Catanzaro, gli intrecci tra Lardieri e il generale Mariggiò e l’arresto del maresciallo Greco

E’ da qualche tempo ormai che sono emersi clamorosi sviluppi dalle vicende che riguardano l’arresto del maresciallo dei carabinieri forestali Carmine Greco detto Carminuzzo, avvenuto nel luglio 2018 ed eseguito su disposizione della Dda di Catanzaro. E anche se il Tribunale di Crotone due anni fa ha condannato Greco a 13 anni di reclusione in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, è giusto sottolineare che ci sono diversi aspetti che non tornano.

Partiamo dal fatto che il fedelissimo del procuratore Gratteri, il capitano dei carabinieri Gerardo Lardieri, non ha stanato, scoperto o snidato il maresciallo Greco, come si è creduto per parecchio tempo: la realtà dei fatti è un’altra.

Carmine Greco teneva sotto scacco diverse persone tra carabinieri forestali ed alti funzionari di Calabria Verde, per aver scoperto una serie di mazzette ed estorsioni finalizzate alla concessione delle autorizzazioni per il disboscamento selvaggio della Sila cosentina e crotonese.

Alcuni mesi prima del suo arresto, Carmine Greco litiga verbalmente con Gaetano Gorpia, colonnello dei carabinieri forestali di Cosenza. Secondo quanto riferiscono molte fonti, lo avrebbe sputtanato davanti a tutti per le sue malefatte ed i soldi che avrebbe intascato per le concessioni rilasciate riguardo il taglio dei boschi.

Da allora inizia una faida intestina tra carabinieri forestali: Gorpia e la sua banda da un lato e Carmine Greco dall’altra. Gorpia corre ai ripari, informa Calabria Verde dell’accaduto con il Greco, e che quest’ultimo ha atti e prove in mano per fare esplodere una “bomba”. Il tutto avviene durante la famigerata operazione Stige condotta dalla Direzione Antimafia di Catanzaro, ma di tali fatti non vi è traccia negli atti processuali né ci sono intercettazioni telefoniche perché fino a quel momento il maresciallo Carmine Greco è ancora un illustre sconosciuto.

Il Generale Mariggiò

Il commissario straordinario di Calabria Verde, l’ex generale dei carabinieri Aloisio Mariggiò, tramite il comandante della Regione Carabinieri Calabria, convoca il ben noto capitano Gerardo Lardieri, all’epoca comandante del Noe calabrese, ed intima allo stesso di svolgere attività intercettiva nei confronti di Carmine Greco, servendosi proprio del colonnello Gorpia.

In molti riferiscono che il Lardieri, fino ad oggi, non è mai stato in grado di sviluppare indagini di polizia giudiziaria di sua iniziativa. Il suo forte – affermano molte fonti – è fare il copia e incolla dei verbali dei collaboratori di giustizia e poi acquisire atti di polizia giudiziaria presso i Comandi dell’Arma dove è stato commesso il reato. In sostanza fare quadrare i conti con quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia.

Arriviamo così ai primi incontri tra il Lardieri ed il Gorpia. Tanto per mettere in chiaro le cose: a Lardieri di Gorpia non gliene fregava un tubo. Al Lardieri era stato soltanto ordinato dalla Dda di Catanzaro di fare in modo di arrestare il Greco per screditare le indagini che lo stesso svolgeva su delega della procura di Castrovillari, per poi screditare, successivamente, la professionalità del procuratore Facciolla, notoriamente inviso ai poteri forti della Dda di Catanzaro. Di conseguenza, Gerardo Lardieri scriveva sotto dettatura e Gaetano Gorpia firmava i verbali senza neanche leggerne il contenuto.

Il maggiore Gerardo Lardieri

Dopo avere fatto arrestare Greco con l’ausilio determinante di prove artefatte, il Lardieri, su input dei magistrati della Dda di Catanzaro, ha continuato a fare accertamenti per fornire le prove affinché la procura di Salerno potesse ottenere una richiesta di misura cautelare nei confronti del procuratore di Castrovillari.

A questo punto, è quasi spontaneo chiedersi: la procura di Salerno sa che dopo le false accuse artefatte dal Lardieri e firmate dal Gorpia, i due non parlavano più telefonicamente e si incontravano a Catanzaro o a Cosenza temendo di essere intercettati? 

La procura di Salerno sa che il Lardieri, nel corso delle festività di Capodanno, in cambio del favore ha preteso le migliori suite in località Cupone nella Sila cosentina per trascorrere le festività, unitamente a gentaglia istituzionale come lui?

E non è finita qui: sapete perché a Reggio Calabria in un processo penale per falsa testimonianza e favoreggiamento alla ‘ndrangheta lui è stato assolto ed il colonnello Giardina condannato? E’ di dominio pubblico: Lardieri intratterrebbe una relazione con una nota giudice dell’Ufficio GIP/GUP di quel Tribunale.

Gratteri e Pignatone

All’epoca, il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria e l’aggiunto erano Pignatone e Prestipino. Una mattina un maresciallo in servizio al Ros di Catanzaro si presenta al suo comandante e chiede di essere accompagnato dal procuratore capo, cioè il dottor Pignatone. Giunto al cospetto del predetto magistrato e del suo aggiunto, riferisce di avere avuto una notizia confidenziale che da lì a qualche giorno nel territorio di Sinopoli (RC) avrebbe trovato ospitalità il latitante Matteo Messina Denaro, in quanto bisognoso di terapie mediche presso una clinica di Villa San Giovanni.

Pignatone e Prestipino ammoniscono il soggetto e il comandante del Ros che quella notizia non doveva essere portata a conoscenza di altri magistrati della procura. Sicuramente avevano fiutato che le notizie sulla cattura dei latitanti, nonostante fossero localizzati attraverso intercettazioni e attività tecniche, venivano comunicate ai Servizi Segreti ed attraverso la trasmissione della cosiddetta velina arrivavano milioni di euro poi divisi tra pochi.

Il maresciallo mantiene la promessa fatta ai due magistrati, mentre il comandante del Ros avvisa subito Lardieri e lo manda ad informare Gratteri. Sarebbe stato un peccato perdere i soldi della taglia pendente su Matteo Messina Denaro.

Gratteri allora avrebbe delegato verbalmente il Lardieri ed alcuni uomini di sua fiducia, a battere i territori di Sinopoli e Santa Eufemia d’Aspromonte per avere notizie certe ed intervenire, senza notiziare il procuratore capo o l’aggiunto di Reggio Calabria, visto che c’erano in ballo fior di milioni di euro ed era un peccato perderli.

Sta di fatto che la presenza del Lardieri in quei territori a far domande circa un eventuale arrivo del Messina Denaro, costringe il capocosca degli Alvaro di Sinopoli ad inviare una “colomba bianca” (emissario) in Sicilia per annullare il soggiorno in Calabria in quanto i “mignu” (carabinieri) sapevano tutto. Principalmente hanno messo a rischio la vita del delatore e del maresciallo. Ma oltre il danno è arrivata anche la beffa: Matteo Messina Denaro è ancora uccel di bosco.

La fratellanza tra ‘ndrangheta e mafia palermitana, del resto, ha origini lontane. La mafia siciliana per depistare l’omicidio del Generale Dalla Chiesa, fornì notizie confidenziali indicando un appartenente agli Alvaro di Sinopoli, che grazie ad un alibi di ferro, venne arrestato e successivamente scarcerato per non aver commesso il fatto. Ormai è storia…  Alla prossima.