Coronavirus. I ricchi contagiosi passano i confini, ma non i bambini di Chernobyl (di Claudio Dionesalvi)

Coronavirus, i ricchi contagiosi passano i confini, ma non i bambini di Chernobyl

di Claudio Dionesalvi

La pandemia sembra perdere forza, ma la psicosi ormai è radicata ovunque, nella coscienza individuale e in quella collettiva, ammesso che ne esista ancora una. Il contagio, quando avviene, dipende spesso da manager e soggetti che viaggiano per affari o turismo per straricchi. Intanto, si consumano le tragedie di chi vede chiudersi in faccia i confini e non ha mezzi per oltrepassarli. Tra questi casi, significativo è il dramma delle numerose famiglie italiane che da tanti anni accolgono i bambini della Bielorussia. Sono bimbi che vengono in alcuni periodi dell’anno per curarsi, vivere qualche settimana serena, sfuggire agli effetti del flagello radioattivo che ha divorato i loro affetti e la loro terra. Il Comitato dei Minori ha comunicato ad alcune Associazioni che si occupano di accogliere i bimbi di Chernobyl la sospensione dei progetti per tutta l’estate. Dunque, causa pandemia, non potranno venire in Italia nel mese di agosto.

Paola Lombardi, cosentina, è una mamma che insieme a suo marito Alessandro accoglie un bambino bielorusso, Arseni. Quest’anno non potrà vederlo. Paola, cosa si prova quando arriva un bimbo in casa tua?

Amore, gioia, felicità, allegria…emozioni e sensazioni che Arseni ci ha regalato fin dal nostro primo incontro in aeroporto; e poi abbracci, sorrisi ma anche ansie, capricci e monellerie, il tutto a renderci ancora più “famiglia”: mamma, papà e Arseni.

Quando e come è iniziato questo vostro cammino?
Il nostro è un percorso fatto di emozioni ed esperienze, sorrisi, lacrime e tanto amore incondizionato. Ricordo con forte commozione quel venerdì 31 Maggio 2019, la frenesia in aeroporto: “Gli piaceremo? Piangerà? Vorrà dormire da solo o con noi? Come faremo con la lingua?”. Quante domande, quanti pensieri futili, svaniti non appena, da lontano, vediamo un puffetto biondo e minuto, intrufolarsi e sorpassare tutti per fare il pagliaccetto in prima fila. Scappa ad abbracciare zia Sara (la Dott.ssa Sara Bianco, presidente della associazione -Ndr) e poi… sì … è lui… la mamma di cuore riconosce il suo bambino tra mille, non sarebbe potuto essere nessun altro se non lui. Il cuore batte all’impazzata e gli occhi diventano lucidi quando ci abbraccia e dice subito: “Mamma e papa”, sì, “Papa” senza accento sulla “a”.

Che effetto fa ritrovarsi in casa un bimbo tanto atteso?
Un uragano di 20 kg che da subito ci fa notare di aver avuto per 10 anni una “casa museo” che finalmente prende vita: cuscini a terra, giocattoli sparsi ovunque, mollichine di pane sul divano, manine unte stampate sui vetri, rincorse, risate, nascondini dietro le porte, caos e allegria, capricci e marachelle, pernacchie, le lotte per lavare i denti ed andare a dormire, che ogni sera ho provato a vincere con la parolina magica “наказание” (pronuncia “nakazanie”: punizione).

I vostri parenti come lo hanno accolto?
Nonni, zii, cuginetti, amici, tutti iniziamo a vivere la nostra quotidianità, sorrisi e facce buffe nel sentirlo parlare piano piano l’italiano, passeggiate, shopping con capricci (santa pazienza vieni a me), gite in montagna e… il mare.. mare… mare… tanto mare! Arseni è un pesciolino, neanche un mese e impara a nuotare, le onde e i pesciolini sono suoi amici. Il tempo scorre veloce, non è facile raccontare, spiegare a parole le emozioni che ci dona questo monello, sì sì un monello che ci sta insegnando a fare i genitori, anche sbagliando a volte, ma con una nuova consapevolezza di vita.

E cosa si prova quando giunge il momento del temporaneo e lungo distacco?
Purtroppo tre mesi passano in fretta e arriva il fatidico: “Mamma io no Bielorussia, mamma io Italia, no aereo”.

Qual è il vostro obiettivo in questo momento?
Ci preme la battaglia per sbloccare le accoglienze. Il nostro è il medesimo pensiero di tante famiglie

Cosa chiedete alle autorità italiane?
Che vengano convocati con urgenza i rappresentanti delle associazioni che fino ad oggi si sono prodigate per la ripartenza dei soggiorni, che venga aperto un tavolo tecnico che già a partire dal mese di agosto ci permetta di riabbracciare i bambini, in virtù di un protocollo di sicurezza e con il rilascio di un Visto che non ci vincoli così come previsto dal Consiglio Europeo. Che un simile iter sia previsto per le accoglienze future, in ottobre e dicembre, in modo che siano di nuovo possibili i soggiorni terapeutici e solidali in Italia.

Quali notizie ricevete dalla Bielorussia?
Li sentiamo spesso al telefono. In questo momento è giusto che a parlare sia una voce collettiva, proprio quella dei bambini. È una voce che sentiamo dentro, pur distanti, e che interpretiamo: “Oltre questi confini ci siete stati sempre voi, così lontani ma anche vicini. Adesso non sappiamo cosa accade, dovevamo già essere lì con voi per poterci tenere per mano e andare a giocare in riva al mare e invece… ci dicono in Italia no!! Questa estate niente famiglie. Nessuno che ci dica perché, vi sentiamo per telefono ma oltre pianti e vostre poche parole nessuna certezza o qualcuno che faccia qualcosa. Come potete lasciarci qui senza far nulla per poterci riabbracciare.

Di cosa avete paura, del potere di pochi su noi bambini? Ma allora ci volete veramente bene o fate tutto questo per altro. Le nostre lacrime non bastano per farvi capire che buio all’improvviso è calato qui nella disperazione di tutti noi bambini che abbiamo creduto in voi e in un mondo diverso. Dove è quel posto meraviglioso e quella famiglia in cui abbiamo creduto se poi basta un virus per far sì che i nostri abbracci e baci , il nostro tenerci per mano, non possono più esistere. Vogliamo che il nostro e il vostro amore, se è vero, arrivi a chi decide per le nostre e le vostre vite. Noi siamo bimbi, anche sfortunati e poco conta il nostro grido, ma voi tutti insieme potete fare tanto e far sì che domani il sole sorga a forma di cuore con la speranza veramente di un mondo migliore. Vi vogliamo bene, dateci ancora una speranza e qualcosa e qualcuno in cui credere.