Cosenza, glorificazione di un invasore: Alarico – I puntata –

GLORIFICAZIONE DI UN INVASORE: ALARICO. 1ª PUNTATA

dal profilo Facebook di Battista Sangineto

Si inizia con un mio articolo scritto nel 2009, quando era sindaco Salvatore Perugini (a dimostrazione che ho sempre avuto questa posizione).

“Un fantasma s’aggira per le tristi contrade della Calabria e di Cosenza: il fantasma di Alarico. La ragione principale della persistenza della memoria di questo re barbaro si fonda sul tesoro che sarebbe stato seppellito con lui. La poesia dalla quale origina una parte consistente della fortuna della leggenda di Alarico, “Das Grab im Busento”, è opera del poeta romantico tedesco August von Platen-Hallermünde e divenne famosa, in Italia, grazie alla traduzione che ne fece Giosuè Carducci.

Riguardo alla vicenda della morte e del seppellimento di Alarico l’unica fonte letteraria diretta della quale disponiamo, la stessa cui probabilmente attinge von Platen, è il “De origine actibusque Getarum” scritto, intorno al 550 d.C., da Iordanes, storico ed apologeta dei Goti. Iordanes, a proposito della morte di Alarico, scrive :“… E mentre Alarico, respinto da questa avversità, meditava sul da farsi, colto da morte immatura subitanea si allontanò dalle cose umane. I goti, piangendo per il grande affetto nei suoi confronti, deviano dal suo corso il fiume Busento presso la città di Cosenza. Un fiume che scorre con acqua pura scendendo dai piedi del monte fino alla città. Raccolta, pertanto, una schiera di prigionieri in catene, scavano in mezzo all’alveo il luogo della sepoltura, tumulano Alarico nel centro della fossa con molte ricchezze, riportano il fiume nel suo alveo e, affinché il luogo non fosse riconosciuto da alcuno, uccidono tutti gli scavatori …”.

Vorrei ricordare, insieme ad Alarico, anche altri due, meno celebri pur se conosciuti, invasori: Dragut e Uccialì vissuti, entrambi, nel XVI secolo. Il primo, Dragut, fu un comandante navale ottomano che, nel corso delle sue incursioni predatorie, il primo di luglio del 1555 assedia, conquista ed incendia San Lucido dopo averne trucidato gli abitanti compresi vecchi, donne e bambini.

Pochi anni dopo gli succedette Uccialì -nato a Isola Capo Rizzuto con il nome di Giovanni Dionigi Galeni- che divenne comandante della flotta musulmana dopo aver abiurato la fede cristiana. Uccialì riuscì a farsi fare generalissimo del Pasciacalato turco d’Algeria, governatore di Tripoli e Tunisi e, dopo numerose scorrerie sulle coste di tutto il Mediterraneo comprese quelle calabresi, prese parte anche alla storica battaglia di Lepanto.
Questi due personaggi parrebbero non avere alcuna relazione con Alarico se a Dragut non avessero intitolato un ristorante a San Lucido, il paese da lui devastato, e se ad Uccialì non avessero eretto una statua nella piazza principale, a lui intitolata, di Isola Capo Rizzuto.

Perché Alarico e gli altri invasori hanno avuto tanta fortuna presso i discendenti di coloro che, da essi, sono stati invasi, tratti in catene, violentati, saccheggiati, derubati, orribilmente torturati, trucidati? Cosa spinge una collettività a gloriarsi di un re barbaro come Alarico che, dopo aver saccheggiato Roma e tutta la penisola nel 410 d.C., muore, per caso, nei pressi di Cosenza e viene seppellito con il frutto delle razzie compiute nelle nostre terre? Cosa spinge a voler celebrare il re di quei goti che “raccolta una schiera di prigionieri in catene” poi li “uccidono tutti”?

Gli assassinati in catene erano cosentini perché quei barbari, per esser più liberi di combattere, non avevano di certo attraversato l’Italia portandosi dietro prigionieri. Cosa spinge, oggi, un gruppo di calabresi a costituire un’associazione intitolata “Circolo Alarico” e dedicare un centro di analisi cliniche, un ristorante ed una pizzeria al condottiero goto manco fossero tutti romantici prussiani, nostalgici di un rimpianto splendore barbarico?

Cosa spinge un’Amministrazione comunale a “festeggiare degnamente” il massacro di suoi concittadini di mille e seicento anni or sono? Se è vero che una corrente della storiografia contemporanea non considera più le invasioni gotiche come uno scontro lineare tra civiltà romana e orde barbariche, ma come una delle tante lotte politico-militari che avevano come sfondo il tardo impero romano è vero, però, che questi guerrieri attraversavano le terre romane civilizzate mettendole a ferro e fuoco e, come nel caso di “Consentia”, trucidandone le popolazioni. Una parte consistente degli studiosi continua a pensare che le invasioni barbariche posero fine alla complessità sociale, economica, urbanistica, artistica della civiltà antica e della cultura greco-romana in favore di una società più semplice e meno sviluppata, facendo regredire gli abitanti dell’Occidente ad un livello di vita preistorico.

Studiare in maniera approfondita il passato può condurre a riconsiderare accadimenti prima trascurati, ma quale revisione storica delle devastazioni e delle occupazioni straniere può portare a dare, come si è fatto a Cosenza, il nome di “Invasioni” ad un festival di musica popolare? Viva gli invasori? Grazie per averci invaso?

Perché intitolare un buon ristorante e, soprattutto, una piazza a due feroci pirati che avevano devastato quegli stessi luoghi quattro o cinquecento anni prima? Non è, forse, come se in quel che rimane del ghetto di Varsavia, fra cinquecento anni, i discendenti degli ebrei superstiti dedicassero una piazza e/o un ristorante a Jürgen Stroop, il comandante delle Waffen-SS in Polonia, oppure ad Himmler, capo di tutte le SS?A proposito di Himmler vale la pena ricordare che l’SS-Obergruppenführer durante un viaggio in Italia, il 20 novembre 1937, volle fermarsi proprio a Cosenza. L’attenzione del capo delle SS era stata richiamata dalle ricerche e dagli scavi che una rabdomante francese, Amélie Crevolin, stava conducendo nell’agro di Vadue, alle porte della città, per ritrovare la tomba di Alarico. Deluso dall’assenza di risultati ottenuti dalla francese, Himmler andò via non senza, però, aver prima salutato romanamente il fiume, come raccontano molti testimoni oculari della visita ad un giornale locale dell’epoca.

Il motivo di tanto interesse da parte di Himmler risiede nell’ideologia nazista che individuava nelle virtù guerresche delle tribù germaniche dei goti, dei visigoti e degli ostrogoti e dei loro condottieri la radice e la ragione della superiorità della razza tedesca ed ariana. Per quanto riguarda ancor più specificamente la leggenda di Alarico si riteneva che il suo tesoro includesse la lancia che aveva colpito Gesù Cristo sulla croce. Per le radici esoteriche dell’ideologia nazista e per Hitler la sacra lancia, la “Heilige Lanze”, rappresentava un oggetto magico/archetipico eccezionalmente potente che meritava ogni sforzo per essere recuperato. Ricordo, per sovrappiù, che Hitler, nel maggio del 1943, volle chiamare “Operazione Alarico” l’offensiva che avrebbe portato all’occupazione dell’Italia da parte dei nazisti ed all’orrore che essa significò per la popolazione italiana.

Quello dei calabresi, quindi, è solo desiderio di annettersi, di rivendicare a sé chiunque goda di una qualche fama internazionale per costruirsi un’identità? Ė una sorta di gigantesca, collettiva “sindrome di Stoccolma” quella che ha colto le popolazioni di queste terre? Non è, forse, una incapacità di autorappresentarsi in modo diverso, positivo, auto-affermativo ed auto-elogiativo?
La ricorrenza dell’anniversario della morte di un invasore non può essere trasformata in un progetto o, peggio, in un “evento” (“horribile auditu”) che attragga il turismo culturale, ma, tutt’al più, potrebbe spingere ad organizzare un serio convegno internazionale sulla fine dell’antichità e l’inizio del medioevo. Il compito precipuo che deve svolgere il patrimonio culturale è risvegliare nell’anima dei calabresi la capacità di riconoscere la bellezza e l’armonia dei monumenti, delle città e dei paesaggi insieme alla piena consapevolezza dell’importanza che hanno la propria storia ed i valori simbolici ad essa collegati. A chi sembra che celebrare eccidi di cittadini calabresi ed i loro massacratori assolva a questo compito?”.

1 – (continua)