Ciao Gianni Di Marzio. Il Catanzaro come una famiglia, Palanca e la “cartomante”

Paolo Braca, Giorgio Pellizzaro, Massimo Palanca, Alberto Spelta, Gianni Di Marzio e Claudio Ranieri a Nantes. Capodanno 2018

Genova – C’è stato un tempo in cui Genoa-Catanzaro si giocava in Serie A. La prima volta risale al 1976/77, con i calabresi guidati da Gianni Di Marzio, poi allenatore del Grifo tre stagioni dopo. «Quel Catanzaro rappresentava l’intera Calabria che ci supportava con gran passione. Col Genoa non centrai la promozione in A, ma non ho mai visto nessuno amare la propria squadra con il trasporto dei tifosi rossoblù», racconta Di Marzio.

Che ricordi ha di quel suo Catanzaro?
«Sfiorai la promozione al primo colpo, ma perdemmo lo spareggio col Verona a Terni: che amarezza, erano venuti a vederci 30mila calabresi. Ci rifacemmo l’anno dopo e fu Serie A. Il simbolo era Palanca: avevo tra le mani pure Altobelli ma mi serviva più uno con le caratteristiche di Massimino. Palanca era formidabile, col suo piedino 36 faceva quel che voleva, eppure l’inizio per lui fu difficile».

E come si sbloccò?
«Il giovedì faceva gol incredibili, la domenica pativa la pressione. Improta, il Baronetto di Posillipo, mi suggerì di farlo parlare con una sua amica cartomante. Non che ci creda molto, ma dalla gara dopo Palanca fece doppietta e non si fermò più. Quel Catanzaro non era solo una squadra, ma una famiglia».

In che senso?
«Con i ragazzi del Catanzaro dopo più di 40 anni facciamo le vacanze insieme. E gran merito è di Ranieri. Claudio aveva comprato uno yacht su cui ospitava tutti gli ex compagni a sue spese per 15 giorni. Poi le famiglie si sono allargate, così ha venduto la barca e comprato un rustico in Toscana, a Castelnuovo dove ci vediamo ogni estate: mangiamo, beviamo, ogni giorno sembra Capodanno. Legame fortissimo, Claudio ci aveva invitato anche a Leicester. E in panchina è sempre bravissimo, con la Samp sta facendo molto bene. Qualcosa gliela avrò pure insegnata, no? (ride)».

Pure lei ha allenato a Genova, ma sponda rossoblù.
«Sì, non andammo in A ma il Genoa per me è “primo in classifica”, nel senso che il calore della Nord è superiore a qualsiasi tifoseria. La genoanità è quasi una “malattia”, una passione viscerale: a casa di amici mi è capitato di trovare le camere da letto colorate di rossoblù. E il derby di Genova è imbattibile».

Le mancò un Palanca.
«Come potenziale c’era Manfrin: ruolo diverso ma avrebbe potuto fare molto di più, aveva un grandissimo talento».

Lei ora che fa?
«Collaboro con Qpr e Wolfsburg. E con club spagnoli. Continuo a cercare talenti in giro per il mondo, lo scouting è una cosa seria, bisogna muoversi, essere attivi. Lo sapete, di giovani poi diventati campioni ne ho scovati tanti, alla Juve avevo segnalato Messi, Aguero, Pato, avevo praticamente fatto prendere CR7 e li convinsi ad acquistare Ibra».