Cosenza, 1992: il porto delle nebbie e Mancini fuori dal Parlamento

Martedì prossimo, il 5 dicembre 2023, saranno trascorsi esattamente 30 anni da quando Giacomo Mancini divenne il primo sindaco eletto direttamente dai cittadini di Cosenza. Era il 1993 ed eravamo nel pieno dell’era di Tangentopoli o di Mani Pulite se preferite. L’anno prima Mancini, per la prima volta dal 1948, non era stato eletto deputato e non erano di certo mancate le polemiche, anche sotto il profilo strettamente giudiziario. E solo qualche mese dopo, il 18 novembre 1992, il vecchio leone socialista aveva varcato la soglia della procura di Milano per parlare di Craxi con i giudici del pool Mani Pulite. Meno di un mese dopo arrivò il memorabile giorno dell’avviso di garanzia al segretario del Psi. E meno di un anno dopo Mancini sbaragliò tutto il sistema dei partiti diventando sindaco di Cosenza. Una vittoria che pagò amaramente con una persecuzione giudiziaria degna di miglior causa. 

Oggi, a 30 anni di distanza, neanche tra i tanti fedeli seguaci di Giacomo Mancini c’è una visione unitaria di quegli eventi, a testimonianza di quanto erano stati divisivi e devastanti. E proprio per questo è più che mai opportuno ripercorrere quelle vicende nella maniera più organica e obiettiva possibile. 

Partiamo allora dalla procura di Cosenza meglio nota non a caso come porto delle nebbie. Perché è proprio dalle segrete stanze del “palazzaccio” che parte questa storia che ci porta al 1993. 

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI

La notizia era di quelle importanti ma i giornali di regime (di carta e online, senza differenza) hanno cercato di “nasconderla” per quanto è imbarazzante e fastidiosa. Il Movimento Cinquestelle aveva chiesto un’ispezione ministeriale al Tribunale di Cosenza meglio noto come porto delle nebbie per chiedere conto di decenni di insabbiamenti, di corruzione e di malagiustizia, per come noi raccontiamo ormai da anni su Iacchite‘. E questo spiazzava tutto il sistema di potere che si muove intorno al “palazzaccio”. Ma – come sempre accade – non è certo la prima volta che il Tribunale di Cosenza finisce nell’occhio del ciclone. Dal 1987 ad oggi sono state ben tre le ispezioni ministeriali che si sono “insabbiate” nel porto delle nebbie e oggi finalmente qualcuno le racconta in tutto il loro perverso intreccio di poteri forti e interessi inconfessabili.

Riprendiamo la cronologia di 30 anni di nefandezze, coperture, insabbiamenti e persecuzioni “mirate” al porto delle nebbie di Cosenza. Dopo l’ispezione-farsa del 1987, messa a tacere e neutralizzata grazie alla morte del procuratore Oreste Nicastro, la reazione dei magistrati si era materializzata con gli arresti di sindaco e assessori della “giunta rossa” di Spezzano della Sila e con quello di Pino Tursi Prato nell’ambito della guerra tra bande nel Psi, con Giacomo Mancini strenuo avversario e oppositore.

All’alba degli anni Novanta, Paolo Romeo (indiscusso boss reggino vicinissimo al clan De Stefano e impegnato in politica) ha conosciuto Pino Tursi Prato, che già due anni prima è finito in una brutta storia di concussione. Arrestato nell’ambito della “guerra tra bande” del PSI che evidentemente condiziona e non poco la procura di Cosenza, guidata dal procuratore Serafini, che si è appena insediato in perfetta continuità col suo predecessore Nicastro (passato a miglior vita) e del di lui braccio destro, tale Francesco Mollace.

Sono in molti a dire che il vero mandante è Antonio Gentile e uno dei più convinti è Giacomo Mancini, che con Tursi Prato ha quasi sempre avuto un rapporto privilegiato. 

Paolo Romeo

Ed è qui che entra in scena in prima persona Paolo Romeo con una preziosa opera di intermediazione con i clan cosentini. Che si sposa alla perfezione con l’estorsione messa in atto per appropriarsi del servizio di ristorazione ospedaliera, visto che Tursi Prato era ancora saldamente a capo dell’USL della discordia di Cosenza.

Fu Romeo, si legge negli atti del processo “Olimpia”, a organizzare «l’estorsione Sar per ottenere un miliardo e cento milioni di lire dall’imprenditore Montesano che si era aggiudicato in Cosenza una licitazione privata per il servizio di ristorazione ospedaliera». E lo fece «accompagnando Magliari Pietro, mafioso della zona di Altomonte, presso il Montesano a Reggio Calabria per ottenere “l’adempimento” degli impegni assunti».Tra le frequentazioni cosentine di Romeo anche il boss Franco Pino, poi pentito storico della ‘ndrangheta grazie all’anima nera della procura di Cosenza ovvero Mario Spagnuolo. Nell’ordinanza si parla della partecipazione alla fine degli anni ‘80 «ad una riunione in Cosenza presso l’avvocato Franz Caruso, nel corso del quale, alla presenza del capo cosca cittadino Franco Pino, si compose un contrasto tra i politici Giuseppe Tursi Prato e Antonio Gentile».

LE ELEZIONI DEL 1992 E TANGENTOPOLI

Il 1992 è l’anno che cambia la storia recente dell’Italia, l’anno di Tangentopoli.

Pino Tursi Prato, eletto consigliere regionale nel 1990 insieme allo stesso Paolo Romeo, è il più esposto a livello giudiziario per la vicenda dell’arresto del 1988 e la mazzata arriva puntuale nei primi mesi dell’anno: il Tribunale di Cosenza – sempre manovrato da Gentile che non è ancora diventato Cinghiale ma è ugualmente molto potente – lo condanna a due anni e otto mesi per il reato di tentata concussione. Di conseguenza, decade dalla carica e sarà solo l’inizio delle sue successive vicissitudini giudiziarie.

Paolo Romeo invece vive ancora qualche altro momento di gloria. Prima che esploda Tangentopoli va in scena una tornata elettorale che riserva un risultato clamoroso per la Calabria: Giacomo Mancini non viene eletto e non le manda certo a dire.

“Non sono stato rieletto perché non sono intervenuti personaggi della mafia per sostenere la mia candidatura, come invece è avvenuto per altri”. Dopo 44 anni, il leader socialista, che aveva la maggiore anzianità di servizio a Montecitorio, è costretto a lasciare e lo fa secondo il suo stile. Non risparmia nulla e nessuno, così come ha fatto in campagna elettorale quando ha preso le distanze da quei suoi compagni di partito su cui si sono appuntati sospetti e accuse.

Sandro Principe
Sandro Principe

Mancini non si è mai unito al coro di chi nel suo partito, come ha fatto Saverio Zavettieri, e prima di lui Sandro Principe, se l’è presa con il procuratore di Palmi Agostino Cordova che indagava su di loro ed altri esponenti del Psi per fatti di mafia. E ciò, sostiene, gli è costato caro in termini elettorali. Come afferma a chiare lettere in una intervista dell’epoca su “Repubblica”.

“No, non mi sono associato nell’aggressione che è stata fatta nei confronti della procura di Palmi dopo l’ inchiesta di Rosarno, penso che la magistratura debba indagare su chiunque”.

Si può fare qualche nome?

“Da Rosarno sono venute vere e proprie dichiarazioni di voto a favore degli aggressori della magistratura e a farle c’ è stato anche qualcuno inquisito per associazione mafiosa”.

Si è detto che Mancini avrebbe voluto un “repulisti” generale. Chiunque avesse gli occhi addosso della magistratura avrebbe dovuto essere escluso. Invece non è andata proprio così.

“…La mia richiesta è stata accolta nella parte che più mi premeva, cioè il collegio senatoriale di Cosenza. E questo sicuramente ha determinato forti reazioni e polemiche nei miei confronti”.

In effetti Mancini si è battuto per non far candidare l’ ex segretario provinciale socialista, Antonio Gentile, esponente del più forte gruppo all’ interno del Psi cosentino. Gentile, all’ ultima ora, è passato nelle file del Psdi portando con sé la rabbia contro il leader del suo ex partito e un bel pacchetto di voti.

Ma non è questo, fa capire Mancini, ad averlo danneggiato maggiormente nel risultato.

Cosa le ha fatto più male?

“Durante la campagna elettorale ho preso una dura posizione sulle infiltrazioni mafiose e questo in determinate aree dell’ elettorato non credo sia stato il viatico migliore”.

Solo la ‘ ndrangheta non l’ ha voluta, o anche il Psi ha deciso di boicottarla?

“Ho parlato contro la corruzione e ho sostenuto che nell’ ambito delle forze politiche ci sono molti che si sono arricchiti. Ma soprattutto non mi sono associato nell’ aggressione fatta ai magistrati della procura di Palmi”.

E cosa è accaduto negli altri partiti?

“Credo che se si guardano le liste della Dc e del Psdi ci sono candidature fortemente preoccupanti e delle quali prima o poi si dovrà parlare. Ci sono degli eletti alla Camera e al Senato che fanno venire i brividi”.

Mancini non accusa direttamente i suoi compagni di partito Zavettieri e Principe, anche se si capisce perfettamente che parla di loro ma quando parla della DC e del PSDI ha obiettivi ben precisi e se nella balena bianca il suo avversario riconosciuto è Riccardo Misasi, nel partito del sole nascente quando parla di gente che fa venire i brividi non può che riferirsi a Paolo Romeo.

Nel 1992 il voto della famiglia De Stefano lo manda clamorosamente in Parlamento come deputato del PSDI. Insieme ad un altro riconosciuto massone cosentino, tale Paolo Bruno. Che ha preso il posto che doveva essere di Pino Tursi Prato.

Paolo Bruno
Paolo Bruno

In quella stessa tornata elettorale (come accennavamo) si candida al Senato per il PSDI Tonino Gentile, che sfiora l’elezione. Un’operazione spregiudicata preparata insieme a Franco Pino e allo stesso Romeo in uno studio legale cosentino, quello di Franz Caruso.

Già, l’asse Reggio-Cosenza, che torna sempre. Anche in quegli anni. Mancini denuncia il patto con la ‘ndrangheta di alcuni suoi compagni di partito cosentini come Sandro Principe e Antonio Gentile, questa ormai è storia. Non sapeva ancora che avrebbe pagato ben presto con la stessa moneta. Con l’intervento determinante del porto delle nebbie.