Calabria, riscriviamo la storia. I volti e i nomi dell’inchiesta Why Not

I tempi ormai sono maturi, è tempo di ripercorrere la strada delle inchieste di Luigi De Magistris che hanno scritto la vera storia della massomafia calabrese e che ovviamente vengono viste come il fumo negli occhi dal sistema di potere che ancora comanda indisturbato e dai media di regime, che allora reagirono compatti contro il magistrato napoletano per rispondere agli ordini dei politici corrotti e massomafiosi. Non è la prima volta che pubblichiamo tutti gli atti conosciuti e pubblici di quella inchiesta – Why Not – neutralizzata dalla magistratura corrotta. Ma in Calabria c’è bisogno che queste vicende vengano ricordate più spesso perché sono la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità sulla massomafia che ci ammorba da trent’anni. E ancora si fa finta di niente. 

Il 18 giugno del 2007, dopo due anni di indagini, l’allora pm De Magistris aveva fatto partire perquisizioni e avvisi di garanzia, ipotizzando un’associazione finalizzata alla truffa a danno dell’Unione Europea. Nel mirino finiscono politici regionali e nazionali, ufficiali della guardia di finanza, agenti dei servizi e imprenditori di calibro. L’elenco è lungo, ci sono i diessini Nicola Adamo (allora vicepresidente della giunta calabrese) e Antonio Acri (nel frattempo deceduto), l’allora assessore regionale Mario Pirillo (transitato dalla Margherita al Pdm, il partito del governatore Agazio Loiero), l’ex assessore regionale alla sanità Gianfranco Luzzo. E ancora il capo di stato maggiore delle fiamme gialle Gianfranco Poletti, il dirigente di Finmeccanica Franco Bonferroni, il consulente del presidente del consiglio allora in carica Piero Scarpellini, gli 007 Massimo Stellato (Sismi) e Brunella Bruno (Cesis).

Tonino Saladino

Nell’ordinanza di De Magistris tanti i nomi eccellenti. Politici, non indagati, intercettati in conversazioni con i protagonisti dell’inchiesta. Le ombre sono tante. Al centro delle indagini, la loggia massonica di San Marino, base operativa del presunto comitato d’affari. Figura cardine quella di Antonino Saladino, ex veterinario, imprenditore rampante e bipartisan, referente per il Sud della Compagnia delle opere, associazione molto vicina all’Opus dei.

A far scattare le indagini, la testimonianza di Caterina Merante, un tempo stretta collaboratrice di Saladino. La donna ricostruisce la fitta rete di attività, contatti, interessi e obiettivi dell’imprenditore, parlando di una sorta di task force capace di orientare appalti e finanziamenti pubblici, soprattutto quelli della Regione Calabria, di ottenere favori dai politici a tutti i livelli ricambiando con assunzioni dirette e indirette (in pratica, la galassia delle aziende riconducibili a Saladino avrebbe monopolizzato le assunzioni dei precari alla Regione Calabria). Pratiche che, secondo De Magistris, sarebbero state portate avanti in «simbiosi» con i governi regionali di entrambi gli schieramenti.

Chiaravalloti

Peso a livello politico e trasversalità. Due esempi: secondo la Merante, Saladino avrebbe imposto due nomi all’esecutivo Loiero (De Grano e Nola), concordando il tutto con il parlamentare Sandro Gozi, ex membro dello staff di Prodi al tempo della commissione Ue, ritenuto appartenente alla loggia di San Marino. E ancora: il “Consorzio Clic” è nato nel 2004 dal contatto tra Saladino, l’allora governatore Giuseppe Chiaravalloti (Cdl) e Enza Bruno Bossio, moglie di Nicola Adamo. Un finanziamento da 3,6 milioni di euro ottenuto, secondo la testimone, grazie ai contatti della Bossio con l’imprenditore Pietro Macrì, legato a Prodi e presunto membro della loggia di San Marino, e con Antonio Gargano, presidente di Fincalabra.

Un finanziamento diviso in due tranche: la prima è erogata dalla giunta Chiaravalloti, la seconda dall’esecutivo Loiero, e cioè dall’assessore al Bilancio Nicola Adamo, il marito della Bossio. Le “anomalie” non sono finite: i fondi passano da Clic al consorzio Tesi, a decretarlo è Gargano, che poi diventa presidente della società Tesi. A confermare il quadro sono i dirigenti della socierà Why Not, che parlano di pesanti ingerenze da parte di Saladino.

C’è poi tutta una rete di contatti che Saladino è in grado di sensibilizzare. Favori in cambio di favori. Secondo la Merante, Saladino avrebbe fatto assumere la moglie di Luigi Sbarra, segretario regionale della Cisl, ma anche il figlio di Gigi Meduri, sottosegretario Pdl, e anche il figlio dell’ex ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu.
Un capitolo lungo, lunghissimo, quello delle conoscenze altolocate dell’imprenditore. Contatti, incontri , telefonate. Da Gianni Alemanno a Clemente Mastella. Il ministro della Giustizia, contattato da Saladino e intercettato, si sarebbe reso disponibile seduta stante a incontrare un generale e un costruttore amici dell’imprenditore. Incontro poi saltato, ma la piena e immediata disponibilità di Mastella sarebbe il segno dei rapporti che intercorrono con Saladino.
Ci sono poi uomini di chiesa, vescovi, amministratori come Antonio Bassolino, carabinieri e magistrati con i quali Saladino sostiene di essere in ottimi rapporti.

Alleanze operative e legami in ombra si concretizzano, secondo la teste, in fondazioni e associazioni ad hoc. La Merante chiama in causa Vincenzo Bifano (ex responsabile regionale della Cdo). Ma anche Fabio Schettini (found riser di Forza Italia) e l’ex ministro Franco Frattini, entrambi vicini all’Osservatorio per il Mediterraneo. E ancora Mario Brunetta, vicino a Berlusconi, legato alla Free foundation for research.

La lista dei politici è chilometrica. In testa c’è Giancarlo Pittelli, all’epoca oltre che avvocato, senatore forzista di Catanzaro, accusato di finanziamento illecito ai partiti. Strani movimenti di conto corrente, contatti con un alto dirigenti, come Giovanbattista Papello (indagato nel procedimento Poseidone, ritenuto collettore di denaro illecito per Alleanza Nazionale), che tra le altre cose aveva le mani in pasta su una gara d’appalto truccata per la costruzione del nuovo ospedale di Vibo, pagando tangenti a destra e a sinistra.

Sono coinvolti nella vicenda l’ex assessore regionale Gianfranco Luzzo, l’onorevole Mario Tassone, l’ex deputato Michele Ranieri e poi faccendieri vicini all’Udc, militari e uomini dell’Opus dei.

Lorenzo Cesa

Ruolo non secondario è assegnato al segretario nazionale dell’Udc, Lorenzo Cesa, e all’ex sottosegretario dello scudo crociato Pino Galati: avrebbero gestito i fondi neri grazie alla società Global media, alla quale confluivano i soldi attraverso un giro di fatture gonfiate, con il concorso di grandi aziende del calibro della Wind, di Alitalia, Telecom, Enel. Della Global media ha parlato anche il pentito di Cosa nostra Francesco Campanella – l’uomo che ha procurato la carta d’identità falsa a Bernardo Provenzano per l’operazione a Marsiglia – narrando di fondi europei utilizzati per finanziare l’Udc.
Nella truffa Digitaleco Optical Disk un altro caso di trasversalità: tra i vertici societari ci sono Schettini (in quota Udc), Papello (in quota An) e Giulio Grandinetti (in quota Ds).

De Magistris rivela poi il coinvolgimento di alti ufficiali della guardia di finanza e dei servizi segreti. Nell’inchiesta si parla di contatti costanti, attraverso utenze straniere, tra uomini come il generale delle fiamme gialle Walter Cretella Lombardo, l’ex consulente di Prodi e parlamentare Sandro Gozi, uomini riconducibili a Udc e Margherita, Papello, la 007 Brunella Bruno, il piduista Luigi Bisignani, il generale Poletti, Scarpellini, Bonferroni, la Global media e addirittura un magistrato della Dna.

Questo il contesto generale. Adesso lasceremo parlare gli atti dell’inchiesta. La Calabria è finalmente pronta per conoscere la verità.