Coronavirus, Ricolfi: “I numeri sui morti al Sud non tornano”

di Luca Ricolfi, sociologo

Fonte: Il Messaggero

È una congettura. Solo una congettura. E speriamo pure che sia sbagliata. Però sono troppi giorni che giro e rigiro i dati Istat sulla mortalità nei comuni italiani, e non riesco a scacciare il dubbio. Quindi eccomi qua, provo a raccontare quel che viene fuori.

Una decina di giorni fa l’Istat ha reso pubblici dei dati sull’andamento della mortalità in due periodi comparabili, ossia le prime 3 settimane di marzo 2019 e le prime 3 settimane di marzo 2020. I dati non riguardano tutti i comuni, ma solo una parte (di qui il tono dubitativo del mio discorso) di quelli in cui vi sono stati scostamenti apprezzabili fra la mortalità di quest’anno e quella dell’anno scorso.

Ebbene, in molti comuni è successo quello che per la prima volta venne denunciato dal sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, qualche settimana fa. Ovvero: i morti in eccesso rispetto all’anno scorso, sono molto più numerosi dei morti ufficiali per Covid-19 comunicati dalla Protezione Civile. E poiché non sembrano esserci spiegazioni plausibili per questo eccesso di mortalità, che non si è verificato solo a Bergamo ma in numerosi altri comuni, pare inevitabile concludere che i morti effettivi per Covid-19 siano molti di più di quelli ufficiali.

Su questa conclusione vi è sostanziale accordo fra quanti (studiosi e non) hanno nei giorni scorsi provato a maneggiare i dati della mortalità. Il dubbio è solo se i morti effettivi siano 2, 3 o 4 volte di più dei morti accertati. Sembra che il moltiplicatore sia circa 3, ma il fatto che il campione Istat non includa tutti i comuni, bensì solo comuni con scostamenti anomali della mortalità non può che indurre alla prudenza.

Fin qui tutto (relativamente) chiaro. Se però andiamo un po’ più a fondo, e ci prendiamo la briga di distinguere fra le varie zone del Paese, ecco che ci si presenta un dato scioccante: contrariamente a quanto siamo portati a pensare basandoci sulle morti ufficiali per Covid-19, il Mezzogiorno non risulta affatto un’isola felice, relativamente preservata dal virus, ma ha numeri paragonabili a quelli del resto dell’Italia. Che cosa vuol dire paragonabili?

Vediamo. Secondo la Protezione Civile il numero di morti da Covid-19 per 100 mila abitanti è 46.5 nelle regioni della zona rossa (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche), 2.6 nelle regioni del Sud (incluso il Lazio), 15.0 nel resto d’Italia. Dunque al Sud la mortalità da Covid-19 è quasi 20 volte più bassa che nella zona rossa, un ovvio motivo di conforto per chi vive nelle regioni relativamente preservate. Ma se, anziché usare i dati dei morti ufficiali, usiamo gli eccessi di mortalità desumibili dai dati Istat, i numeri cambiano completamente: le morti attribuibili al Covid-19 sono 104 ogni 100 mila abitanti nella zona rossa, e sono ben 66 su 100 mila abitanti nel Sud. Dunque sono un po’ di più della metà, non un ventesimo.

Possiamo anche metterla così. Se prendiamo per buone le stime desumibili dai dati Istat, dobbiamo concludere che nelle regioni della zona rossa si sono attribuiti al Covid 45 casi contro 100 effettivi, mentre al Sud se ne sono riconosciuti meno di 5 su 100. Detto ancora più crudamente: se vuoi sapere quanti sono i decessi effettivi per Coronavirus, ti basta moltiplicare per 2 se sei in una regione della zona rossa, ma devi moltiplicare almeno per 20 se sei in una regione del Mezzogiorno. In breve e in conclusione: per avere il numero effettivo dei morti non ci occorre solo un moltiplicatore (più o meno prossimo a 3), ma ne dobbiamo usare più di uno, molto diversi da un territorio all’altro.

Non voglio tediare il lettore con le infinite precisazioni e distinguo che sono doverose in un saggio scientifico (chi fosse interessato può leggerne alcune nel sito della Fondazione Hume: http://www.fondazionehume.it), ma mi limito a due considerazioni, una tecnica e una di sostanza. La considerazione tecnica è che è molto difficile ipotizzare che l’enorme sotto-diagnosi dei casi di Covid-19 al Sud sia interamente, o in gran parte, dovuta alla non rappresentatività del campione di comuni fornito dall’ Istat. E’ verosimile che con un campione di comuni rappresentativo l’entità della sotto-diagnosi possa attenuarsi, ma è quanto mai implausibile supporre che le differenze territoriali emerse fin qui miracolosamente scompaiano o diventino trascurabili.

La considerazione di sostanza è che, ove si confermasse che la sotto-diagnosi al Sud (ma anche in alcune zone del Nord) è enorme, tipo 9 casi dimenticati su 10, occorrerebbe capire come ciò sia stato possibile. L’unico indizio che sono riuscito a trovare è che l’entità della sotto-diagnosi è fortemente correlata con il sottodimensionamento dei posti letto, come se la percentuale di casi Covid-19 individuati e correttamente classificati fosse in qualche modo connessa alla forza e all’ampiezza della rete ospedaliera.

Resta un’ultima osservazione, forse la più rilevante: se il Covid-19 è diffuso in modo comparabile in tutte le aree del Paese, non sarà facile pianificare una ripartenza per grandi blocchi, con le zone verdi del Sud che riaprono molto prima delle zone rosse del centro-nord. Anche perché, se a questo punto dell’epidemia i punti di partenza sono molto più ravvicinati di quanto finora si è supposto, non è affatto detto che la meta dei contagi-zero sia raggiunta prima da una metà del Paese e dopo dall’altra. La gara per arrivare primi in zona contagi-zero è aperta, e ogni Regione, ogni Provincia, ogni Comune dovrà giocare fino in fondo le proprie carte.