Coronavirus, Cosenza. Il caso Bufalo Bianco e le gravi colpe dell’Asp

“Ogni bambino che entrerà in questo parco ricorderà Nicholas e, insieme a lui, i suoi genitori, il cui nome è idealmente accanto a quello del figliolo”. Con queste parole l’allora sindaco di Cosenza, Giacomo Mancini, nel 1994 intitolò l’ex Parco degli Ulivi “Parco Nicholas Green”. Un luogo importante per la città, soggetta col trascorrere degli anni, ad una cementificazione allarmante e ad una continua espansione urbanistica.

Proprio per questo il verde del parco rappresenta un naturale contrappasso allo sviluppo urbano, agli insediamenti cittadini e alle zone industriali. Un luogo dove immergersi nella natura e staccare dalla routine quotidiana.

Nel tempo il parco ha subito un processo “d’invecchiamento”, è stato a lungo abbandonato e dimenticato, poi la rinascita. Molti lavori di pulizia e riqualificazione hanno portato l’attenzione dovuta a quell’area verde sulle rive del Campagnano confinante con un altro parco, il Robinson della vicina Rende.

Nel 2015, tuttavia, in piena campagna elettorale, il sindaco cazzaro della città ha rotto l’armonia del verde con la costruzione di una nuova struttura posizionata proprio all’ingresso del parco Nicholas Green.

Si trattava di una braceria, considerata da alcuni inizialmente un “piccolo ecomostro” all’interno di uno spazio verde cittadino. Molti pensavano si trattasse di una struttura temporanea, destinata ad andare avanti per uno massimo due anni e invece non solo stiamo arrivando al quinto ma la struttura si è “allargata” sempre di più ed è diventata un “grande ecomostro” e quindi un ristorante a tutti gli effetti.

Ad altri, invece, l’idea non dispiaceva “anche se – commentava un residente della zona – bisognerebbe capire la durata della concessione del suolo pubblico e se i fumi della griglia, gli scarichi, i tubi e quant’altro, col tempo possono danneggiare il verde intorno”.

Altri ancora invece dichiaravano: “Visivamente passare da qui e vedere una braceria in un parco non è molto piacevole. La carne sarà anche buonissima ma vi sono tanti posti in città dove aprire una braceria, dovevano farlo proprio in un parco? Poi la costruzione è avvenuta in tempi velocissimi…”. 

Quella braceria si chiama Bufalo Bianco e, vista la spregiudicatezza e la velocità con le quali chi ne ha a cuore le sorti, è riuscito a piazzarla in mezzo al verde del Parco Nicholas Green e vista la “potenza” con la quale ha superato ogni ostacolo, non c’è dubbio che abbia a capo qualcuno che dev’essere molto vicino – per usare un eufemismo – al sindaco peggiore della storia di Cosenza. Eh sì, perché il titolare del Bufalo Bianco è stato anche il proprietario di un famosissimo bar di fronte al Comune di Rende (poi passato ad un avvocato della combriccola) che è il quartier generale della banda di Marcello Mazzetta. Insomma, siamo in presenza di un “intoccabile”. E ce ne siamo accorti – eccome – in questo maledetto mese di settembre nel corso del quale il Bufalo Bianco è diventato il crocevia di un preoccupante contagio da Covid 19. Eppure, non c’è un solo media di regime che abbia avuto il “coraggio” di scriverne il nome. Chissà perché…

Ma veniamo ai fatti e partiamo dal primo dato certo. Tra venerdì 11 e sabato 12 settembre il ristorante viene chiuso per sanificazione. Nel frattempo si è accertato che la cuoca ha contratto il virus. Qualche giorno dopo i casi salgono a 4 ma paradossalmente il ristorante è ancora aperto né tantomeno nessun media ha scritto o detto il nome del locale. Trascorrono addirittura sette giorni prima che il Bufalo Bianco annunci la chiusura per lavori di… ristrutturazione.

Sempre in questo lasso di tempo vengono sottoposte a tampone altre persone tra cui la parente del titolare, che lavora all’Asp. Ora, senza voler entrare nel merito ovvero senza voler cercare di capire se ancora era in servizio, se faceva smartworking o se era stata chiamata in ufficio, sappiamo con certezza che l’esito positivo del tampone è stato comunicato martedì 22 settembre. Perché l’Asp di Cosenza non ne ha dato notizia? E perché ha effettuato i tamponi ai dipendenti soltanto il giorno dopo l’uscita del nostro articolo ovvero il 25 settembre? Siamo davanti ad un colpevole tentativo di insabbiare e di nascondere la verità, gravissimo in tempi di pandemia.

Sì, perché il focolaio del Bufalo Bianco non ha colpito solo l’Asp ma anche una scuola privata frequentata dal figlio della dipendente dell’Asp risultato positivo e l’Istituto delle Canossiane dove abita uno dei dipendenti del locale che ha contratto il virus. Ci sarebbe da intervenire con forza sul metodo di gestione dell’Asp di Cosenza ma la politica in queste ore fa come gli struzzi. Continuiamo così, facciamoci del male.