Calabria, Fase 2. Na’ tazzulella e’ cafè (di Claudio Dionesalvi)

Calabria fase 2, Na’ tazzulella e’ cafè

di Claudio Dionesalvi

Fonte: Inviato da Nessuno (http://www.inviatodanessuno.it/)

“Na’ tazzulella e’ cafè e mai niente cè fanno sapè
Nui cè puzzammo e famme, o sanno tutte quante
E invece e c’aiutà c’abboffano e’ cafè”. (Pino Daniele
)

Il TAR ha accolto il ricorso presentato dal governo contro l’ordinanza della presidente Jole Santelli, che riapriva il servizio all’aperto nei bar e ristoranti. Così si chiude una settimana ansiogena per la regione. Da una parte i calabresi entusiasti di assaporare la ritrovata libertà in una leccatina al gelato o un caffè da gustare al tavolo, dall’altra quelli che “è meglio aspettare altre due settimane, poi ci potremo finalmente lasciare andare al libero shopping”. In disparte, attonite, le tantissime persone che non potranno accedere né ai beni voluttuari né a quelli primari. Povere erano prima della pandemia, poverissime sono adesso! Intanto, mentre nei social dilagava l’appassionante querelle sulla riapertura dei bar, dal resto del Paese sul portale COVID19 della Regione “nella sola giornata di domenica 3 maggio – spiega la Protezione Civile – sono pervenute complessivamente circa 7.500 richieste” di credenziali per il rientro in Calabria. E meno male che poi non sono ritornati tutti insieme! Ai varchi d’accesso alla regione la disorganizzazione è stata talmente penosa e spudorata da fornire argomenti ai soliti maligni, quelli che accusano i governi di Roma e Catanzaro di tifare per un’impennata nei contagi di ritorno, pur di scaricare poi la responsabilità sulle decisioni “scellerate” dei propri avversari e incassare consensi.

Sul versante nord della costa tirrenica, all’altezza di Tortora, lunedì scorso sono state schierate tre squadre di operatori sanitari per effettuare i tamponi. Le persone in procinto di rientrare, dopo essersi registrate sul portale, avevano ricevuto una mail di risposta dalla Regione che li sollecitava, eventualmente, a sottoporsi a un tampone, invitandole a recarsi presso i laboratori mobili in base alla provincia di residenza.

Fino a domenica, infatti, l’ordinanza regionale prevedeva che il tampone fosse facoltativo, salvo poi aggiustare il tiro e renderlo obbligatorio 48 ore dopo, quando in tanti ormai erano già rientrati in Calabria. Ai varchi, molti calabresi si sono sottoposti volontariamente ai controlli, sapendo che dopo due o tre giorni sarebbero arrivati i risultati, e qualora il tampone avesse avuto esito negativo, avrebbero potuto evitare la quarantena. Un centinaio i tamponi effettuati sul Tirreno nella prima giornata, analoga la cifra sullo Jonio, 300 i test in autostrada.

Alle 8 del mattino sulla SS 18 tirrenica e la 106 jonica sono arrivati i viaggiatori provenienti da Roma e da est. Non tantissimi. Poco lavoro quindi per gli operatori sanitari. Dalle 16, invece, quando il personale era ormai già esausto, sono giunti quelli delle zone rosse. E pensare che mediante il portale i viaggiatori avevano indicato anche i propri orari di partenza, quindi la Regione avrebbe potuto prevedere i flussi e razionalizzare meglio i controlli. Nelle prime ore sono state lasciate scoperte le stazioni ferroviarie intermedie come Paola e Scalea. A Tortora i carabinieri provenienti da Vibo Valentia sono andati via alle 18 perché è terminato il loro orario di servizio. Non avendo l’autorità per fermare le auto di passaggio, gli operatori del 118 hanno chiesto l’intervento di una pattuglia della polizia municipale, che per recarsi sul posto ha impiegato circa un’ora, durante la quale sono transitate file di macchine provenienti da nord. Comunque, dal tramonto in poi, su tutto il versante, stop ai tamponi e via libera ai calabresi di ritorno!

Già, i tamponi: che tormento! La Calabria non ha brillato per controlli sanitari effettuati in questi ultimi due mesi. Nella graduatoria delle regioni meridionali, dove i decimali hanno un peso, al 5 maggio scorso il rapporto tra i tamponi eseguiti e la popolazione residente era del 2,08 per cento, contro il 2,7 della Basilicata, il 2,2 della Puglia e il 2,3 del Molise. Per fornire un dato relativo al nord, in Veneto la percentuale raggiunge la soglia del 7,96. Nel mezzogiorno, inferiori alla Calabria solo Sicilia e Campania, rispettivamente 1,82 e 1,6. Forse anche in ragione di questi dati, mercoledì scorso dagli uffici della task force regionale è partita una richiesta ai 118 di 300 tamponi da spedire in Campania. In Calabria ne erano arrivati tanti, ma in questi mesi ne sono stati effettuati pochi. Adesso però, tra i calabresi giunti nell’ultima settimana, bisogna eseguirli a domicilio, con aggravio di impegno per il personale sanitario. Intanto di mascherine non si parla più, perlomeno da quando la presidente Santelli ha dichiarato in TV che non ne ha ordinato l’uso perché non sarebbe in grado di garantirle a tutti. Applausi. Peccato che nell’ordinanza da lei firmata lo scorso 29 aprile abbia imposto a tutte le persone “che si spostino o giungano sul territorio regionale per attività consentite e autocertificate, di utilizzare la mascherina”.

Davvero problematico il rapporto tra Jole Santelli e le ordinanze. Le emette in tarda sera e qualche volta le ritira pure, purché Salvini e Berlusconi le diano il loro assenso. Il 24 febbraio scorso da Arcore arrivavano segnali distensivi, inneggianti allo “spirito di unità nazionale”, più redditizio per i sondaggi sul gradimento degli elettori. Infatti Santelli non fece la voce grossa contro il governo centrale quando, in nome della ragion di Stato, il premier Conte le annullò la chiusura delle scuole, rinviandola al successivo 4 marzo. Qualche emittente locale, a lei molto vicina, aveva pure dato per certa la notizia dell’imminente chiusura anche in Calabria. Il governo replicò bollandola addirittura come “fake news”. Eppure nel week end tra il 25 febbraio e il 4 marzo si verificò un primo esodo da settentrione. Se qualche studente rientrato dalle università del nord avesse contagiato fratelli o sorelle minori frequentanti le scuole calabresi, adesso racconteremmo un’altra storia. Ma la fortuna o forse, chissà, qualche entità soprannaturale, ha voluto che fossero tutti sani quei primi rientranti. Un’altra ordinanza-blitz la Regione ha emesso lo scorso 24 aprile in nottata: riapertura dei supermercati nei festivi e la domenica. Potere dei social e dell’informazione real time: il giorno dopo, all’alba, tanti proprietari erano già davanti alle saracinesche dei supermercati per imporre i nuovi orari ai dipendenti.

Di tutto questo non si parla più. A parte qualche cronaca arrabbiata, il silenzio è calato pure sull’ipotesi di ritiro della concessione per la RSA di Torano Castello: 60 posti letto, 5 morti tra i pazienti, 78 contagiati dal Sars-COV 2, di cui 36 tra il personale dipendente della struttura, alcuni dei quali avrebbero infettato parenti e conoscenti anche nei comuni di Mongrassano, Acri e Luzzi.

Non resta dunque che incrociare le dita. Se per disgrazia la curva del contagio dovesse risalire, la colpa sarà stata di tutti e di nessuno. Santelli ha voluto i bar aperti, ma avrebbe bloccato il controesodo dal nord. Conte ha voluto il rientro dei meridionali a casa, ma avrebbe bloccato l’apertura dei bar. Finiranno in archivio anche gli scontri a suon di post fra i liberisti santelliani, inneggianti al free bar, e i più prudenti governativi, sostenitori della quarantena “dura e W la paura”. Da queste parti si tende a dimenticare presto. L’importante è avere ritrovato “la libertà”. L’economia ne trarrà sollievo.