Cosenza, la “nuova” massomafia. La scalata di Michele Di Puppo: dalla coop di Rende a “erede” di Lanzino e Presta

Tra i fatti “cantati” dagli ultimi pentiti della ‘ndrangheta cosentina e persino dal pentito di essersi pentito Roberto Porcaro, uno dei più rilevanti è quello riguardante il ruolo della mafia cosentina nello scacchiere regionale. I pentiti già lo spiegavano prima che Porcaro cantasse: «Michele Di Puppo è dopo Francesco Patitucci il più importante riferimento criminale dell’organizzazione di ‘ndrangheta cosentina. È stato solo grazie al suo carisma criminale, ai suoi legami con esponenti di ‘ndrangheta di Rosarno ed alla considerazione che questi avevano di lui, che si è riusciti a riprendere certe questioni di ‘ndrangheta riguardanti le affiliazioni e la riapertura di un “locale” a Cosenza».
E certo, perché a causa dei tanti pentimenti registrati negli ultimi 20 anni, i cosentini erano visti dagli ‘ndranghetisti reggini con scetticismo. E che la scalata di Michele Di Puppo fosse arrivata ad un livello molto alto ormai non era più una novità.

Il 25 febbraio 2018 il Ros di Catanzaro mise a segno un colpo investigativo memorabile: il monitoraggio in presa diretta di un summit di ‘ndrangheta che metteva insieme i referenti dei gruppi ‘ndranghetistici che s’erano divisi la città di Vibo Valentia. Ad ospitarlo, uno degli uomini d’onore della vecchia guardia: Antonio Lo Bianco. Dai vertici dei Lo Bianco-Barba a quelli dei Camillò-Ranisi, degli ex scissionisti mantelliani e del gruppo Cassarola. Venti commensali ed un ospite di riguardo: Michele Di Puppoovvero l’erede degli ex superlatitanti Ettore Lanzino e Franco Presta, il nuovo gangster e padrino-padrone dell’area bruzia cosentina.

Il summit – annotavano gli uomini del Ros – serviva per stabilire nuove linee guida, una sorta di nuovo ordine a Vibo città, ma anche al conferimento di nuove doti di ‘ndrangheta. Tutti insieme, per propositi di pace mafiosa che sarebbero stati, però, effimeri. Sarebbe stato il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena a svelarlo nel primo interrogatorio reso davanti al pool di magistrati guidato da Nicola Gratteri.

Questa ormai è storia. Dunque, nel panorama della cosiddetta ‘ndrangheta di Serie A c’è anche Cosenza e nella città dei Bruzi – come sanno un po’ tutti – Michele Di Puppo è considerato a giusta ragione l’erede e il continuatore delle “imprese” di Ettore Lanzino e Franco Presta. Non a caso è stato arrestato con questa “etichetta” nell’ultimo blitz di Gratteri, che ci riferisce della definitiva “confederazione” di tutti i clan cosentini.

E per omaggiarlo al meglio, pochi mesi fa, il presidente della Regione Roberto Occhiuto ha pensato bene di nominare capo delle Ferrovie della Calabria un suo nipote diretto, il figlio della sorella, Ernesto Ferraro, sponsorizzato alla grande da Paolo Posteraro, altro faccendiere massomafioso che si pregia di essere il “bancomat” e quindi il finanziatore di Roberto Occhiuto e che, di conseguenza, fa proposte che “non si possono rifiutare”. Per non parlare del Palazzetto dello Sport di Rende assegnato ad una “persona pulita” che altri non è che il cugino diretto di Michele Di Puppo (https://www.iacchite.blog/rende-il-palazzetto-e-cosa-loro-il-vincitore-della-gara-e-anche-nipote-dei-di-puppo/).

Michele Di Puppo, prima di finire negli ultimi blitz della Dda di Catanzaro (è stato coinvolto anche in quello di ieri sulla Sibaritide), aveva già alle spalle diverse inchieste che l’hanno visto coinvolto e anche condannato. Come quella relativa al “Sistema Rende” della Dda di Catanzaro per la quale gli è stata inflitta una condanna con il rito abbreviato a 4 anni e 8 mesi. 

L’ipotesi accusatoria della Dda di Catanzaro ruotava intorno all’attività di Sandro Principe, che con la collaborazione di Bernaudo e Ruffolo, avrebbe avuto un filo diretto con il clan Lanzino per assicurarsi i pacchetti di voti della sua organizzazione criminale e per la gestione della propaganda elettorale. Praticamente, passando da Principe a Manna non è cambiato nulla.

All’epoca fece anche scalpore la circostanza che il boss Ettore Lanzino fosse stato assunto in una delle cooperative del Comune di Rende. Esattamente  come Michele Di Puppo, nella cooperativa Rende 2000. “In moltissime occasioni – ha spiegato un consigliere di minoranza – noi dell’opposizione abbiamo chiesto l’elenco dei nominativi dei dipendenti della cooperativa, ma la maggioranza ci ha sempre negato l’accesso a tale informazione”.

L’inchiesta “Sistema Rende” – per la quale era stata chiesta una condanna pesante a 9 anni per Principe in primo grado ma che si è conclusa con l’assoluzione di tutti i politici coinvolti almeno in prima battuta – ha registrato invece condanne per gli imputati che hanno chiesto il rito abbreviato.

Adolfo D’Ambrosio e Michele Di Puppo, ritenuti dagli inquirenti appartenenti alla cosca Lanzino – Patitucci, sono stati condannati alla pena di 4 anni e 8 mesi di reclusione, grazie all’applicazione della diminuzione per la scelta del rito… Rosario Mirabelli (ex consigliere regionale) e Marco Paolo Lento a 2 anni. Mentre sono stati assolti Francesco Patitucci e Umberto Di Puppo.

A conferma degli stretti rapporti tra Michele Di Puppo e l’ex braccio destro di Principe, Pietro Ruffolo, veniva riferito un intervento del Di Puppo, a seguito di forti pressioni da parte di Giovanni Battista Romano, negli anni 2006-2008 legato alla cosca Cicero, successivamente contiguo al clan Chirillo di Paterno, articolazione della più ampia consorteria denominata Lanzino.

“Un giorno Michele Di Puppo – ricorda il pentito Galdi – intervenne in difesa del Ruffolo perché era diventato oggetto di troppa pressione da parte della criminalità. Il Di Puppo prese le difese del Ruffolo perché egli era molto utile sia per i finanziamenti sia per il fatto che egli sarebbe dovuto entrare in politica e dunque poteva tornare molto utile al gruppo Di Puppo ed alla cosca.

L’episodio di cui parlo riguardava Giovanni Battista Romano, il quale si era rivolto al Ruffolo, che rivestiva il ruolo di responsabile del settore concessione di credito alle imprese presso la filiale del Credito Italiano di corso Mazzini a Cosenza, per ottenere un finanziamento per un importo pari a circa 30 o 40mila euro.

Il Romano, che richiedeva tale somma di denaro per conto del gruppo Cicero, a seguito del rifiuto da parte del Ruffolo (poiché il soggetto richiedente aveva delle segnalazioni in Crif e vi erano seri problemi per superare tale ostacolo), il gruppo Cicero aveva in mente di porre in essere una ritorsione nei confronti del Ruffolo per effetto di tale rifiuto. Questa vicenda si colloca negli anni 2002/2003. Il Di Puppo Michele, informato dal Ruffolo delle pressanti e reiterate richieste, si rivolse al Romano intimandogli che il Ruffolo era uomo loro, era indispensabile al fine del finanziamento della cosca e quindi non poteva in nessun modo essere toccato. Di tale appartenenza del Ruffolo al gruppo Di Puppo e dell’interagibilità del Ruffolo, si passò novità a tutti i gruppi malavitosi cosentini”.

Il boss Lanzino

In particolare, per l’assunzione di Ettore Lanzino, il dirigente comunale Bartucci aveva ricevuto delle pressioni da Michele Di Puppo e ne aveva parlato con l’onorevole Principe, che aveva quindi autorizzato l’assunzione. In sostanza, quindi, tutte le assunzioni presso la cooperativa Rende 2000, ivi comprese quelle di Ettore Lanzino, Michele Di Puppo e Giuseppe Iirillo venivano decise o condivise da Sandro Principe mentre Giuseppe Bartucci ed Eugenio De Cicco ma anche Pietro Ruffolo e Valdo Vercillo non avevano alcuna autonomia decisionale. 

Sandro Principe non si candidava alle elezioni provinciali del 2009 preferendo appoggiare le candidature di Umberto Bernaudo e di Pietro Ruffolo, politici appartenenti alla sua coalizione. 

“Tale coalizione – scrivono i magistrati della DDA – per il procacciamento di voti e la sua propaganda, godeva dell’appoggio del luogotenente del boss Lanzino, Michele DI PUPPO, e dei suoi sodali, per come è emerso da numerose conversazioni telefoniche oggetto dell’attività captativa. Deve essere premesso che Eugenio DE CICCO, vicepresidente della cooperativa RENDE 2000, ha evidenziato che “anche l’assunzione di Michele Di Puppo fu disposta dall’on. Principe e richiesta al Bartucci, il quale aderì alla richiesta per come mi riferì egli stesso”. 

Il rapporto tra il Di Puppo e la coalizione facente capo a Sandro Principe, sostanzialmente lo scambio tra l’attività di sostegno alle campagne elettorali a fronte di “favori”, emergeva da conversazioni dello stesso Di Puppo: a Rocco Infusino gli chiedeva: “… Ti raccomando che sennò mi metti dentro i casini perché mi stanno facendo alcuni favori… hai capito?”.

Giacomo Vercillo, dipendente della Rende Servizi Srl, raccomandava di invitare al comizio anche l’onorevole Principe al fine di far convergere sul luogo molta più gente e che “… sì, già ho iniziato a muovermi… questa sera c’è PONZIO che parla là no?… OMISSIS… E invece noi gli facciamo la contromossa e gli meniamo la cosa…”.

In altra conversazione Michele Di Puppo raccomandava a Giacomo Vercillo di informare Principe del suo impegno: “comunque diglielo che sto camminando io… OMISSIS… sto camminando e non ti preoccupare che a PONZIO gli spacchiamo il culo a quel cesso… va bene?”. E Vercillo manifestava il suo apprezzamento…”.

Il Cinghialotto

Ora, chi ci segue sa benissimo chi è PONZIO. Sì, altri non è che il “Cinghialotto” ovvero il braccio destro del celeberrimo Cinghiale, al secolo Antonio Gentile. Colui che ha gestito l’ufficio di collocamento di Tonino nel settore sanità con la celeberrima cooperativa Seatt e altre società “scatole cinesi”. Ponzio ha cominciato proprio da Rende la sua irresistibile ascesa. Da quando Manna ha preso in mano il Comune, il “Cinghialotto” era entrato in tutto e per tutto nel comitato d’affari che fino all’altro ieri vedeva uniti Marcello il pentito e il rais rendese. Ma tutti sapevano che per Principe, prima o poi, sarebbe scattata la tagliola.

Dal 2007 in poi, infatti, anche attraverso inchieste giornalistiche “mirate” e con qualche consigliere comunale di opposizione, il Cinghiale aveva deciso che avrebbe tolto Rende a Sandro Principe. Con le buone o con le cattive. Ma non è stata un’impresa facile perché Principe si è “difeso” in tutti i modi attraverso i suoi sodali del Pd. Che, come abbiamo scritto più volte, gli hanno salvato la faccia e la fedina penale anche quando Bernaudo e Ruffolo furono arrestati nell’inchiesta del 2012.

Poi la protezione cadde e la situazione cambiò. Principe impelagato con il clan Lanzino a favore (anche) degli affari del Pd e assolto solo dopo essere stato di fatto “eliminato” dalla vita politica e Ponzio culo e camicia già da allora con la banda del Cinghiale, che oggi come ieri, come tutti sanno, detta i tempi delle inchieste giudiziarie. E presto vorrà comandare Rende a suo piacimento senza sindaci “pentiti” o onorevoli in bassa fortuna in mezzo alle scatole. Un quadro veramente deprimente. Da qualsiasi parte lo vogliate guardare…

Intanto, però, col passare del tempo, Michele Di Puppo, dopo gli arresti dei capi riconosciuti Ettore Lanzino, dello stesso suo fratello Umberto e di Francesco Patitucci si è ritrovato ad essere di fatto il reggente della cosca Lanzino-Patitucci ed è in questa veste che partecipa ai summit di ‘ndrangheta mentre la politica, come abbiamo visto, gli rendeva omaggio con l’incoronazione a capo delle Ferrovie della Calabria di suo nipote e dell’affidamento del Palazzetto dello Sport di Rende a suo cugino. Ora, il Palazzetto gliel’hanno finalmente cacciato mentre si rivela sicuramente più difficile cacciare il capo delle Ferrovie della Calabria, forte della protezione di Occhiuto e quindi di Gratteri… Che ormai se n’è andato ma ha lasciato un reggente di fiducia. Questa è la situazione drammatica che viviamo in Calabria ma soprattutto a Cosenza.