Catanzaro, processi aggiustati: Bonafede chiede sospensione di Petrini

Roma – Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha promosso l’azione disciplinare mediante richiesta di indagini al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione nei confronti del magistrato Marco Petrini, presidente della II sezione della Corte d’appello di Catanzaro, nonché presidente della commissione provinciale tributaria, arrestato nei giorni scorsi con l’accusa di corruzione in atti giudiziari su ordine della Procura di Salerno. Il Guardasigilli ha, inoltre, richiesto alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura che, in caso di revoca della misura cautelare, Petrini venga sospeso dall’esercizio delle funzioni, gli venga sospeso lo stipendio e che venga collocato fuori dal ruolo organico della magistratura.

Secondo il ministro della Giustizia le condotte messe in atto da Petrini, per cui è stata emessa la misura cautelare penale, sono per la loro gravità, incompatibili con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali nelle condizioni di necessario prestigio. Dal quadro indiziario “emerge, infatti- sottolinea una nota- la totale strumentalizzazione della funzione giurisdizionale esercitata da Petrini ai propri interessi illeciti di natura personale ed economica, perseguiti in spregio dell’interesse pubblico e dei principi di imparzialità e buon andamento della funzione giudiziaria”. “Appare inconcepibile – si legge nel documento trasmesso al CSM e firmato da Alfonso Bonafede – anche se dovesse venir meno la cautela penale, un ritorno al proprio posto di Petrini, se non a prezzo di un inaccettabile vulnus al prestigio della magistratura”.

Secondo la tesi accusatoria il magistrato sarebbe intervenuto, in cambio di consistenti somme di denaro, oggetti preziosi e anche prestazioni sessuali per determinare sentenze e provvedimenti in favore dei corruttori. L’inchiesta è partita nel 2018 ed è stata condotta inizialmente dalla Procura di Catanzaro, per poi passare, per competenza, alla Procura di Salerno, proprio perché tra le persone indagate figurava il magistrato della Corte d’appello.