Catanzaro. Mario “Trombone” e le sue piroette (elettorali)

«E adesso cosa facciamo?» chiede Mario Trombone, sorry Tassone, durante una riunione con il suo più fido collaboratore, cioè se stesso, la storia del patetico collocamento di un dinosauro!

Eh già, perché l’ultimo superstite della Prima Repubblica, non è che ne abbia più molti di seguiti, perciò quando fa le riunioni sono più che giusti gli spazi di una cabina telefonica. Anche il figlio Gianluca, mister 1325 voti (che non sono suoi, bensì il patrimonio elettorale del babbo dinosaurico, sul quale oggi non può nemmeno essere certo di confermare) intende seguirlo e ascoltarlo.

Mario Trombone, sorry Tassone, aveva messo in piedi un club di reduci e combattenti, tanto per ricattare dal di fuori l’UDC, partito non certo di fessi, anzi la vecchia ciabatta, concionando e ripetendo di dover tornare alla politica, sempre facendo passare gli altri per ascari e lui per puro (poi invece sappiamo che così non è!), si era messo in testa di dare le carte a Cesa, con il fine di riprendersi il bottino scudocrociato e guidarlo lui, illudendo i pochi, pochissimi, accoliti, che gli stanno attorno, solo perché non hanno niente da fare.

Certo se Mario Trombone, sorry Tassone, si godesse la sua misera pensione (come lui l’ha definita nella memorabile intervista a Radio 24 nel 2012) di 6.800 euro mensili, ne avremmo giovato noi cittadini, anche se privati delle performance trasformiste di questo pezzo da museo antico, ma soprattutto lui, che chiude con discredito una lunga carriera misteriosa e silenziosa.

Il primo a mandarlo al diavolo è stato Cesa, seguito dai maggiorenti locali, i quali però per calcolo e compassione hanno provato a riciclare il figlio – così come si usa fare con carta, cartone e vetro – capendo però che l’affare pure in questo caso non era buono o allettante, ma intanto avevano indotto Mario Trombone, sorry Tassone, a credere che lui fosse tornato il centro del mondo e quindi ai fasti di un tempo passato che non può tornare.

Il suo club nel frattempo rumoreggiava per le promesse di gloria e ritorno che si evaporavano, perciò il colpo da maestro è nella piroetta: cioè abbandonare tutto e tutti e trattare, direttamente, con chi il potere lo ha, ovvero Forza Italia, quindi Forza Mafia.

Mica male come porto finale, per uno che a parole (non nella pratica) dava ad intendere che lui è la politica (si, quella della poltrona). Tanto vale la concretezza e allora una telefonata nel mezzo delle trattative per la formazione delle liste si fa a chiunque, magari confidando nella riservatezza del destinatario, pure per chiedergli di inserire il figliolo, che a sua volta odia il padre, ma che non può farne a meno ufficialmente. Segreti di famiglia.

A Mario Trombone, sorry Tassone, gli hanno riso in faccia tutti, senza che lui se ne accorgesse, illudendolo e blandendolo e lui ci è cascato come un allocco, abbandonando i suoi, svendendo i proclami che lancia giornalmente con i suoi deliranti e esilaranti comunicati intrisi di nullismo ripetitivo e mandando agli appuntamenti nei ristoranti in riva al mare lametino, proprio il prode Gianluca, erede al trono del niente, assieme a Tranquillo Paradiso.

Tutti oramai ridono di questo arnese che non ha vergogna e sproloquia alla stregua di un disperato, non creduto da nessuno e senza seguito e voti.

Fortunatamente, uno scaltro che alberga al momento nell’UDC lo ha capito per primo e vedendolo agitarsi lo ha sbattuto fuori con la sua residua corte, fatta di pochi, ma questa storia non avrà fine e la continueremo a raccontare, visto che Mario Trombone, sorry Tassone, ormai alla fine si è piegato con i suoi 6800 euro di pensione (per lui pochi spiccioli) a Forza Italia, cioè Forza Mafia, pur di illudersi di contare qualcosa, mentre non gli faranno toccare nemmeno a purverata.