Coronavirus, 38° giorno. L’allarme del Papa: “La gente inizia ad avere fame”. E attacca il clericalismo

CITTA’ DEL VATICANO. “In questi giorni, in alcune parti del mondo, si sono evidenziate conseguenze – alcune conseguenze – della pandemia; una di quelle è la fame. Si incomincia a vedere gente che ha fame, perché non può lavorare, non aveva un lavoro fisso, e per tante circostanze. Incominciamo già a vedere il ‘dopo’, che verrà più tardi ma incomincia adesso. Preghiamo per le famiglie che incominciano a sentire il bisogno a causa della pandemia”. Lo ha detto il Papa, nella messa alla Cappella di Casa Santa Marta, la 21esima in diretta streaming dopo la sospensione, in Italia e altri Paesi, della celebrazione eucaristica con la partecipazione dei fedeli a causa della pandemia di coronavirus. Nell’omelia, il Papa ha ricordato i sacerdoti e le suore che non hanno dimenticato di appartenere al popolo e continuano ad aiutare poveri e malati anche in questo periodo.

Papa Francesco critica poi aspramente l’atteggiamento elitario che può emergere in tempi come questi, di coronavirus, e chiede alla Chiesa di abbandonare questa forma di “clericalismo” per cui ci si discosta dal popolo di Dio. Nel corso dell’omelia, il Pontefice ha parlato con toni molto critici delle osservazioni che gli sono giunte: perplessità nei confronti di “suore e sacerdoti sani, che escono per aiutare i malati” e dare da mangiare a chi ne ha bisogno “prendere il coronavirus” loro stessi. Peggio: persone che sussurrano: “Dare da mangiare? È il governo che provvede”.

Si tratta di un atteggiamento che denota il considerare il popolo “gente di seconda classe” mentre per se stessi si riserva l’idea di “essere classe dirigente” che “non ha bisogno di sporcarsi le mani con i poveri”. Ma “questo sacerdoti e suore che non hanno il coraggio di servire i poveri hanno perso la memoria di essere parte del popolo.

Un richiamo alla Chiesa e ai suoi esponenti delle gerarchie. “Pensiamo oggi ai tanti uomini e alle tante donne al servizio di Dio che non si staccano dal popolo”, dice loro il Papa, “che anzi, vanno a servire il popolo”. E cita la foto mostratagli in questi giorni di un giovane prete di campagna, di un paese dove ha nevicato da poco, che “va nella neve a portare l’ostensorio nei piccoli paesini, e non importa la neve, non importa il bruciore delle mani” al contatto con il metallo. L’importante è portare “Gesù tra la gente”.

Il Popolo, infatti, “non può fallire. Pensiamo tutti se siamo con il sentire del popolo di Dio. Pensiamo all’elite che si stacca dal popolo, al clericalismo. E se Paolo consigliava al giovane vescovo Timoteo di ricordarsi di sua madre e sua nonna, è perché sapeva bene del pericolo al quale portava questo senso di elite nella nostra dirigenza”. Infatti, precisa riferendosi al passo evangelico letto oggi nel corso della liturgia della parola, l’elite “prova disprezzo per Gesù e per il popolo: gente ignorante che non sa nulla”.

Invece “il santo popolo di Dio crede in Gesù e lo segue”. In questo modo “l’elite si stacca dal popolo”, ed alla radice di questo c’è l’dea di “essere intelligenti, di avere studiato”. Ma questo vuol dire “avere perso la memoria della propria appartenenza al popolo”.

Un atteggiamento che si registra già nell’Antico Testamento, questo della classe sacerdotale superba, ma da cui non sono immuni nemmeno gli apostoli, e lo dimostrano in occasione del miracolo della moltiplicazione dei pani, perché prima che Cristo intervenga loro chiedono di allontanare la gente, perché si trovi da mangiare. Cristo invece “li rimette al popolo”, dice agli apostoli: “Date voi loro da mangiare”.

Il contrario del “disprezzo per il popolo” delle classi dirigenti avulse da esso, dei “chierici” il cui atteggiamento puo’ essere  bollato solo come “clericalismo”.Invece il popolo di Dio “ha il fiuto di riconoscere la strada della salvezza”. È peccatore, come tutti, ma sa dove è lo Spirito”. Quindi va seguito e accompagnato: questo è guidare.