Cosenza. Chi è il dirigente cattivo consigliere del questore Petrocca?

Se lasciamo parlare i numeri e i fatti, ogni accusa di dietrologia o complottismo che il questore di Cosenza si ostina a lanciare nei confronti di chi replica, “indignato”, alle sue inutili quanto livorose azioni repressive messe in campo contro gli antagonisti cittadini, viene meno. La Petrocca ha bisogno di trovare una valida giustificazione per mitigare quello che tutta la città le rimprovera: i provvedimenti richiesti nei riguardi di alcuni giovani studenti universitari rei di dire la verità sul malaffare dilagante in città, oltre che fuori luogo rispetto alle priorità criminali cittadine, sono apparsi a tutti esagerati e volutamente gonfiati. Paragonare Jessica, Stefano, Roberto, Francesco, Gaetano e Simone a pluripregiudicati dediti all’usura, allo spaccio, all’estorsione, all’omicidio, porre sullo stesso piano le azioni politiche e sociali degli antagonisti, con quelle tipiche di una associazione a delinquere di stampo mafioso, è parso a tutti, criminali compresi, una cosa fuori dal mondo. E tutta la città ha capito di trovarsi nuovamente di fronte alla solita pagliacciata che sistematicamente i poteri forti mettono in campo quando qualcuno osa cacciare la testa fuori dal sacco. Già, perché è così che funziona a Cosenza, e sono i fatti e i numeri a dirlo. Altro che dietrologia.

È dal 1996 che la digos di Cosenza si occupa di costruire dossier farlocchi sugli antagonisti cittadini. Da quasi 30 anni la principale attività della questura (in riferimento ai suoi vertici) è stata quella di mettersi a disposizione del procuratore capo intrallazzato del momento, e dei loro servi schiocchi: Serafini, Granieri, Spagnuolo, Tridico, Fiordalisi, Curreli, Criscuolo Gaito, Minisci, Plastina, eccetera, le cui attività, come tutti sanno, non hanno certo brillato per lotta alla corruzione, alle ‘ndrine, e al malaffare nella pubblica amministrazione. Eppure è proprio negli ultimi 30 anni che è sparito tra Comune e Asp, solo per dirne due, oltre un miliardo di euro (vedi i “debiti” del Comune e dell’Asp), ma nessuno di loro si è mai accorto di niente. Infatti non esiste una sola inchiesta sulla famigerata banda del saccheggio di risorse pubbliche che opera indisturbata e impunita da sempre in città: gli insaziabili colletti bianchi che come tutti sanno a Cosenza esistono e sguazzano alla grande.

Esistono invece decine e decine di inchieste aperte sui “sovversivi” cittadini: dalle grandi retate sul finire degli anni ’90 promosse dal duo Curreli/Criscuolo Gaito con annessi famigerati interrogatori (una volta hanno convocato in procura più di 70 persone, secondo loro tutti sovversivi), all’operazione no-global (Serafini, Granieri, Fiordalisi, Curreli, Plastina), passando per le tante accuse di associazione sovversiva e a delinquere (Tridico/Cozzolino), tipo bombe alla questura, bombe al Comune, intimidazioni a politici e imprenditori, occupazioni di case, stampa clandestina, spaccio internazionale di stupefacenti, Daspo, fino ad arrivare ai famigerati provvedimenti di sorveglianza speciale dei giorni nostri.

A confrontare le due “categorie”, quella più indagata risulta essere quella dei “sovversivi”, mentre quella dei “colletti bianchi” risulta, nelle inchieste giudiziarie, non pervenuta. Questo è un fatto supportato dai numeri. E in quanto tale ci permette di dire che la priorità criminale in città, per l’autorità giudiziaria, senza peccare di dietrologismo, è da sempre l’attivismo politico degli antagonisti. Ma possiamo spingerci anche oltre nella considerazione, i numeri ce lo consentono: per l’autorità giudiziaria, vista l’inerzia nel produrre inchieste sul saccheggio delle risorse pubbliche che nessuno può negare, non esiste a Cosenza la mafia dei colletti bianchi. E qui le ipotesi sul loro “operato” diventano due: o perché sono corrotti e collusi con l’innegabile malaffare, perciò disposti a chiudere tutte e due gli occhi sulle marachelle degli amici degli amici, oppure perché sono davvero degli ingenui che non si accorgono mai di nulla, tranne che delle marachelle dei sovversivi. Ma c’è anche una terza ipotesi che non vogliamo omettere: la massomafia a Cosenza non esiste per davvero. E il saccheggio delle casse pubbliche è solo una nostra fervida fantasia giornalistica, non suffragata da nessun fatto. Perciò la procura non indaga sui colletti bianchi: perché non c’è nessun colletto bianco che delinque, da indagare: i reati contro la pubblica amministrazione a Cosenza non esistono.

Detto questo, giusto per sottolineare alla Petrocca che se ha necessità di trovare scuse per uscire dalla situazione in cui, suo malgrado, si è venuta a trovare, pensi a qualche altra cosa, e non certo alla “dietrologia”, perché, e lo abbiamo scritto, sappiamo bene che in tutta questa vicenda è stata malconsigliata, e che la sua crociata contro gli antagonisti non rientra nel solito complotto di cui sopra. Si è fidata di qualcuno di cui non doveva fidarsi. Senza per questo assolverla dalle sue evidenti responsabilità che stanno tutte nel non aver moderato il livore di alcuni dirigenti che, approfittandosi della sua “incazzatura” per l’oltraggio ricevuto dalle Fem.in, hanno preso la palla al balzo per togliersi qualche sassolino dalle scarpe nei confronti degli antagonisti. Ma non è solo il livore a muovere “il dirigente” che in questa storiaccia delle multe e delle richieste di sorveglianza speciale, ha volutamente malconsigliato il questore approfittando di un suo momento di “debolezza”, c’è sicuramente dell’altro, e di conseguenza “qualcheduno”.

Qualcuno che non potendo più ricorrere direttamente ai “favori” del questore, come succedeva in passato, perché, e lo abbiamo sempre sottolineato, la Petrocca è estranea agli intrallazzi che storicamente esistono tra gli amici degli amici e la questura (in riferimento ai suoi vertici e a più di qualche sottoposto), ha pensato bene di utilizzare, pur di continuare a garantire agli adepti della paranza i servizi della questura, e di strumentalizzare qualche dirigente vicino alla Petrocca disposto, magari solo per far carriera, a mettere qualche pulce nell’orecchio del questore.

Ma prima di scoprire cosa si muove realmente dietro a questa nuova ondata di repressione ingiustificata (come tutte le altre), c’è ancora una cosa da dire sulle scuse “prodotte” dalle Petrocca per giustificare quello che anche lei ha capito essere stato un errore, dal quale non riesce ad uscire: noi come la Petrocca siamo d’accordo sul fatto che la Legge è Legge, e va rispettata. Ma alla luce di quanto detto, e dai dati forniti, quello che vorremmo che la Petrocca capisse è che per riportare la città nel giusto “ordine delle cose”, il punto da cui iniziare non sono certo i “sovversivi”. E questo la città lo sa. Il problema, come sa bene il questore, è il malaffare istituzionale, di cui tutti sono a conoscenza e contro il quale l’autorità giudiziaria non è mai intervenuta. E per meglio rendere questo concetto facciamo un esempio: è come se gli abitanti di Medellin domani mattina leggessero sui loro giornali un titolo  che recita così: “Blitz della procura di Medellin contro i venditori ambulanti abusi di mais. Arresti in tutta la città”. Qualcuno nella città di Escobar si chiederà sicuramente: certo, i venditori non avendo la licenza non hanno rispettato la Legge, ma sono davvero loro il problema della città? Ed è così che la vedono i cosentini in merito ai provvedimenti contro gli attivisti, prodotti dal questore. E questo nessuna chiacchiera può nasconderlo.

Per capire chi c’è dietro al dirigente De Marco, il cattivo consigliere del questore Petrocca, bisogna partire da lontano, sottolineando che la questura di Cosenza al suo interno ha sempre avuto più di qualche “anima”…

1 – (continua)