Cosenza 2016, nelle grandi città il Capodanno lo pagano gli sponsor non il Comune (di Ugo G. Caruso)

Non potevamo immaginare che la riflessione sul Capodanno cosentino di Ugo G. Carusostorico dello spettacolo, studioso di cultura di massa, performer e regista, nonché consulente culturale del vecchio Giacomo Mancini, potesse scatenare un dibattito così ampio e sotto certi versi furente.

Abbiamo anche toccato con mano come Mario Occhiuto abbia fatto scendere in campo tutte le sue “armi culturali” (per usare il solito eufemismo) per controbattere alle sacrosante parole di Ugo G. Caruso.

Pubblichiamo allora il contributo del deejay Fabio Nirta per far inquadrare anche ai nostri lettori l’angolazione dalla quale si vede la “cultura” a Cosenza. 

Certi articoli e certi commenti sul Capodanno in piazza lasciano veramente il tempo che trovano.
Al di là di facile strumentalizzazione politica, il Capodanno in piazza è un evento organizzato e pensato come “storia a se” rispetto al resto dell’anno.
A Capodanno deve funzionare tutto perfettamente, le forze di tutti devono essere impegnate per questo scopo e la proposta artistica deve soddisfare i palati fini e quelli meno fini, per realizzare quella che una volta veniva chiamata “la soddisfazione e la felicità del numero maggiore di persone possibili”, senza possibilmente cadere nel banale.

capo Il Capodanno in piazza deve promuovere la tua città, dar vetrina e lustro, come negli avvenimenti che contano, ma deve anche mandare in over booking hotel, bed and breakfast e ristoranti, far lavorare tanto le strutture ricettive insomma, che devono batter cassa.
Il Capodanno in piazza deve far fronte a tante altre necessità, non meno importanti, ma non mi dilungherò a parlare di questa robaccia tecnica per non annoiare.
Di certo questo Capodanno in piazza a Cosenza è stato un successo.
I restanti 365 giorni all’anno (nello specifico 366) si fa fatica, come ovunque in Italia e anche di più.
La curiosità si coltiva con pillole quotidiane (e qui casca l’asino), ma non credo che nessuno abbia mai pensato al capodanno come alla pillola del giorno dopo, al Capodanno come soluzione riparatrice di una crisi culturale dilagante.
Sono più di 15 anni che privatamente somministro pillole quotidiane, simpatia del mio personaggio o meno, e mi deve esser dato credito per questo.

capo1Ma questa, come quella di chi fatica dal basso, è un’altra storia che non è assolutamente antagonista a quella di chi ha disegnato il Capodanno, ma è rispettosamente parallela.
Di conseguenza, lungi da me sentimenti tristi di invidia verso chi ha fatto bene, faccio ancora i complimenti ad Archimedia Produzioni che ha ricevuto personalmente anche le mie critiche, spero costruttive, negli anni del proprio operato, poichè ho sempre pensato che la buona fede e il confronto aiutino le crescite reciproche più di ogni faziosa bugia.
Giusto per esprimere il concetto che l’antagonismo è legittimo, che le critiche sono sempre ben accette, ma che se ci si esprime in maniera faziosa accecati dai risultati altrui, poi si finisce per essere meno credibili ed alla lunga questo atteggiamento non paga.
Quindi via ogni risentimento e si dia a Cesare quel che è di Cesare.
Adesso torno nel mio piccolo a costruirmi solidi sogni, quando certezze per me non ci sono.
Buon tutto a tutti e meno paranoie!

Fabio Nirta

LA REPLICA DI UGO G. CARUSO

Non ho il piacere di conoscere il signor Fabio Nirta e non credo si riferisca a quanto ho scritto riguardo al Capodanno appena trascorso. Non sono certo invidioso del suo successo, né ce l’ho con i Litfiba (che pure non rientrano in una mia ideale playlist, ma questo non c’entra nulla), né con i concerti in genere, tanto più che ne sono un frequentatore assiduo (addirittura 246 nel 2003).

Il problema è un altro: Cosenza, con buona pace di tutti i cosentini, favorevoli o avversi a questa amministrazione, non è ovviamente Roma, nè Milano, Torino, Bologna, Napoli, Firenze o Venezia. E’ una città di 80.000 abitanti cui fa riferimento un’area urbana di circa 200.000 persone.

Le generazioni nate a partire dalla seconda metà degli anni sessanta, specie quelle formatesi in loco e laureatesi all’Unical, a differenza di quella cui appartengo, hanno progressivamente maturato un senso d’appartenenza che è presto sfociato nella acriticità più piatta, nella retorica di campanile, nel provincialismo asfittico ed autoreferenziale, in certa tronfiaggine meridionale alimentata per di più da filoni di pensiero stravaganti e strampalati, privi di solide basi storiche e di alcun fondamento scientifico. In una parola subculture. Ma di successo perchè incontravano il senso di frustrazione diffuso per la crescente marginalità della Calabria.

In questa atmosfera e su questo tessuto si è andato incistando ben più di qualche convinzione infondata e di qualche velleità sconclusionata.

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Ad esempio, nessuno ha detto o scritto che nelle grandi città il tipo di eventi cui ci si riferisce non è a carico dei Comuni che provvedono solo a fornire luoghi e servizi, bensì di sponsor privati. Dunque, di cosa stiamo parlando?

Ecco perchè è inaccettabile che non vi siano mai fondi per realizzare eventi piccoli ma validi sul piano culturale, di quelli che fanno crescere lentamente una comunità, di cui avverti nel tempo i benefici.

Cosenza negli anni scorsi invece è stata capace di perdere persino la “Primavera dei teatri”, tornata a Castrovillari, né in alcun campo è riuscita ad inventarsi qualcosa che avesse in sè un’ideuzza originale e non imitasse smaccatamente manifestazioni dispendiose, inutili quanto becere anche nella versione originale.

Per dire quanto io sia da sempre contrario al concerto di Capodanno, almeno in un contesto come quello cosentino, vi dirò che la prima edizione si svolse (non ricordo chi fosse l’artista, a conferma dell’immemorabilità dell’evento sui tempi lunghi) a metà degli anni ’90.

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Allora ero consulente culturale del sindaco Mancini che mi annunciò trionfante la sua intenzione di mettere a disposizione un sostanzioso budget per l’evento di fine anno. Gli espressi la mia contrarietà pensando a quante iniziative in vari campi, a partire proprio dalla musica, si sarebbero potute realizzare con quella somma.

Egli però sperava di vendere il concerto alla Rai e di regalare ai cosentini una serata speciale in cui per una volta la città venisse sottratta all’anonimato che la avvolge in tutta Italia con mio grande cruccio e a cui i cosentini non vogliono credere.

Grande fu la delusione quando la Rai rispose che semmai era il Comune di Cosenza a dover pagare per apparire la notte di San Silvestro.

Di fronte alla prospettiva di un ulteriore salasso Mancini recedette ed il concerto ebbe luogo con esiti “autarchici”. Ma da allora si creò un precedente cui un po’ per la novità, un po’ per un malinteso senso d’orgoglio municipalistico, un po’ tanto pure per gli interessi che vi ruotano intorno, non si tornò più indietro.

Quanto sto per dire urticherà molti miei ex concittadini (da 41 anni vivo a Roma), anche magari tra quanti finora mi hanno espresso solidarietà e simpatia ma sono abituato a parlare chiaro fino in fondo, anche a costo di scompiacere.

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Cosenza mi appare come un povero in canna che si priva di un regolare pasto ogni giorno e di un dignitoso abito per la vanità di partecipare una volta l’anno ad una cena a base d’aragoste che non può permettersi e con tanto di abito da sera quando per tutti gli altri giorni è costretto a girare con le pezze al culo.

Credetemi, l’esempio non è forzoso ma molto verdico. Dunque, sarebbe bene lasciar perdere la fanfara propagandistica dei sindaci e concentrarsi su quanto già abbiamo e possiamo curare meglio, ottenendone risultati seri e duraturi.

Non scialacqiuamo in una notte il budget che dovrebbe servire per un anno solo per sentirci al centro di una ribalta che non ci compete e per i cinici calcoli elettoralistici di un sindaco (parlo anche del passato e non solo del contingente, beninteso) in cerca di consensi facili e disattento ai bisogni reali, primari ed anche in campo culturale.

Spero infine come già detto che di ciò e di tanti altro ancora si possa parlare con franchezza e appropriatamente in pubblico e non solo nelle piazze virtuali.

Mi scuserete ma appartengo alla generazione dei dibattiti, del confronto anche duro ma sulle idee e non mi sognerei mai pertanto di liquidare certe argomentazioni altrui come paranoie, tradendo da una parte l’antico timore dell’invidia, del malocchio, del “piccio” (questa sì una vera paranoia), dall’altra quel ripiegamento antropologico in un sublingua generazionale, un gergo che pare fatto apposta per non capirsi e non confontarsi.

Al contrario, come spero di avere anche qui dimostrato, noi siamo apertissimi ad un confronto purché alla base vi siano intenzioni trasparenti.

Ugo G. Caruso