Catanzaro e il capoluogo. Una lunga storia di passione, rivolta e delusioni

Luglio 1970-luglio 2020. Sono iniziate da qualche giorno le celebrazioni per il 50° anniversario della rivolta di Reggio Calabria per il capoluogo di regione. Un evento fondamentale per capire la storia di ieri e quella di oggi. Anche noi ci apprestiamo a dare il nostro contributo di memoria e iniziamo tratteggiando il contesto con quanto scrive Francesco Forgione nel suo libro “Porto Franco” e con le cronache della prima rivolta in ordine cronologico, che era scoppiata per le stesse motivazioni, vent’anni prima, nel 1950, ma a Catanzaro e quindi a parti invertite. Di seguito, un’intervista di Alfonso Scalzo al giornalista Alessandro De Virgilio, autore del volume “Le quattro giornate di Catanzaro”.

di Alfonso Scalzo

Fonte: Catanzaro Politica (http://catanzaropolitica.it/)

Catanzaro ed il suo ruolo di capoluogo regionale. Uno status che sembra essere messo in discussione, ancora oggi, da significativi ridimensionamenti delle funzioni. La storia delle rivendicazioni per il capoluogo di regione, del resto, ha datazione antecedente al 1970, quando scoppiò la nota rivolta di Reggio Calabria. Un precedente, importante e sconosciuto a molti, va ricercato nella protesta svoltasi 20 anni prima e documentata dal giornalista Alessandro De Virgilio, nel suo libro “Le quattro giornate di Catanzaro. 25-28 gennaio 1950, la città in rivolta per il capoluogo”, edito da Rubbettino. Allora, però una cittadinanza unita, sotto la guida di una classe dirigente autorevole, provò a far valere le proprie ragioni. Oggi, sarebbe ancora possibile?

L’intervista.

Alessandro De Virgilio 01

Partiamo da una data: 25 gennaio 1950. Iniziano quattro giornate di lotta, a Catanzaro. Migliaia di persone, nelle piazze, nelle strutture culturali, unite da uno stesso obiettivo: il riconoscimento dello status di capoluogo di regione. Al di là di quelle che furono le risultanze, le quattro giornate rappresentano comunque un momento storico di forte coesione sociale, tra politici, intellettuali e cittadini. Un’ unità d’intenti, per certi versi riscontrata successivamente solo allo stadio, alle partite di calcio…

“Quell’episodio è stato dimenticato, soppiantato dagli eventi del Settanta. Gli stessi catanzaresi hanno perso la memoria della loro storia e del ruolo che la loro città, ben prima dell’istituzione della Regione, ha svolto come punto di riferimento per i calabresi. Paradossalmente, il decadimento della città è iniziato proprio a partire dalla legittimazione ufficiale del suo ruolo di capitale della Calabria, risultato menomato dalla mancanza di un progetto che riempisse di contenuti un articolo dello statuto regionale”.

Le Quattro Giornate... 02

Catanzaro senza una propria “identità” , citando Quirino Ledda, con un profondo scollamento tra centro e periferie. Perché?

“Intanto un pensiero commosso a Quirino. Lui, che calabrese non era, ha amato Catanzaro più di tanti catanzaresi. Lo scollamento fra centro e periferie è un fattore ancora decisivo, purtroppo destinato ad aggravarsi con la costruzione del polo direzionale e universitario a Germaneto, cioè fuori dall’asse centro-S. Maria-Lido. Catanzaro non è una realtà urbana, bensì una galassia di nuclei abitativi realizzati intorno al centro in modo irrazionale, senza quei servizi che avrebbero dovuto colmare le distanze. Il risultato è stato lo spostamento a valle di decine di migliaia di cittadini, destinati ad occupare quartieri-dormitorio privi di funzione sociale. La questione urbanistica è stata decisiva. La città è cresciuta solo in ragione di interessi fondiari e speculativi che hanno penalizzato la grande ricchezza rappresentata dal mare, spingendo la crescita edilizia verso la Sila. Catanzaro non ha saputo dialogare con i comuni confinanti. Il centro storico è stato in buona parte demolito per fare spazio a palazzoni o edifici pubblici avulsi dal l’assetto architettonico, modesto ma armonioso, della vecchia Catanzaro. Il palazzo Serravalle, con la caratteristica strettoia, è il simbolo delle violenze subite dalla città, abbruttita da obbrobri come il palazzo delle Poste, la galleria Mancuso, i palazzi della Banca d’Italia, del Banco di Napoli o della stessa Provincia. Costruzioni che in un altro contesto sarebbero stati apprezzabili ma che nel cuore della città vecchia rappresentano uno scempio e basta”.

E’ mancato, forse, quel necessario legame tra classe politica e mondo della cultura ? Ma perché, tornando ai contenuti del libro, 70 anni fa, laddove anche i mezzi di comunicazione di massa disponibili offrivano potenzialità sicuramente diverse da quelle attuali, si riuscì comunque a coinvolgere la città unitariamente, sia pure intorno ad una rivendicazione? Oggi una simile condivisione d’intenti sembrerebbe impossibile, o quasi…

“Catanzaro oggi è priva di rappresentanti istituzionali autorevoli, a tutti i livelli. Un tempo in consiglio comunale sedeva il meglio della società catanzarese; oggi vi entrano personaggi in qualche caso improbabili e improponibili. I parlamentari catanzaresi – faccio solo un esempio – sono appena due, a riprova del crollo di ruolo anche politico della città. I ceti professionali sono alla ricerca di incarichi e consulenze, non partecipano alla vita sociale e, perseguendo solo interessi individuali, vivono al traino della politica. Quanto alla cultura, è stata da tempo soppiantata dagli affari. Allora Catanzaro era una città caratterizzata da una certa, sebbene limitata, vivacità economica e commerciale, pur uscendo profondamente ferita dalla guerra”.

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Le continue ‘spoliazioni’, lamentate spesso da associazioni e comitati rispetto al ventilato trasferimento di importanti uffici da Catanzaro verso altre città, la ‘difesa’ del ruolo di capoluogo regionale e la stessa partita che si gioca su un settore fondamentale come la Sanità, potranno costituire nuovi elementi di coesione sociale nella Catanzaro di oggi?

“Sarebbe auspicabile. Il processo di impoverimento e progressiva sottrazione delle funzioni del capoluogo è frutto di quel decadimento di cui parlavo prima. La “rivolta” del 1950 fu partecipata e vivace, anche perché sollecitata da una classe dirigente autorevole, fatta di giuristi e professionisti stimati, ma non raggiunse mai livelli insurrezionali. Ci furono incidenti, ma furono provocati dalla Celere, allora molto energica, più che dai manifestanti. Bisognerebbe tornare a quello spirito, non di ribellione ma di rivendicazione; mobilitare i catanzaresi chiamandoli all’impegno civile, ma mancano figure autorevoli in grado di esercitare sulla popolazione il carisma necessario”.

Alfonso Scalzo