Calabria Film Commission, la rabbia di Approdi contro Minoli: “Il solito utilizzo colonialista delle risorse pubbliche”

Approdi – lavoratrici e lavoratori della Cultura e dello spettacolo Calabria – ha scritto una lettera aperta a Giovanni Minoli, presidente della Calabria Film Commission e al presidente della Regione Calabria Nino Spirlì. 

Un’occasione sprecata

Apprendiamo dai giornali di una nuova produzione sostenuta e voluta dalla Calabria Film Commission.

È un progetto interessante: raccontare la vita di donne calabresi che hanno avuto un ruolo sociale e politico importante. Bene.

Ora ci chiediamo, poiché si tratta di un progetto finanziato in buona parte da soldi pubblici (cioè di cittadini e cittadine calabresi), che ruolo hanno avuto maestranze e artisti calabresi in questo progetto?

Per quel che riguarda il lavoro “dietro le quinte” (dalla scrittura alla realizzazione, eccetera) ci chiediamo se e quante professionalità calabresi, siano state coinvolte. E ci chiediamo anche se quei pochi coinvolti abbiano ricevuto un trattamento economico pari alla paga media per questo genere di prestazioni lavorative…

Per quel che riguarda invece “chi sta davanti alla macchina da presa”, notiamo per l’ennesima volta con delusione, che nessuna artista calabrese è stata ritenuta in grado di poter raccontare una donna della sua terra.
Le attrici coinvolte (alcune più note, altre meno) nulla hanno a che fare con la Calabria. Viene da chiedersi se sia stata fatta una ricerca o almeno si sia pensato, anche solo per un momento, che anche nella nostra terra ci sono professionisti (in questo caso professioniste) che hanno costruito il loro percorso con impegno e serietà e che magari lavorano anche fuori dai confini regionali, e che potrebbero e dovrebbero essere valorizzate, tanto più quando si desidera raccontare vite di donne calabresi.

D’altra parte il promuovere le bellezze paesaggistiche e la professionalità del territorio,da statuto, è proprio uno dei maggiori obiettivi delle Film Commission.

Invece quello che vediamo ripetersi, in linea con la gestione precedente della Film Commission, che ha agito nello stesso modo, è un utilizzo “colonialista” delle risorse pubbliche: nei pochi casi in cui i calabresi vengono coinvolti, sono messi in ruoli marginali, e spesso con un trattamento economico di molto inferiore alla media nazionale.

A chi arriva “da fuori” viene riconosciuta professionalità e conseguente “valore” economico, ai calabresi viene chiesto di accontentarsi di ciò che resta. E di ringraziare pure, per le briciole cadute dal piatto.

Ci sembra che così facendo si continui a lavorare in senso contrario alla valorizzazione e alla costruzione di professionalità che porterebbero il loro contributo decisivo sul territorio, procedendo invece verso una marginalizzazione progressiva.

Crediamo che in nessuna altra regione sarebbe stato pensabile che, volendo raccontare figure realmente esistite di uno specifico territorio, non venisse preso in considerazione neanche uno o due artisti di quella regione.
Provate a pensare se un’operazione così fosse stata fatta in Campania o in Sicilia.
Si sarebbero dovute affrontare le urla di protesta di centinaia di persone del settore, e del pubblico, che prenderebbe come una mancanza di rispetto anche solo un accento non corrispondente alla lingua del territorio, e quindi non veritiero.

Invece qui, in Calabria, si preferisce tenere i calabresi nell’angolo e dare luce a chi viene, prende ciò che c’è da prendere e tanti saluti.

Nei prossimi mesi saremo vigili e attenti nel denunciare i criteri con cui la “cultura” viene gestita; a chi vengono realmente indirizzati i fondi; se le operazioni fatte sono volte a creare e rafforzare il tessuto sociale o se siano l’ennesimo ambito in cui sul terreno calabrese vengono lasciate solo le bucce dei frutti succosi che qualcun altro mangia.