Calabria, faida tra magistrati: la mediazione di Morra e Melicchio e il ruolo di Bonafede

Su tante cose, e su tanti personaggi politici (e non) della nostra città, intrallazzati in ogni dove, siamo stati “facili profeti”, e non perché ci sentiamo o siamo più bravi degli altri, o perché chissà da quali “notizie riservate” attingiamo le nostre “info”, non è questo il motivo: noi a differenza degli altri le “cose” che riguardano il diffuso malaffare presente in città, che ogni cosentino verace conosce bene, le diciamo e le scriviamo, ed è questo che fa la differenza. “Cose” e persone (che non è il gioco) che conoscono tutti, perché in una società come la nostra non esiste solo la verità giudiziaria –  si sa che a Cosenza difficilmente la Giustizia “sanziona” i potenti, il che vuol dire che se sei incensurato, non è detto che sei una brava persona – ma per fortuna esistono anche le verità storiche.

Episodi, fatti, eventi e vicende di malaffare riconducibili alla gran parte della classe politico/dirigenziale della nostra città, che fanno oramai parte del patrimonio di “memoria collettiva”. Verità storiche, da non confondersi con i pettegolezzi (rivolgersi a Google, per capire differenza) che difficilmente qualche magistrato scriverà in una sentenza, perché riguardano gran parte dei personaggi del loro mondo. Una catena di privilegi e impunità a cui, la “classe dominante” difficilmente rinuncia. Privilegi e ricchezze che arrivano solo ed esclusivamente dalla corruzione, e dalla collusione con il malaffare masso/mafioso.

Ed è questo “sistema” che Morra e i 5Stelle dovevano combattere, e invece, come vi stiamo raccontando da tempo, si sono adeguati. Come a dire: se non puoi combatterli, unisciti a loro. Ed è questo che Morra e gran parte dei deputati cosentini a 5Stelle hanno fatto: si sono uniti, negli intrallazzi sottobanco, a loro. O meglio fanno finta di non vedere la porcheria che a Cosenza gira tranquillamente. La paura di “ritornare” dei semplici cittadini, magari dopo aver denunciato “i propri vicini di casa”, senza avere più le coperture che ha un deputato, con il terrore di subire possibili ritorsioni, non gli permette di fare altro. E quel poco che nella foga e nell’entusiasmo del 33% hanno fatto, in termini di denuncia della corruzione a Cosenza, ora rischia di diventare un boomerang. Specie per chi come Morra e altri hanno scheletri negli armadi. Ecco perché hanno accettato di stare prima con Lega e poi con il Pd, solo per allungare il tempo nelle vesti di deputati con lo scopo di insabbiare il loro stesso lavoro che oggi non ha più ragione di esistere.

Il metodo per prendere in giro la gente, secondo loro, è sempre lo stesso: fare finta di fare battaglie, sempre e comunque fuori da Cosenza, e non disturbare gli amici degli amici impegnati in città. Tipo: stare al governo con il Pd, e allo stesso tempo fare i duri (sempri a nonna) in Calabria con espressioni che non lasciano spazio a dubbi sulla loro onestà: noi con i ladroni del Pd, in Calabria non faremo mai accordi. L’ennesima paraculata di Morra che nasconde dietro ad una molto presunta coerenza politica un altro scopo: non presentarsi alle elezioni regionali come 5Stelle per evitare quello che tutti sanno: una débâcle elettorale di proporzioni bibliche che lo costringerebbe a dover dare spiegazioni politiche non solo al “Governo”, ma ai tanti calabresi truffati dal suo squallido “modo di fare”, che nel movimento avevano creduto. Un confronto che non può permettersi in questo momento così delicato per lui, impegnato com’è insieme a Gratteri nella faida contro Lupacchini. Prima di ritornare a vestire gli abiti da professore (perché questo governo ha le ore contate) ci sono tante altre cose da mettere a posto per garantirsi un ritorno sereno alla vita da semplice cittadino.

Infatti, ritornando alla faida tra magistrati in Calabria e al ruolo di Morra/Manzini in questa vicenda, il senatore presidente dell’antimafia, capita l’antifona e dopo i messaggi minacciosi di Occhiuto, si è subito adoperato – dopo aver fatto il galletto (a trucco) contro i malandrini politici cosentini, recitando il ruolo dell’onesto, nel classico “gioco delle parti” – per “annullare” tutte le sue denunce, sistematicamente presentate all’allora aggiunto Marisa Manzini, oggi consulente di Morra all’antimafia, e il perché è presto detto: evitare ritorsioni giudiziarie sulle tante vicende che coinvolgono il figlio. E così ha fatto: decine e decine di denunce presentate da Morra alla Manzini non hanno mai avuto seguito. Ma c’è anche la famigerata interrogazione parlamentare presentata da 8 parlamentari 5 Stelle dove si chiede una ispezione ministeriale al Tribunale di Cosenza, nel luglio del 2018 e sulla scia della vittoria elettorale, da neutralizzare. E allora Morra e Melicchio hanno agito, per il loro “quieto vivere”, così come fanno i vecchi marpioni politici della prima Repubblica. Morra ha subito contattato il ministro Bonafede chiedendogli di rispondere all’interrogazione con un bellissimo: “al Tribunale di Cosenza è tutt’appò!” In modo da tranquillizzare Spagnuolo, e sollevarlo da questa snervante attesa che lo vede come il più indiziato.

Voi direte: che cosa ha risposto Bonafede? Esattamente quello che gli ha chiesto Morra, e lo ha fatto nella maniera peggiore, non curandosi neanche di dare alla sua risposta una parvenza di verità.

Dice il ministro in aula, qualche settimana fa, in risposta  all’interrogazione presentata 15 mesi fa dai deputati 5Stelle sul Tribunale di Cosenza: “La vicenda in esame non presenta alcuna delle criticità prospettate nell’interpellanza. Il capo dell’Ufficio di Procura cosentino ha preliminarmente sottolineato che all’interno dell’ufficio inquirente non sussiste alcun tipo di conflittualità: il clima di leale e fattiva interazione fra tutti i suoi componenti, il procuratore aggiunto e il Procuratore della Repubblica è una costante caratteristica del lavoro portato avanti dal Procuratore capo e frutto del positivo contributo di tutti i magistrati, anche in occasione della predisposizione del progetto organizzativo dell’Ufficio, che, oltre ad essere stato approvato dal Consiglio giudiziario presso la corte di Appello di Catanzaro, non ha avuto alcun rilievo da parte dei magistrati stessi”.

Ora ditemi voi se è possibile: Bonafede, che urla contro la CEDU, che critica le sentenze della Cassazione che dicono che a Roma non c’è la mafia, risponde ad una dettagliata interpellanza parlamentare dove si chiede di indagare proprio sul Procuratore capo, ovvero Mario Spagnuolo indagato già Salerno, ritenuto tra i maggiori responsabile del mercimonio della Giustizia a Cosenza, assieme ai suoi sgherri, Cozzolino, Tridico e compari vari, e lui che fa? Invece di mandare gli ispettori ministeriali a verificare come stanno realmente le cose, chiama il procuratore capo Spagnuolo, ovvero il maggior sospettato, e gli chiede: Dottor Spagnuolo come vanno le cose nel suo ufficio? Che equivale a chiedere a Totò Riina se esiste la mafia.

Forse Bonafede si aspettava che Spagnuolo rispondesse alla sua domanda con un altrettanto bellissimo: “a parte un po’ di corruzione qua e là, va tutto bene”.  Oppure era così che doveva finire, per come predisposto da Morra. Una farsa che offende davvero l’intelligenza non solo dei cosentini, ma di tutti gli italiani.

Ma principalmente quella dei cosentini perché sanno bene il livello di corruzione presente in tribunale, e nonostante la situazione perduri da decenni, nulla è mai cambiato, neanche questa volta quando tutto sembrava possibile. Non c’è ispezione che tenga al tribunale di Cosenza: il risultato sarà sempre lo stesso: sono tutti innocenti.

La corruzione a Cosenza è un affare che vale milioni e milioni di euro, e che coinvolge buona parte della “Cosenza bene”. E fa specie sentire dire a Morra e Bonafede che, nella città dove si concentra il meglio della massoneria deviata d’Italia, non esiste la corruzione. Ecco, questa è un’altra verità storica che nessun giudice scriverà mai in una sentenza.

6 – Fine