Coronavirus, Calabria. Tutti i focolai arrivano dal Nord: Lombardia, Emilia, Veneto e Trentino

Quando è passato quasi un mese dal primo, scellerato esodo dal Nord verso il Sud avvenuto tra il 22 e il 24 febbraio e quando sono passati 15 giorni dal secondo, altrettanto scellerato, fuggi fuggi avvenuto tra il 7 e l’8 marzo, si può affermare senza possibilità di equivoci che in Calabria siamo davanti ad una situazione ormai abbastanza cristallizzata.

Tutti i focolai attivi in Calabria sono stati alimentati da persone provenienti dal Nord, che sono arrivate a destinazione con aerei, treni e bus e purtroppo hanno diffuso il contagio: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Trentino Alto Adige sono le regioni dalle quali sono arrivati i soggetti che hanno innescato tutti i 273 casi positivi ufficializzati dalle autorità. E possiamo tranquillamente affermare che ci è andata benissimo, visto quello che sta accadendo altrove. Nonostante l’incapacità e la totale inerzia della Regione, che solo quando TUTTI (ma proprio tutti) i buoi sono scappati dalla stalla, ha dato vita alla colpevolmente tardiva, inutile e grottesca ordinanza di chiusura degli ingressi e delle uscite dalla Calabria.

I QUATTRO FOCOLAI DELLA PROVINCIA DI COSENZA

Quattro focolai principali sono attivi in provincia di Cosenza: i più “numerosi” sono quelli dello Jonio (14 casi, di cui 11 a Corigliano-Rossano e 3 a Cariati) e del Tirreno (11 casi tra San Lucido, Paola, Fuscaldo, Cetraro, Belvedere e Santa Maria del Cedro). Poi c’è la polveriera del Savuto, con 10 casi tra Rogliano e Santo Stefano di Rogliano e infine i fociali minori della Valle dell’Esaro e di Cosenza, con 6 casi complessivi.

Il “paziente 1” dello Jonio è un 78enne di Corigliano-Rossano, che dopo aver partecipato ad un funerale a Mirto Crosia, al quale erano presenti alcuni soggetti provenienti dalla Lombardia, ha infettato una vicina di casa (una 65enne tuttora ricoverata in Rianimazione a Cosenza), una parente di quest’ultima e un altro suo parente per un totale di 4 casi. Un altro focolaio è stato portato dalla consigliera comunale proveniente da una settimana bianca nel Trentino Alto Adige.

Il “paziente 1” del Tirreno è un dializzato di Cetraro rientrato il 23 febbraio da Casalpusterlengo, nel cuore della zona rossa della Lombardia ma sostanzialmente il contagio vero e proprio è arrivato da San Lucido, dove un soggetto proveniente da Bergamo, vicinissimo all’entourage di Jole Santelli, ha innescato una maledetta catena di paura infettando sei persone, una delle quali purtroppo è deceduta ieri. Deceduto anche un paziente di Paola che era stato contagiato, secondo quanto si è appreso, da un nipote proveniente dalla Lombardia con il quale aveva avuto contatti. 

Quanto alla polveriera del Savuto, il primo focolao è stato alimentato dal paziente 68enne di Rogliano, titolare di un autolavaggio, che organizza anche gite con i pullman, proveniente dal Veneto e rimasto infettato. Per fortuna, da questo caso non ne sono nati altri. Non è stato così, invece, con una coppia di coniugi sulla sessantina, che hanno avuto contatti con una familiare proveniente dall’Emilia Romagna e adesso sono ricoverati a Cosenza. I contatti sono stati estesi successivamente addirittura al sindaco stesso di Rogliano (ufficialmente contagiato e ricoverato) e ad un suo collaboratore, l’assessore alla Cultura, in attesa dell’esito del tampone. Gli altri casi ci portano a Santo Stefano di Rogliano, dove un militare 25enne in servizio a Cosenza – anche lui dopo aver avuto contatti con una persona proveniente dal Nord – ha contagiato il padre, la moglie, la figlia di 14 mesi e anche suocero e suocera, residenti a Terranova da Sibari. Nel Savuto, dunque, siamo a 10 casi conclamati.

Anche il “paziente 1” della Valle dell’Esaro, l’informatore scientifico 65enne di Tarsia ma residente a Rende, deceduto nei giorni scorsi, è stato contagiato da un soggetto proveniente dal Nord. Secondo molte testimonianze provenienti da Tarsia, l’informatore scientifico e la moglie dopo il 21 febbraio, giorno ufficiale di inizio dell’emergenza virus, sarebbero stati a contatto con il fratello della moglie, che sarebbe arrivato a Tarsia da Bergamo senza avvisare le autorità sanitarie. Il soggetto sarebbe stato non solo a contatto con i suoi familiari ma anche in alcuni locali pubblici, finché qualcuno non ha informato i carabinieri, che gli avrebbero intimato di non uscire da casa e di chiamare il medico per recarsi a fare il tampone, perché proveniva dalla zona rossa. Infine, sarebbe tornato al Nord.

Sempre dalla Valle dell’Esaro parte poi il focolaio che porta anche a Cosenza. Ad innescarlo è un sindacalista della Uil, originario di San Marco Argentano, che spesso vola in Veneto per la sua attività nella Uil-Temp, che organizza, rappresenta e tutela le lavoratrici e i lavoratori in somministrazione, i lavoratori parasubordinati quali collaboratori coordinati e continuativi, collaboratori a progetto, e le nuove figure professionali (lavoratori con partita IVA). Il primo ad essere contagiato è un collega della Uil, che di mestiere fa il vigile del fuoco e manda in crisi tutta la caserma di viale della Repubblica a Cosenza, costretta a mettersi in quarantena. Successivamente si sente male anche un loro amico, un ingegnere 47enne cosentino, costretto al ricovero qualche giorno fa.

IL FOCOLAIO DI MONTEBELLO JONICO

Nella provincia di Reggio Calabria sono morte tre persone. La prima era di Montebello Jonico: era un dipendente comunale deceduto all’ospedale di Melito Porto Salvo per le conseguenze di un infarto ma risultato positivo al tampone dopo il decesso, avvenuto dunque anche per il virus. Quanto basta per far scattare responsabilmente l’allarme. Sì, perché pochi giorni prima era risultato positivo un camionista di 39 anni, di Montebello Jonico, che proveniva da un viaggio al Nord (pare dalla Lombardia) e lo stesso sindaco della cittadina, Ugo Suraci. Di conseguenza, Montebello è stato il primo comune calabrese ad essere considerato “zoma rossa”. Per il resto, a Reggio trapelano pochi particolari sui contagiati anche se ci sono una ventina di ricoverati (tre dei quali in Rianimazione) al Grande Ospedale Metropolitano.

CALABRIA CENTRALE: IL FOCOLAIO DI CUTRO 

Nella Calabria centrale la provincia dalla quale sono emersi più casi è quella di Crotone, nel cui ospedale è morto un paziente di 65 anni. Ed è Cutro il comune della provincia di Crotone che desta maggiori preoccupazioni per la diffusione del contagio e non a caso l’altro ieri, prima ancora della grottesca “chiusura generale” della Calabria decisa dalla Regione, era già arrivata l’ordinanza per Cutro. L’analisi epidemiologica dei contagi finora riscontrati nel Crotonese rivela che proprio a Cutro, dove si registra il più alto numero di persone rientrate dal Nord Italia, soprattutto dall’Emilia-Romagna, che si sono autodenunciate, si troverebbe un focolaio del virus. Non è un mistero che in questi ultimi giorni si sia registrata un’impennata improvvisa dei casi positivi a Crotone e provincia. Riguardo alla provenienza dei contagiati, Cutro ha un ruolo centrale. Tra i pazienti contagiati ci sarebbero infatti quattro operai di un consorzio pubblico forse infettati da uno dei primi pazienti positivi, anche in questo caso riconducibile a Cutro.

A Catanzaro, il “paziente 1” è un 67enne tornato (sembra da solo) da un viaggio a Peschiera del Garda, che ha contagiato la moglie nei primi giorni dell’emergenza. Per fortuna, i casi sono rimasti circoscritti mentre ha creato molta più apprensione il focolaio innescato da un paziente dializzato al Pugliese, che ha determinato il contagio di un medico, di altri tre dializzati e di 7 infermieri, per fortuna tutti in buone condizioni. Ricoverata in Rianimazione invece una donna di Cropani

Il sindaco di Cropani Raffaele Mercurio, a proposito della paziente di Cropani ha detto in un video su Fb qualche giorno fa: “Il soggetto in questione è arrivata a Cropani Marina quando ancora non era prevista la quarantena volontaria. Nel frattempo, esattamente l’8 Marzo scorso, sono cambiate le norme che hanno previsto la quarantena volontaria per tutti coloro i quali arrivavano dalle cosiddette zone rosse (tra cui il soggetto che è arrivato dalla Lombardia). Il soggetto correttamente il 9 Marzo ha seguito la prassi e si è messa in quarantena volontaria, malgrado ciò ha contratto il virus. Ora ribadisco: tutti coloro i quali sono entrati in stretto contatto con il soggetto, e per contatto s’intende averci parlato per oltre 10 minuti non mantenendo la distanza minima di sicurezza (1 metro) e magari avendolo abbracciato baciato ecc…, sono tenuti a mettersi in quarantena volontaria. Detto ciò è bene precisare che mai come in questo momento non serve nessuna caccia alle streghe…”.

Quanto alla situazione di Vibo Valentia, si può dire che è la provincia che desta meno preoccupazioni, anche se proprio in questi ultimi due giorni sono emersi 4 casi positivi a Serra San Bruno che stanno creando un po’ di apprensione. Precedentemente, erano state le frazioni vibonesi di Longobardi e Piscopio a registrare alcuni casi. In particolare, quelli di una coppia di coniugi rientrata da un viaggio nel Pavese, tuttora ricoverati al Pugliese di Catanzaro.