risorse economiche pubbliche”.

Il sistema perverso era individuato in particolare in alcune pratiche amministrative che mostravano un discutibile approccio alla gestione dei fondi pubblici. Ad esempio, per gli accreditamenti delle strutture private “si è assistito ad un diffuso e sistematico sforamento dei tetti di spesa, che non solo ha determinato un dilagante fenomeno di indebitamento sommerso (rapporto tra prestazioni pagate e prestazioni realizzate a carico del sistema sanitario) della A.S.L., ma che al contempo ha comportato indebiti vantaggi economici da parte di strutture private i cui soci sono risultati spesso interessati da precedenti penali o di dubbia moralità”.

Dunque, sin dall’inizio la Commissione individuava un punto cruciale nella gestione delle pratiche amministrative che svantaggiava la sanità pubblica e favoriva la sanità privata, con interlocutori che quando non erano diretta espressione delle cosche, erano collocabili in una zona di frontiera con i loro interessi.

Nel solo anno 2004, innovando precedenti prassi di contratti bilaterali l’A.S.L. aveva stipulato contratti multilaterali con 27 diverse strutture private. Per ciascuna struttura avrebbe dovuto acquisire la relativa certificazione antimafia. Ma le certificazioni non erano inserite nel procedimento perché mai, in nessun momento, erano state richieste dall’amministrazione dell’Azienda.

Così, nel quadriennio 2002-2005 sono state riconosciute prestazioni di servizi – tra l’altro per importi rilevanti e superiori al previsto – che in presenza della certificazione antimafia prevista dalla legge sarebbero state precluse.

Alcuni esempi di rapporti con strutture esterne sono eloquenti e soprattutto spiegano quanto è accaduto.
Società Medi-odonto-center con sede a Gioiosa Ionica. L’amministratore unico della società era Domenico Tavernese. Era stato arrestato nel 1993 “per il reato di associazione di tipo mafioso, estorsione ed usura”. Il procedimento penale aveva coinvolto anche appartenenti alla famiglia mafiosa degli Aquino la cui base di attività è il comune di Marina di Gioiosa Ionica. Alla fine delle sue traversie giudiziarie Tavernese è stato condannato per il reato di usura. La relazione “Basilone” dava conto anche delle frequentazioni, andate avanti fino all’ottobre del 2005, dell’amministratore unico con esponenti di vertice della cosca UrsinoMacrì legata agli Aquino. “È da sottolineare la sostanziale inerzia della A.S.L. che in seguito alla sentenza divenuta irrevocabile, di condanna, non ha mai verificato la sussistenza dei requisiti morali per il proseguimento del rapporto con il laboratorio, che pertanto ha continuato ad erogare prestazioni retribuite dall’Amministrazione, peraltro con importi ben superiori a quelli consentiti”.

Il Pio Center, centro di ricerca clinica e patologia medica con sede a Bovalino. Il laboratorio di ricerca è stato interessato da due provvedimenti di sequestro beni nel 2004 “in quanto considerato, dagli inquirenti, facente parte del patrimonio di Antonio Nirta” di San Luca. Non un boss qualsiasi, ma uno dei capi storici della ‘ndrangheta, protagonista della faida che ha portato alla strage di Duisburg.

Il centro diagnostico sorgeva all’interno di un edificio di cinque piani intestato ad Antonia Giorgi, moglie di Antonio Nirta. Il 96% del capitale sociale è detenuto dal Poliambulatorio Salus S.r.l. le cui quote sociali sono detenute dal medico Maria Immacolata Pezzano cognata di Giuseppe Nirta, figlio di Antonio Nirta. Lo stesso Poliambulatorio ha intrattenuto nel tempo “rapporti convenzionali con l’Azienda Sanitaria di Locri”. Anche in questo caso c’è da registrare “la sostanziale inerzia della A.S.L. che non ha mai acquisito, come già detto, nessuna informazione o comunicazione antimafia sulla struttura e compagine societaria accreditata, che poi è risultata infatti colpita da misure cautelari”.

Centro ricerche cardiovascolari per la cardiologia D.A. Cooley con sede a Bovalino. Anche questa società è stata interessata dal sequestro dei beni per la porzione di quota di proprietà di Filippo Romeo di San Luca, socio accomandatario fino al 1999. Il sequestro “è scaturito sulla base dei sufficienti indizi circa l’appartenenza dei preposti alla consorteria mafiosa Romeo-Pelle operante nel territorio di San Luca e zone limitrofe. E’ evidenziato nel decreto di sequestro che i beni riportati nel provvedimento sono di valore sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati e alle attività svolte dai preposti e comunque riconducibili ad attività illecite. Il provvedimento n.78/2001 emesso dal Tribunale sezione misure di prevenzione di Reggio Calabria sottolinea come “il gruppo in questione, presente massicciamente proprio per il suo ruolo egemone in svariate fette del mercato dell’illecito, al fine di aumentare considerevolmente la sua disponibilità finanziaria ed il suo prestigio, avrebbe dovuto provvedere ad uno spostamento del baricentro degli interessi economici, prima garantiti quasi esclusivamente dai proventi derivanti dai sequestri di persona e dagli appalti, per orientarsi verso nuove fonti di guadagno, quali in particolare il traffico di stupefacenti”.
Altri soci avevano precedenti penali e continuavano a frequentare uomini ed esponenti delle diverse famiglie mafiose. Ovviamente quando non erano impegnati ad occuparsi di sanità!

Non mancano poi le convenzioni con società, associazioni e cooperative, ovviamente “senza fine di lucro”, dove la presenza di uomini legati, direttamente o indirettamente, alla ‘ndrangheta è sicuramente rilevante. Nei primi cinque anni del 2000, secondo la Commissione Basilone, hanno percepito rilevanti somme di denaro.
CO.S.S.E.A. – società cooperativa sociale con sede a Gioiosa Ionica. Le cariche della società erano ricoperte da alcune persone che avevano precedenti penali.
A.R.P.A.H. – Associazione per la ricerca sulla problematica degli anziani ed handicappati con sede legale ad Africo. In questa associazione le cariche sociali erano ricoperte da persone che avevano molteplici frequentazioni con soggetti gravati da precedenti penali e per reati di tipo mafioso.