Cosenza, il professor Conforti e la maledizione della città dei balocchi (di Francesca Canino)

di Francesca Canino

A una settimana circa dalla scomparsa del professor Leopoldo Conforti, presidente dell’Accademia cosentina, rivolgo un ricordo insolito a un uomo che lascia un segno profondo nell’ormai esiguo mondo culturale cosentino.

Critico verso la città dei Bruzi, paragonata spesso a un suo personalissimo Giano bifronte, il cui volto guardante al passato rappresenta la città colta, mentre il volto proteso verso il futuro raffigura la Cosenza illetterata, barbara, prepotente. Un discorso, questo, affrontato di frequente durante le lunghe passeggiate su corso Mazzini, dove era facile incontrarlo e intraprendere inconsuete conversazioni. Ero concorde quasi sempre con le sue analisi sulla società odierna, sull’Accademia cosentina, su Bernardino Telesio e sulla deriva culturale di Cosenza, città che vanta, tuttavia, un passato degno di rispetto.

Animato da ‘uno spirto guerriero’, seppur celato sotto le sembianze del classico insegnante di Latino e Greco, il professor Conforti mi esternava, con tono burbero e sguardo inizialmente accigliato, riflessioni acute che suscitavano in me meraviglia e sorrisi, poiché alla fine di ogni considerazione l’ironia era in agguato e il suo sguardo si rasserenava, tutto il suo viso cambiava espressione per farmi intendere che nulla, alla fine, è così scontato, grave, irrimediabile se si decide di lottare. E per alleggerire i fardelli della vita usava declamare brevi poesie del mondo classico, cercando sui volti di chi lo udiva i canoni della bellezza greca.

I versi poetici lo rinvigorivano e lo spronavano a nuove avventure, come i cambiamenti necessari che avrebbe voluto apportare all’Accademia cosentina, una Istituzione importante, oggi immobile e poco feconda per la cultura cittadina. Mal tollerava certe regole che la ingessano e ne arrestano quei processi di modernizzazione essenziali per il suo cammino verso il futuro. Auspicava aperture ai giovani e propugnava l’importanza dei media per la diffusione del sapere. Come giornalista, spesso mi rivelava il suo scoramento per il disinteresse che giornali e tv locali manifestavano verso le attività dell’Accademia. Si infervorava molto quando si parlava di questo argomento, sfoderava una vis polemica inusuale per chi aveva attraversato quasi cento anni di storia, diventava un giovanotto dai capelli bianchi pronto a partire per il fronte. E il suo fronte è ora l’eredità che lascia a chi lo ha conosciuto e stimato, a noi tutti, affinché non si disperda il patrimonio culturale dell’antica città di Telesio e dell’Accademia e si disperda, invece, la defixio, la maledizione che ha colpito Cosenza, rendendola la città dei balocchi.