Cosenza, Mario Occhiuto. “La caduta”: gli ultimi giorni (politici) di Mario

Mario Occhiuto ultimo capitolo. Si avvia oramai alla fine la triste e truffaldina parabola del peggior sindaco che la città di Cosenza abbia mai avuto. Solo, sconsolato e afflitto, rintanato nel suo rifugio, emana ordinanze prive di senso e dispone attacchi e contrattacchi con eserciti che non ha più. Sposta sulla carta battaglioni e milioni in un delirio isterico che ricorda molto gli ultimi giorni del Führer prima della sua liberatoria caduta, nel vano tentativo di tappare buchi e falle che il suo malgoverno in tutti questi anni ha prodotto.

Difficile riportarlo alla realtà: è convinto di poter rompere l’assedio e spazzare via, dalla città, la soldataglia delle procure penetrata, oramai, fin dentro al cuore del suo quartiere generale: Palazzo dei Bruzi.

Mario non si rassegna alla sua fine (politica), abbandonato da tutti e nell’angoscia assoluta prova a ribaltare il proprio destino. Ma gli alleati di un tempo non ci sono più, e molti fedelissimi sono passati o si sono arresi al nemico. Gli amici degli amici sono spariti e le coperture politiche e giudiziarie definitivamente saltate. Non ci sono più le forze per lanciare una controffensiva, e ai pochi generali rimasti fedeli Mario ordina: bisogna consegnare urgentemente i lavori “finiti” del Parco Urbano prima che la sbirraglia della Finanza, che ha già sfondato ad ovest, blocchi anche questo cantiere. L’annuncio degli Alleati di voler costruire una testa di ponte, piuttosto che la metro, su Viale Parco, rischia di tagliare fuori definitivamente Mario da ogni possibile trattativa col nemico per una sua eventuale resa. Bisogna difendere con le unghie e con i denti il finanziamento del Parco del Benessere senza il quale ogni possibile fuga all’estero con un bel malloppo, è impossibile. È questo l’imperativo categorico!

Ma le farneticazioni di Mario si scontrano subito con la misera realtà che lo circonda. Dicono i generali: signor sindaco, di finito a Viale Parco non c’è niente. Quello che resta dell’antico viale, più che un parco, somiglia molto ad una discarica a cielo aperto. Il suo, signor sindaco, è un ordine che non può essere eseguito.

È la resa dei conti. Mario ha capito che nessuno è più disposto a rischiare per lui, la nuda e cruda verità di cui è costretto a prendere visione, è per lui una fredda e affilata lama d’acciaio puntata alla gola. Ha capito che il suo sogno finisce qui, e che nessuna armata giungerà in città per salvarlo. Quello che un tempo era il suo impero, che si estendeva dal Castello a Campagnano, si è oramai dissolto, colpito per lo più da fuoco amico, in mille “pezzi”.

Dell’esaltazione dei primi tempi, del fanatismo esasperato, dei rituali, delle grandi parate, delle oceaniche adunate, del mito stesso di Mario non rimane che il vagheggiamento di un uomo disperato giunto all’epilogo della sua infelice commedia.

Crollano i simboli della sua visione di “Cosenza millenaria”: piazza Fera/Bilotti e Viale Parco, ridotti ad un cumulo di macerie da sabotatori ed odiatori. Crolla il suo mito: alle sue chiacchiere non ci crede più nessuno. Crolla l’enorme castello di bugie che gli ha permesso di arrivare al potere.

È la fine. Il dado è tratto. Asserragliato nel suo bunker Mario non ha più nessuna via d’uscita. Anche resistere è oramai inutile. La resa incondizionata sembra l’unica via di salvezza. Non prima però di aver bruciato e fatto sparire tutto il materiale compromettente: determine manipolate, fatture clonate, documenti taroccati, bilanci fasulli, bustarelle firmate, e chissà cos’altro. La priorità è impedire che tutto questo materiale finisca nelle mani del nemico, onde evitare di trovare un giudice a Berlino disposto a metterci mano. Un bel guaio per Mario e i suoi gregari, che rischiano di finire sul banco degli imputati con l’accusa di aver fatto strage delle casse pubbliche.

I cannoni tuonano e la fanteria avanza. Il bunker è oramai circondato, e la sbirraglia ha già occupato diversi uffici: Ragioneria ed Economato. I Commissari del popolo hanno già preso possesso delle esigue finanze rimaste in cassa. Frange di resistenza si oppongono inutilmente alla travolgente avanzata del nemico. La città è persa. Mario dalla finestra del suo bunker guarda la soldataglia delle procure avanzare e pensa ai gloriosi giorni quando la gente lo acclamava. Scorrono le immagini di quel tempo, tutto sprido e atteggio, accompagnate da una perversa e malata nostalgia di un uomo che voleva ogni centesimo pubblico tutto per se. Il suo grande progetto di far pagare tutti i suoi 28 milioni di debiti ai cosentini, in piccola parte realizzato, è fallito. Di quei giorni nulla è rimasto, specialmente nelle casse pubbliche, se non qualche conto corrente all’estero e una valigia sul letto (quella di un lungo viaggio) pronta per ogni evenienza.

Una storia, quella di Mario, che nel finale, più che alla caduta liberatoria del Führer si ispira, per sua fortuna e anche perché non è certo un caggio, alla canzone di Julio Iglesias. Chiamalu fissa!