Calabria, la fine delle radio locali: tutta la verità (di Edoardo Maruca)

LA FINE DELLE RADIO LOCALI IN CALABRIA. TUTTA LA VERITÀ

di Edoardo Maruca

Questo è un Blog, dunque il posto più adatto per scrivere esattamente come sono andate le cose e proprio perché un Blog, non sarò breve. Ogni fine ha naturalmente un inizio se vi interessa la storia della radio private Calabresi la trovate su

Radiofonia (edoardomaruca.it)

Ci sono molti fattori che, avvicendandosi, hanno determinato la criticità della radiofonia locale. Quello più sottovalutato, ma assolutamente determinante, è riconducibile alla migliorata distribuzione organizzata dei negozi di media dimensione, ormai equiparabile alla GDO. In tempi non sospetti, direi fino alla prima metà degli anni 90, molti consumatori erano disposti a percorrere centinaia di km per acquistare un televisore in offerta, un arredamento completo (si diceva così), un paio di jeans, oppure, i più giovani, per raggiungere un locale sul mare. Chi ha l’età per ricordare la moda degli stivali «Camperos» degli anni 80, non avrà dimenticato la pubblicità su una radio cosentina del negozio El Charro di via San Giacomo a Roma. I ragazzi del tempo partivano dalla Calabria per comprare l’oggetto del desiderio. Solo dopo qualche anno a Cosenza e a Reggio Calabria, due negozi ebbero la concessione per la rivendita.

L’anima del commercio (in mancanza d’altro), era davvero la pubblicità radiofonica, capace di determinare il flusso dei clienti verso un ristorante, un mobilificio o un negozio di hifi. Quanto la promozione discografica fosse importante era dimostrato dal fatto che le case discografiche, inviavano gratuitamente alle radio di locali di punta (in Calabria, Centrale a Cosenza e Touring a Reggio) tutto il catalogo musicale e, in molti casi, sottoscrivevano contratti pubblicitari per le promozioni programmate. Da Rcc (si chiamava così) e da Touring 104, sono passati Dalla, Morandi, Battiato, Pfm, Ron, Oxa, i Pooh, Venditti e tanti altri. Ancora più frequentemente i direttori delle principali stazioni regionali venivano invitati dalle Major a Milano o Roma per la presentazione dei nuovi prodotti.

I ragazzi del tempo sarebbero arrivati da Katmandù per acquistare all’Iguana disco shop di Rende (famoso negozio di dischi) la versione mix di «Moscow Disco» dei Telex, sigla di una trasmissione pomeridiana su Radio Cosenza Centrale. Avrebbero dovuto avere quel disco a tutti i costi e, il titolare del negozio, avrebbe potuto venderlo a qualsiasi prezzo. Le mode sono fatte così.

Attualmente, l’organizzazione dei franchising, gli acquisti in rete, la distribuzione capillare dei prodotti locali anche attraverso i supermercati nazionali, l’offerta enormemente superiore alla richiesta di bar, ristoranti e locali destinati a ogni target, hanno reso ormai inutile la comunicazione pubblicitaria radiofonica locale e i marchi della grande distribuzione preferiscono le radio nazionali. Non esiste nessun motivo per il quale un cliente dovrebbe spostarsi di decine di km per comprare qualcosa disponibile sotto casa e, certamente, i pochi locali di nicchia non fanno la differenza. Per esempio, questa mattina a Cosenza ho ascoltato in radio la pubblicità di un gommista di Lamezia Terme, di un mobilificio della valle dell’Esaro e di un ristorante di Roseto Capo Spulico … Soldi buttati per gli inserzionisti ed entrate sostanzialmente nulle per le radio che, nel corso degli anni, si sono cannibalizzate abbassando i prezzi a dismisura anziché migliorare la qualità dell’offerta. Ricordo bene, quando a metà degli anni 80, Radio Cosenza Centrale vendeva uno spot da 30” a 12.500 Lire, (che oggi varrebbero 20 Euro). Sappiate che attualmente il prezzo medio per la messa in onda di uno spot locale si aggira sui 3 Euro (nemmeno un pacchetto di sigarette), con questi prezzi non si fa azienda.

Il crollo dei tariffari pubblicitari fu sostanzialmente determinato dagli editori impuri, ovvero quelli che facevano altri mestieri per campare (come oggi) e che, per passatempo, si dedicavano alla radio. Del resto la legge, in virtù della pluralità d’informazione (se annunciare due canzoni può essere intesa come tale), permetteva a chiunque di «far danni». Nemmeno l’obbligo vigente per un certo periodo di avere un direttore responsabile (giornalista) e del personale assunto, migliorò le cose. In molti casi gli editori assunsero fittiziamente sorelle, cugini o figli con piroettanti contratti part time, orizzontali verticali od obliqui, determinando un forte contenimento dei costi di gestione e compromettendo in questo modo il mercato pubblicitario a scapito dei pochi che invece avevano assunto professionisti a busta paga. Immaginate quanto possa costare la gestione di una radio fatta di solo musica. Un PC attaccato a un baracchino con la musica scaricata da emule che vanta la stessa dignità di una broadcast, con l’editore spesso espressione del peggiore proletariato ma con la scaltrezza di avere «occupato» una frequenza della banda e la certezza che nessuno gliel’avrebbe levata. Lo Stato non si è reso solo «colpevole» di avere concesso la trasmissione simultanea su tutto il territorio nazionale a pochi soggetti, ma anche di non avere fatto dei controlli accurati su queste metastasi.

Negli Stati Uniti, per esempio, esistono solo stazioni locali (circa 13.000) che possono trasmettere lo stesso programma fino a sei ore al giorno (network). Ogni radio ha in concessione una (dico una) frequenza, spesso rappresentata sullo stemma della stazione e 20 miglia di tolleranza per abbattere il proprio segnale al di fuori del bacino assegnato. Qualcuno potrà ribattere adducendo la naturale selezione della legge di mercato, ovvero: ce la fanno i più forti. Non è così. Per una limitazione legislativa, la banda FM ha una capienza limitata e, ancora oggi, sono molte le frequenze occupate da questi lestofanti che sperano di capitalizzare vendendole. Mi spiace fare il paragone con le licenze dei Taxi, ma rende l’idea.

Purtroppo il gioco è finito, le radio e le frequenze sono tutte in vendita e nessuno le compra, c’est la vie e tra breve, con l’inevitabile passaggio al Dab + (fino a 20 canali per frequenza), varranno ancora meno. «Paurona eh» In molti sostengono che l’avanzata di Internet e delle tecnologie di comunicazione mobile abbia sottratto il grosso degli ascolti. È pur vero che le stesse tecnologie non sono state utilizzate dalle radio locali. Ancora oggi non esiste una stazione locale dotata di un codec broadcast fisico per regolare il flusso streaming; il resto è tutta fuffa.

Edoardo Maruca

Non è stato solo il calo degli ascolti provocato dall’avanzata delle radio nazionali, musicali o internet a determinare l’indebolimento delle stazioni locali. Con dispiacere scrivo che anche gli operatori del settore hanno contribuito. Vi spiego come. Agli inizi degli anni 90, i controlli del Ministero delle Poste erano serratissimi. Era obbligatorio consegnare alla polizia postale le registrazioni degli ultimi 90 giorni di trasmissione. Si doveva davvero auto produrre il giornale radio (non la lettura delle notizie altrui), era anche il periodo in cui girava l’ispettorato del lavoro…

Al termine della «reprimenda», durata qualche anno, gli editori cercarono di risparmiare sul personale limitando i professionisti (che da lì a poco avrebbero cambiato lavoro) e affidando spazi di programmazione sempre più ampi a dei morti di fame che si proponevano gratuitamente o quasi. Per i giornalisti è ancora così…

Sia chiaro che non ho nulla contro chi, per passatempo, dice due cose al microfono, ma se ancora oggi si ascolta un fatuo reietto degli “anni 80” che con un cetriolo nel sedere comprime la voce e fa sentire «la musica più bella del mondoooo hot chart iuessseiiiiiiii flash in discooo», è di palmare evidenza che le radio locali calabresi meritino di essere le meno ascoltate d’Italia in rapporto alla popolazione. (radioter 2022).

Forse si è convinti che a Petilia Policastro (a caso) qualcuno possa interessarsi al terzo marito di Jennifer Lopez o alla posizione n°38 della hit dance chart di New York. Sono molti gli speaker e gli editori a non avere mai letto un libro. Ascoltate un programma a caso per più giorni consecutivi, vi renderete conto che le frasi fatte vengono ripetute febbrilmente, sempre quelle, sempre uguali: la mail, il numero di telefono, il sito, la pagina Facebook «Perché non mi scrivete su whatsapp cosa avete mangiato?»

Va bene non avere coscienza artistica, del resto, quella se non ce l’hai, non si può far nulla. Dai su, vada anche per quelle vocaline un po’ aperte e le consonanti Titrantanttan, del resto «parlant du sud, c’est plus facile» ma il congiuntivo no! Quello lo devi conoscere. Sarebbe il caso di leggere qualcosa sull’analfabetismo funzionale dello scomparso Tullio de Mauro. Ho conosciuto un editore idiota che chiedeva agli speaker la canzone di Bryan Adams «la radio è mia» Aiuto …

Il risultato è che le radio sono tutte con il cappio al collo. Alcune spengono i trasmettitori nelle ore notturne perché non riescono a pagare le bollette, altre dimezzano le potenze. Di tutti i soldi circolati negli anni gloriosi della radiofonia locale non è rimasto niente. In molti casi, i dipendenti, sono pagati con le provvidenze statali. Ciononostante si continua a scartare ogni idea possa allontanare dalle zone di confort. Vero è che per partorire una stella danzante ci vuole del caos dentro (quasi cit.).

Ci sono stati e ci sono ancora ottimi professionisti in questa regione, alcuni dei quali conosciuti personalmente. Nutro per loro grande rispetto, nella consapevolezza che lavorano per quattro soldi. E’ difficile riorganizzare la vita dopo decenni di radio. Qualcuno ci è riuscito forse in extremis, guadagnando più degli editori che gradassi, continuano ad atteggiarsi a fare Rupert Murdoch (i bilanci sono pubblici …).

Concluderei con le indagini d’ascolto. Croce e delizia. Ormai quasi nessuno si iscrive per eccesso di ribasso e, per evitare di giustificare l’impietoso tracollo, ipotizzano trucchi, truffe o scarsa attendibilità. Mettiamoci l’anima in pace: sono vere! Spiace dirlo perché so bene come ci si senta lavorando per un anno intero, per poi ritrovarsi con una manciata di ascoltatori. In verità il metodo usato anche da Doxa pare sia infallibile (quasi).

Il risultato deriva dalla notorietà del marchio consolidato nella memoria remota, (non sono uno psicologo, l’ho letto). Sono certo che se oggi fossero iscritte nelle indagini d’ascolto stazioni gloriose del passato e chiuse da anni, queste risulterebbero essere ascoltate. Facciamo la prova: chiudete gli occhi per un momento. Vi domando il nome di una carta igienica … Avete pensato alla Scottex; Cotonelle; Regina? Bravi, avete pensato ai marchi più noti, non a quella che utilizzate. Funziona così anche per le indagini d’ascolto.

Beh, avrete forse da commentare questa storia, ma il paragone con la carta igienica la dice lunga.

Dal blog  (edoardomaruca.it)