Catanzaro, il capoluogo “assediato” dai Grande Aracri

Non ci fu voto di scambio, né hanno trovato riscontri le presunte minacce alle funzionarie dell’Asp di Catanzaro, ma nel capoluogo calabrese il clan Grande Aracri investì proventi delle sue attività illecite nel settore farmaceutico. È quanto emerge dalla lettura del dispositivo della sentenza di primo grado per 20 imputati (14 le condanne e 6 le assoluzioni) coinvolti nell’inchiesta Farmabusiness e giudicati il 18 febbraio scorso al termine del processo con rito abbreviato.

Economia infiltrata

Il giudice con la sua sentenza ha confermato l’operatività della cosca Grande Aracri nonostante la detenzione del boss Nicolino detto Mano di Gomma (la cui posizione è stata stralciata). A mantenere le redini sarebbero state proprio la moglie Giuseppina Mauro (condannata a 14 anni) e la figlia Elisabetta (10 anni e 8 mesi). La sentenza conferma anche il ruolo del 40enne catanzarese Domenico Scozzafava condannato a 16 anni. Per la Dda avrebbe curato gli affari economici e gli investimenti del clan «come forma di espansione della capacità di condizionamento o controllo del sistema economico nell’area del catanzarese». La presenza della cosca nel tessuto economico del capoluogo emerge anche dall’altro capo di imputazione che è stato confermato dal gup. Domenico Scozzafava, la moglie del boss Giuseppina Mauro, Giovanni Abramo (che ha patteggiato), Salvatore Grande Aracri (classe 79 condannato a 11 anni e 4 mesi), Paolo De Sole (8 anni e 4 mesi), Pasquale De Sole (assolto), Sisca Raffaele (in attesa di giudizio) e Domenico Grande Aracri (2 anni e 8 mesi) sono stati accusati di trasferimento fraudolenti di valori. In pratica per eludere le misure di prevenzione e reimpiegare proventi di natura illecita avrebbero intestato a prestanome le quote societarie del Consorzio Farmaitalia e di Farmaeko, società con sede in un capannone di Germaneto, in realtà «riconducibili ai componenti della cosca Grande Aracri».

Le accuse cadute

Non hanno retto al vaglio del giudice Barbara Saccà le accuse che la Dda di Catanzaro aveva contestato a Domenico Tallini, che ricopriva il ruolo di presidente del Consiglio regionale quando venne posto ai domiciliari. Due i capi di imputazione: concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Per l’accusa, in sintesi, Tallini avrebbe fornito un contributo concreto all’investimento della cosca cutrese avendo in cambio un sostegno elettorale. Per il gup in entrambi i casi il fatto non sussiste. Stessa formula utilizzata per far cadere l’accusa di minaccia a pubblico ufficiale nei confronti di Domenico Scozzafava, Pancrazio Opipari, Tommaso Aprile e Salvatore Grande Aracri (classe 79). Secondo l’originaria accusa Grande Aracri e Scozzafava come mandanti e Opipari e Aprile come esecutori avrebbero costretto due funzionarie dell’Asp a rilasciare parere positivo all’idoneità dei locali del Consorzio Farmaitalia dopo che per due volte l’autorizzazione all’inizio attività era stata negata. Per l’accusa Opipari e Aprile avrebbero fermato le due funzionarie proprio davanti alla sede dell’Asp. Le ipotesi d’accusa però non hanno trovato riscontro durante il processo e il capo di imputazione è caduto per tutti i 4 imputati.

Risarcimento

Anche il Comune di Catanzaro sarà risarcito come parte offesa nel processo Farmabusiness. E’ quanto emerge dalla lettura del dispositivo emesso lo scorso 18 febbraio dal gup Barbara Saccà. Durante la lettura in aula del verdetto vi erano stati alcuni errori materiali, ieri al collegio difensivo è stato notificato il provvedimento integrale con le dovute correzioni. Tra queste proprio quella relativa al risarcimento per Palazzo De Nobili. Il gup ha specificato che dovranno rifondere 20mila euro ciascuno gli imputati Scozzafava, Opipari e Donato Gallelli, mentre Maurizio Sabato dovrè risarcire 10mila euro. I quattro sono stati ritenuti responsabili di tentata estorsione. Infatti avrebbero posizionato due bottiglie con liquido infiammabile nel cantiere relativo all’appalto per la ristrutturazione del Palazzo dell’Educandato. Secondo l’accusa gli imputati con il posizionamento delle due bottiglie molotov avrebbero voluto rendere percepibile la capacità di assicurare e insidiare la tranquillità e la tutela dei beni dell’attività economica. Reato aggravato dall’essere stato commesso al fine di agevolare l’associazione mafiosa. Fonte: Gazzetta del Sud