Calabria, la Regione come il mercato all’ingrosso: Peppe ‘ndrina, Alfonsino Grillo (il falso) e il “suo” Parco delle Serre

In Calabria c’è un argomento che è off limits negli ambienti che contano, nelle stanze della politica e negli ambiti funzionali, quei colletti bianchi che vivono e proliferano all’ombra di ‘Ndrangheta SpA: la legalità. Siamo sempre nella terra dei segreti, dove il silenzio è regola antropologica; dove tutto sfugge perché i calabresi sono di natura distratti, non vedono; dove il territorio è diviso in zone di influenza e di predominio delle ormai famose ‘ndrine. Le famiglie che da decenni, ormai, fanno affari con la politica cosiddetta, tanto da aver creato all’ombra dell’allora costruendo porto di Gioia Tauro, la griffe di “Forza Mafia”. Quando la capacità affabulatrice di Silvio Berlusconi, le trame segrete di Marcello Dell’Utri e la potenza economica e parastatale dei Piromalli, fecero il miracolo meneghino.

E’ cambiato poco da allora, perché la Calabria sempre tace e Forza Mafia, ad ogni ritorno elettorale, consolida il suo responso dalle urne, soprattutto nei territori ad alto tasso di ‘ndrangheta, quelli che i tanti rapporti della DIA e della DDA ci indicano nel triangolo del Vibonese: l’eldorado della politica di Forza Mafia e delle locali che meglio delle altre, sono sbarcate sui mercati finanziari nazionali ed internazionali. Questo è il monito del procuratore Nicola Gratteri, ma al tempo stesso il biglietto da visita di certa politica regionale e nazionale che ha ormai da tempo incoronato come reuccio delle locali, Peppe ‘ndrina, al secolo Giuseppe Mangialavori: l’uomo dal passo felpato in equilibrio fra mafia, sanità (è titolare della famigerata clinica Salus) e la politica del new deal 2.0 di Calabria.

Chiuse le urne, il risultato ci dice che i calabresi sono un popolo tradizionalista. Difendono il valore di una storia, di un progetto e di una replicazione che ha visto nascere in Calabria, Forza Mafia e che, certamente per un consenso libero, si conferma ogni volta con un dato in controtendenza rispetto a quello nazionale. In Calabria, Forza Mafia resta ben salda fra le prime sigle politiche, ma soprattutto consolida il suo retroterra di opacità e di lunghe file di affamati, di faccendieri, di ballerine incartapecorite e di quella fetta, molto corposa, di delinquenti con caratteristiche politiche che siedono dietro le porte e, che aspettano, per come è giusto, l’obolo che consacra il valore della ‘ndrina e dell’alleanza.

Il mercato all’ingrosso è la Regione Calabria. Sono le tante nomine che per una correttezza politica e, non ci crede nessuno, restano sospese ed ora devono essere assegnate, anche sulla base dei risultati elettorali consolidati, dove Forza Mafia ha dettato lo spartito musicale, consolidandosi nel triangolo della ‘ndrangheta: la provincia di Vibo sotto il regno di Peppe ‘ndrina.

Sarà il presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso a dovere staccare il ticket per molti faccendieri, quelli che aspettano dietro la porta forti di quella carta della solidarietà firmata dalla ‘ndrangheta vibonese. Qui il confine diventa molto poroso fra quello che dovrebbe essere legale e l’evidente illegalità; fra il valore di libertà e quello di sottomissione e di commistione con le locali di Vibo e dintorni; fra la riedizione criminale di certa archeologia politica che può esibire solo le medaglie della truffa e della ruberia.

E’ l’identikit e la scoperta del genoma dei truffatori di Stato, quelli che siedono ed hanno seduto come “rappresentanti” eletti del popolo, ma con il vizietto della manina: quella lunga e sporca sempre di marmellata. Tutto ci ricorda chi ormai da tempo aspira a ritornare in prima fila, a continuare a gestire, a rimettere i panni del politico illuminato, mentre fino ad oggi ha rubato l’energia elettrica taroccando il contatore. E’ Alfonso Grillo, già consigliere regionale, promosso a portaborse con stipendio pignorato ed oggi commissario del Parco delle Serre: il giardino incantato da sempre nelle disponibilità di Peppe ‘ndrina.

La sua nomina a “presidente” del Parco delle Serre, superando lo status di commissario – un fatto anche questo che puzza di illegalità – è sulla scrivania del presidente Filippo Mancuso, perché porta a margine la postilla di Peppe ‘ndrina. Perché la nomina di Alfonsino Grillo – è il vezzeggiativo usato dagli amici di truffa – fa parte di quel panem et circenses, che nei giochi della politica non si nega a nessuno, nemmeno ha chi ha truffato i soldi pubblici e dichiarato palesemente il falso! Per questo non lo si può negare ad Alfonsino, perché a Vibo Valentia le leggi le scrivono le famiglie e le applica Peppe ‘ndrina. Sarà che ora le controfirmerà anche Filippo Mancuso?

E’ una svista, un miserabile errore se Alfonsino Grillo ha dimenticato di indicare, nella sua domanda per diventare “presidente” del Parco delle Serre, di avere un pedigree di tutto rispetto, quello del criminale. E’ stato condannato dalla Corte dei Conti nel procedimento “Rimborsopoli” per aver truffato la Regione Calabria, intascandosi qualcosa come 50 mila euro, spicciolo più o meno. Così come ha dimenticato di dire che pende sul suo collo un rinvio a giudizio per peculato disposto dal Gip di Reggio Calabria nel 2017, per gli aspetti penali nel suo essere stato ladro di galline, quelle d’oro di Palazzo Campanella.

E’ stata una dimenticanza e per questo nessuno può rifiutargli il posto al sole, anzi all’ombra dei pini del Parco delle Serre, che Peppe ‘ndrina gli ha promesso, che la ‘ndrangheta ha vidimato e che ora deve controfirmare Filippo Mancuso, il presidente del Consiglio Regionale della Calabria. Alfonsino Grillo è lanciato, non può e non vuole rinunciare all’appannaggio da poco introdotto come presidente della montagna, dove governa la mafia della montagna e dove lui deve essere il dominus, perché lui qualcosa l’ha già rubata…a furore di popolo!