Civita, i buchi neri di una tragedia: Comune, Parco del Pollino, Protezione Civile e guide

Il sindaco di Civita Alessandro Tocci e il presidente del Parco del Pollino Domenico Pappaterra

Concluse le operazioni di ricerca e contate le vittime della tragedia delle Gole del Raganello, annunciata l’apertura e poi anche la chiusura di un’inchiesta da parte della procura della Repubblica di Castrovillari con ipotesi di reato gravissime, ma che – come da scontato copione – non hanno portato a nulla, a cinque anni esatti di distanza dal disastro che è costata la vita a dieci persone, sarebbe anche giunto il tempo di capire. Non tanto perché il torrente è esondato ma come e perché ci fosse tanta, troppa gente all’interno delle Gole e nessun regolamento serio da rispettare.

Il sindaco di Civita, Alessandro Tocci, è inevitabilmente tra coloro che hanno avuto responsabilità. Non perché debba pagare per tutti, ci mancherebbe, ma perché è inevitabile che il primo cittadino del Comune nel quale è avvenuta la tragedia, sia coinvolto dal marasma. “Negli ultimi anni era aumentato di molto nelle gole del Raganello il fenomeno del torrentismo. Stavamo lavorando assieme alle altre comunità (San Lorenzo Bellizzi, Cerchiara, Francavilla e con il supporto del Parco Nazionale del Pollino) per poter regolare l’accesso”, aveva detto nell’immediatezza dei fatti. “Ora – aveva aggiunto – ci dovremo mettere attorno ad un tavolo per stabilire quello che si dovrà fare. È facile adesso sparare nel mucchio e dire cosa bisognasse fare. Per parte mia, mi sento con la coscienza tranquilla”.

Stava sulla difensiva il sindaco, che è decisamente meno “politico” del vero referente politico della situazione che era il presidente del Parco del Pollino Mimmo Pappaterra, il quale non figurava tra i 14 indagati. Ormai veterano, socialista di lungo corso, galleggia da una vita nel sottobosco del grande business della politica e non solo il Parco è stato demandato a lui da una vita ma ce lo siamo ritrovati addirittura commissario dell’Arpacal, anche se poi finalmente ci hanno messo qualche altro faccendiere sia al Parco che all’Arpacal. E ci mancava pure… Davanti alle telecamere, questo soggetto immarcescibile e imperturbabile già all’epoca non si scomponeva un attimo: del resto, la miglior difesa è l’attacco. “Il Parco del Pollino si estende per 200mila ettari, attraversa 56 Comuni e 170mila abitanti – affermava il “Pappa” come lo chiamano un po’ tutti -. Non è un parco urbano e di conseguenza è libero a tutti”. In due parole: noi non abbiamo competenze, prendetevela con qualcun altro: cosa dovremmo fare?

E ci siamo dovuti sorbire anche l’arrivo dell’incapace per eccellenza ovvero il presidente della Regione Palla Palla (oggi non più governatore), accompagnato dal suo solito codazzo di lecchini a prendersela (!) col destino cinico e baro. Della serie: almeno non farci vedere la tua brutta faccia e stattene a San Giovanni in Fiore. E invece no, ha passeggiato contrito con i due soggetti della Protezione Civile (il capo nazionale Borrelli e quello regionale Tansi) che avrebbero voluto lavarsi le mani e la coscienza con una mezza “dichiarazione” di allerta gialla senza aver mai controllato e monitorato veramente la situazione.

Quelli che puntano il dito contro il sistema e le istituzioni non hanno usato – e anche giustamente – mezzi termini.

«Quello che è accaduto nelle gole del Raganello è stato un disastro annunciato. Questo posto era diventato un luna park. Non è possibile vedere bambini con infradito che si avventurano per i sentieri e donne con vestiti da spiaggia». Così Claudio, buon conoscitore e frequentatore abituale della zona, che è stato tra i primi a intervenire sui luoghi della tragedia. «Abbiamo soccorso due ragazze napoletane – ha aggiunto Claudio – che erano riuscite a risalire. Erano in stato di shock e sono arrivate fino a noi scalze e con segni di tagli provocati dalle rocce. Hanno raccontato di una situazione “terrificante”».

Il presidente dell’Ordine dei Geologi calabrese Alfonso Aliperta si soffermava sulle responsabilità a monte e individua una serie di inadempienze e di noncuranze molto gravi. Per evitare la tragedia “sarebbe bastato avere un sistema di monitoraggio a monte che funzionasse da ‘semaforo rosso’ per i turisti, impedendo loro di accedere”. Sistema di monitoraggio che, però, è assente in un’area “che negli anni è diventata un’attrazione turistica perché è meravigliosa, ma che è anche una zona piena di pericoli“. Accuse neanche troppo velate all’atteggiamento e ai mancati controlli della Protezione Civile Calabria, che ha brillato solo per la (solita) sovraesposizione mediatica di Carlo Tansi e non ha effettuato nessun tipo di monitoraggio a fronte di una situazione meteorologica che poteva e doveva creare allarme, altro che le dirette televisive e i bollettini…

E si finisce con la polemica sulle guide, evidentemente non riconosciute da quelle “ufficiali”, che magari sarà il caso di evitare, visto che Antonio De Rasis ha perso la vita. Ma anche quello non è stato un problema secondario nelle dinamiche che hanno reso possibile questa tragedia.