I carabinieri di Cosenza, le talpe del clan Lanzino e l’omicidio Bergamini

In molti mi stanno chiedendo in queste ore per quale vicenda e per quale articolo ho rischiato concretamente di finire in galera. Rischio scongiurato grazie all’annullamento della condanna a 8 mesi da parte della Corte di Cassazione. Molti altri lo sanno, ma è giusto che oggi – a pericolo scampato – ognuno possa ricavare un’idea dei fatti. Non ci crederete, ma ho rischiato il carcere perché non ho saputo dire di no (come invece hanno fatto TUTTI i miei colleghi giornalisti) a un gruppo di carabinieri onesti che denunciavano fatti gravissimi che avvenivano all’interno del Comando provinciale mentre stavano indagando sull’omicidio di Denis Bergamini. Sono i carabinieri del Gruppo Zeta, che vennero estromessi dalle indagini semplicemente perché avevano scoperto una verità scomoda e che allora non si poteva ancora rivelare. Lo rifarei altre mille volte ma sono felice di essere qui a raccontarvelo grazie anche al meritorio lavoro dell’avvocato Nicola Mondelli (g. c.)

Se il caso Bergamini è arrivato ad una svolta più che mai significativa con l’avviso di garanzia per concorso in omicidio volontario e premeditato notificato a Isabella Internò e a Raffaele Pisano e quello per favoreggiamento al poliziotto Luciano Conte, marito della signora Internò, gran parte del merito va ascritta a un gruppo di carabinieri, che ormai tutti conoscono come il “Gruppo Zeta”.

Eppure non sono mancati i tentativi di delegittimarli. In queste pagine ricordiamo tutta la vicenda del loro incredibile trasferimento (molto ma molto simile a quello del Procuratore Facciolla) così come l’ha raccontata, in perfetta solitudine, all’epoca Cosenza Sport.

15 OTTOBRE 2012

La notizia è arrivata improvvisa in città nel pomeriggio di mercoledì 10 ottobre 2012 ma gli addetti ai lavori sapevano già da tempo che stava maturando.

I quattro carabinieri del Gruppo Zeta, quelli che avevano squarciato il muro di omertà del caso Bergamini, sono stati trasferiti. Pagano una delicata vicenda legata ad un’inchiesta precedente ma anche le loro indagini sullo scottante caso del calciatore ucciso dai “poteri forti” per motivi passionali.

L’ANNUNCIO DI DONATA

A diffonderla è stata Donata Bergamini attraverso il suo profilo Facebook, esternando tutta la sua delusione e la sua amarezza.

«Questo è troppo da mandar giù – scriveva Donata -, spero si tratti di un errore involontario di chi ha emesso tale provvedimento. Ma chi li ha trasferiti, era a conoscenza che stavano lavorando su un caso unico in Italia? Una riapertura come OMICIDIO su un caso chiuso 23 anni fa come suicidio, con una perizia medico legale che evidenziava già allora uno scenario della morte molto diversa… Ma questo trasferimento sinceramente vi sembra normale? TRASFERITI… mentre si stavano occupando del caso BERGAMINI, SMANTELLATI mentre si stavano occupando della cattura di un latitante…».

Donata Bergamini spiegava come ha conosciuto i quattro carabinieri del Gruppo Zeta e tutte le sue preoccupazioni sul futuro.

«Ricordo ancora quell’incontro – scrive la sorella di Denis Bergamini -, scelsi io di essere ascoltata DIRETTAMENTE dal nucleo operativo di Cosenza e NON PER DELEGA, volevo conoscere chi avrebbe condotto le indagini, non avevo più fiducia nell’Arma, volevo vedere in faccia questi carabinieri, scrutare i loro atteggiamenti per essere tranquilla, quindi, anche se ero appena rientrata, ripartii nuovamente per la Calabria PER ESSERE ASCOLTATA DIRETTAMENTE DA CHI CONDUCEVA LE INDAGINI. Una loro frase mi colpì: “Signora, noi lavoreremo per due cose: una la ricerca della verità, due, la speranza di riuscire a darle fiducia nelle forze dell’ordine”.

Grazie GRUPPO ZETA, per essere riusciti a darmi la fiducia nell’Arma … E ORA ? Non so più cosa pensare…».

LA RICOSTRUZIONE DELL’UNAC

La ricostruzione della complicata vicenda legata ai trasferimenti dei quattro carabinieri è stata ripresa e divulgata da Donata Bergamini ma in realtà è stata pubblicata dal sito ufficiale dell’Unac dei carabinieri.

Nomi, circostanze, situazioni incresciose… C’è tutto per dare alla questione i connotati di un abuso di potere che è veramente molto grave e che non può rimanere nascosto.

Tra i sette carabinieri trasferiti, quattro sono quelli del Gruppo Zeta. Sono i marescialli capi Roberto Redavid, Leonardo Citino e Fabio Lupo e l’appuntato Giuseppe Greco. E’ toccato a loro indagare sul caso Bergamini e arrivare agli importanti risultati che conosciamo. Insieme agli altri tre erano arrivati a risultanze evidentemente imbarazzanti anche per un altro caso delicato: quello relativo a un importante latitante di ndrangheta, Ettore Lanzino.

Ma lasciamo che a parlare sia direttamente l’Unac.

«Chiedono giustizia, ottengono… vendetta. Sette carabinieri del nucleo investigativo di Cosenza, senza apparente motivo, mentre si occupavano di importanti indagini investigative, sono stati trasferiti oltre un anno fa, in maniera provvisoria, a fare i passacarte in alcuni Comandi stazioni. Un’intera squadra investigativa smantellata proprio mentre stava venendo a capo di un importantissimo caso legato alla cattura di Ettore Lanzino, latitante di ‘ndrangheta, tanto che c’era stata all’epoca anche un’interrogazione parlamentare… I loro nomi sono: maresciallo capo Roberto RE DAVID, maresciallo capo Leonardo CITINO, maresciallo capo Fabio LUPO, appuntato S. Giuseppe GRECO, appuntato Andrea MARANO, brigadiere capo Salvatore SCORZO, brigadiere Capo Giacomo GIORDANO.

Il Comando dell’Arma locale di Cosenza, in un primo momento, cercava di “giustificare” il proprio operato ma poi riteneva di fare “marcia indietro” e di revocare i trasferimenti provvisori, facendo rientrare i sette investigatori al proprio posto ed ammettendo di aver sbagliato. La vicenda sorta tra i sette carabinieri ed il nuovo comandante provinciale dell’epoca era stata portata a conoscenza della Magistratura e del Comando Regione Carabinieri, che NON aveva ritenuto di intraprendere alcun provvedimento, per eventuali incompatibilità sorte in loco. Oggi, dopo che la Magistratura, dopo ben due rinvii, decide di archiviare il caso, non intravedendo ipotesi delittuose, pur lasciando intravedere un certo “sospetto” nell’operato dell’ufficiale interessato, è scattata la VENDETTA. L’ufficiale denunciato cosa fa: richiede ed ottiene dal Comando Superiore, a distanza di oltre un anno, il trasferimento dei sette carabinieri, che nel frattempo sono diventati cinque, perchè uno ha avuto un infarto (anche per quanto subito) mentre un secondo accusava uno “stato ansioso” (soprattutto legato alla vicenda) e sono stati quindi messi a riposo».

Ferace e Franzese

Nel comunicato dell’Unac non c’è scritto ma il nome del comandante provinciale del reparto operativo dei carabinieri è ben noto in città ed è quello del tenente colonnello Vincenzo Franzese, proveniente dal Reparto Radiomobile di Napoli, in tandem con Francesco Ferace, i quali evidentemente devono avere un grave contenzioso con gli investigatori relativo alle indagini sulla cattura del latitante Ettore Lanzino. Eh sì, perché i carabinieri onesti accusano apertamente un fedelissimo di Ferace e Franzese, oltre chiaramente a loro stessi, di aver passato informazioni alla moglie del latitante Lanzino, consentendole di eliminare le cimici all’interno della sua abitazione. Accuse circostanziate e gravissime. 

LE DOMANDE DA FARE

Ma riprendiamo il racconto dell’Unac.

«Per il Comandante della Regione Calabria, all’epoca, portato a conoscenza della vicenda penale, NON sussisteva alcuna incompatibilità ambientale. Ebbene, dovrà spiegare oggi alla Magistratura Amministrativa, cosa è cambiato a distanza di oltre un anno nella “situazione ambientale”.

Forse l’avere appreso che la vicenda penale si è conclusa con un decreto di archiviazione? E se ci fosse stato un rinvio a giudizio? Che avrebbe fatto? Amministrazione a senso unico tanto da “accogliere” la richiesta degli allora denunciati, di trasferire i carabinieri “rei” di aver osato di adire la Magistratura contro di loro? Per noi che conosciamo l’ambiente militare, non può che trattarsi che di un caso di “vendetta” amministrativa, posta in essere al solo scopo di “salvaguardare la “casta” degli Ufficiali, i quali, loro sì, agiscono in maniera univoca e compatta, a spese dello Stato. Il messaggio che si vuole far passare è il seguente “Attenti, denunciare un ufficiale, vuol dire farsi male” alias LO VOLETE CAPIRE O NO CHE NOI SIAMO INTOCCABILI?”».

IL CASO BERGAMINI

Purtroppo la vicenda potrebbe far emergere qualcosa di ancora più grave ed inquietante.

«Non è che dietro l’apparente trasferimento – tardivo – e non affatto giustificato – degli stessi carabinieri si cela qualcos’altro? Non è, per esempio, che recentemente gli stessi si stavano occupando, ancora una volta, di una importante indagine di polizia giudiziaria? A pensar male si commette peccato ma ci si azzecca sempre, diceva Giulio Andreotti. Antonio de Curtis in arte Totò sulla vicenda avrebbe certamente esclamato: “Ed io pago”!!!

Nel comunicato non viene menzionato il caso Bergamini ma è evidente il riferimento al “calciatore suicidato”. Così come i sospetti che chi abbia tramato contro i carabinieri abbia tenuto conto anche dei loro risultati in queste indagini.

Di fatto, Citino, Redavid, Lupo e Greco sono stati estromessi dal caso Bergamini ma per fortuna sono riusciti a consegnare la loro prima, determinante informativa. Certo, avrebbero voluto continuare a coordinare le indagini ma comunque hanno dato un chiaro indirizzo agli indizi di colpevolezza.

L’atteggiamento dei media cosentini e calabresi è stato quello classico, omertoso, di nascondere ogni questione, facendo chiaramente il gioco del comandante Franzese.

Solo Tuttosport e Il Resto del Carlino hanno “osato” diffondere la notizia. Ma forse non conoscevano la premiata ditta Ferace&Franzese.