Cosenza. 110 anni nel pallone. Ciccio Delmorgine, la bandiera rossoblù

Nella ricorrenza dei 110 anni di calcio cosentino, non si possono dimenticare i grandi Campioni, soprattutto cosentini, che hanno scritto pagine purtroppo dimenticate di storia rossoblù. Di seguito, il nostro ricordo di Ciccio Delmorgine, la bandiera rossoblù.

COSENZA NEL PALLONE, viaggio nel calcio dei quartieri: I CAMPIONI

Francesco “Ciccio” Delmorgine è ritenuto universalmente l’autentica bandiera del calcio cosentino, avendone attraversato praticamente tutta la storia, tutte le vicende e tutte le vicissitudini dagli anni Trenta agli anni Ottanta in ogni possibile veste.

Ragazzino, calciatore giovane, calciatore esperto, viceallenatore, responsabile del settore giovanile, allenatore della prima squadra, osservatore e talent scout. Cinquanta lunghissimi anni di indiscussa fedeltà ai colori rossoblù, nonostante un paio di parentesi da calciatore a Cremona e a Brindisi e a qualcun’altra da allenatore, che non hanno mai intaccato la sua eccezionale “cosentinità”.

Fino a pochi mesi prima della morte (avvenuta il 4 maggio 2008) non ha mai rinunciato al suo abbigliamento originale e forse un po’ eccentrico, che finiva inevitabilmente per caratterizzarlo come “immagine” (oggi si direbbe look): giacche, camicie e soprattutto cravatte dai colori vivacissimi e una serie di eleganti cappelli lo rendevano inconfondibile e gli conferivano uno stile unico. A tale proposito, è impossibile non menzionare il sarto Gennarino Nigro, che rendeva realtà tutte le sue “invenzioni”. Prediligeva le tinte chiare e non si scostava mai dal doppiopetto.Ciccio Delmorgine nasce a Cosenza il 5 novembre 1920. Così come Gisberti (che aveva quattro anni più di lui) viene scoperto da don Peppino Pietramala quando è soltanto un ragazzino di 12 anni e sgambetta sui campi polverosi ricavati nel centro della città o nelle piazze più grandi, rincorrendo improbabili palloni di tutte le specie, comprese le scatole vuote di salse di pomodori per le quali sembra avesse una particolare predilezione.

Il Cosenza lo tessera senza battere ciglio nel 1935. Ormai da tre anni l’allenatore della prima squadra è Afro De Pietri e l’attenzione per i giovani, dopo qualche anno di “follie” con campioni decisamente troppo pretenziosi, è tornata alta.

L’ESORDIO IN ROSSOBLU’

Il giovanissimo Delmorgine è un mediano pieno di temperamento, sorretto da una valida struttura fisica, ma chiaramente bisognoso di apprendere meglio i fondamentali. Il Cosenza deve partire per Benevento e ha un problema di non facile soluzione: sostituire uno dei mediani titolari. De Pietri, oltre a essere un valente tecnico, è anche un esperto mediano. Non a caso la società l’ha ingaggiato come allenatore-giocatore. L’annata 1935-36 . che segna il battesimo per la “nuova” Serie C – non è proprio una delle migliori per i colori rossoblù. Anche perché nel lotto delle squadre concorrenti sono inserite molte formazioni blasonate. Il Cosenza di De Pietri non gira e i risultati non arrivano. Scocca. quindi, l’ora dei giovani e il quindicenne Delmorgine, stimolato al massimo dal tecnico, esordisce brillantemente proprio a Benevento.

IL FELICE INCONTRO CON OTTO KRAPPANNel campionato successivo, con Cassanelli in panchina, Ciccio riesce a far capolino altre due volte tra i titolari: a Bagnoli e nella partita casalinga contro il Manfredonia. Ma il torneo della consacrazione sarà quello 1937-38. La società è in difficoltà e decide di puntare tutto sui giovani locali. Ciccio Delmorgine è tra i prescelti e per il ruolo di allenatore si muove addirittura il commissario della Figc cosentina, sollecitato da tifosi e giornalisti. La scelta ricade sul tecnico ungherese Otto Krappan, che arriva pochi giorni prima della seconda giornata di campionato e riesce quasi subito a dare un insieme razionale alla squadra.

Ciccio sarà presente in tutte le partite e sarà grande protagonista della salvezza: non faticherà molto a diventare il beniamino dei tifosi. Delmorgine si distingue come un vero pilastro, i cronisti locali, superato l’iniziale scetticismo, lo etichettano “il cosentino per antonomasia” o, meglio ancora, “Ciccio nostro” e “Ciccio tutto cuore e tutto foga”. Il suo modo di giocare, in effetti, è molto generoso: corsa ad oltranza e tempismo negli interventi (la mezzala che gli viene affidata difficilmente riesce a sopraffarlo) sono le sue doti migliori, ma il ragazzo si affina anche nella costruzione del gioco.

Anche per lui, come era già accaduto per Gisberti e Leonetti, giunge l’ambito riconoscimento dell’Asso lanciato riservato dal quotidiano sportivo della capitale “Il Littoriale” (oggi Corriere dello Sport) ai giovani più promettenti. Krappan lascia Cosenza e Delmorgine lo segue nell’autunno del 1938 nella lontana Cremona. Il primo anno gioca poche partite, pagano lo scotto di un difficile ambientamento, ma nel 1940-41 gioca ininterrottamente e si afferma completamente.Dopo aver prestato un breve periodo di servizio militare, Delmorgine torna a Cosenza, in prestito dalla Cremonese, per le stagioni 1941-42 e 1942-43. Ciccio è titolare inamovibile e torna a guidare la linea mediana rossoblù questa volta con un altro cosentino emergente, quel Pasquale Lorenzon che proprio da lui apprende le prime astuzie del mestiere. Nel 1943, inoltre, convince Giuseppe Gualtieri ad arretrare il suo raggio d’azione in mediana. E sarà una nuova brillante intuizione, come riconosce Renato Vignolini, nel frattempo diventato allenatore del Cosenza.

Ma Delmorgine è destinato a un’altra dolorosa separazione dalla sua città in concomitanza con la fine della Seconda guerra mondiale. Ciccio, così come Gualtieri e Leonetti, decide di trasferirsi a Brindisi, preoccupato per la fase di stallo del calcio cosentino. Giocherà forse il suo migliore campionato di Serie C ma il Cosenza di Vignolini, inserito in un altro girone, conquista per la prima volta la Serie B e “Ciccio nostro” piangerà lacrime amare per non esserne stato il capitano.

CICCIO BANDIERA ROSSOBLU’Il ritorno a Cosenza coincide con la prima, storica stagione in Serie B. Attilio Demaria, il grande campione del mondo 1938 arrivato in città per guidare la squadra in campo e dalla panchina, gli assegna la maglia numero quattro e Delmorgine non deluderà le attese. Scenderà in campo solo una volta in meno di Demaria e sarà determinante nella riscossa della squadra nel girone di ritorno, che porterà a una salvezza insperata solo fino a qualche mese prima. Ciccio, a questo punto, ritorna ad essere la bandiera del Cosenza, diventa l’indiscusso capitano e inanellerà in maglia rossoblù altri sei campionati consecutivi: uno di Serie B, quattro di Serie C e uno di Quarta serie. Per un totale di 258 presenze, che lo inserisce al terzo posto nella classifica dei fedelissimi di tutti i tempi, dietro solo a due “monumenti” (e in tempi completamente diversi) come Gigi Marulla e Gigi De Rosa.LA CARRIERA DI ALLENATORE

Ciccio smette di giocare nel 1954 e a 34 anni torna a indossare la tuta dell’As Cosenza come viceallenatore di Julius Zsengeller. E’ il Cosenza definito da tutti “Freccia del Sud”m che però non riuscirà a guadagnare la promozione in Serie C. Successivamente passa al settore giovanile. Con i suoi ragazzi, già a partire dal 1956, inizia a collezionare i primi successi.

Nel 1957 Delmorgine è il secondo di Bellini nell’anno della sospirata promozione in Serie C e l’anno successivo sarà anche il vice di Gastone Prendato nella stagione in cui il Cosenza mancherà la promozione in Serie B per un solo punto. Nel 1960 Ciccio è puntualmente il vice di Zsengeller, con il quale si ritrova dopo cinque anni: sarà finalmente l’annata buona per l’atteso e meritato ritorno in Serie B. Il suo sodalizio col “professore” è inossidabile: così diversi eppure così in sintonia per tutto quello che riguardava la preparazione della squadra in tempi nei quali non c’erano preparatori atletici o dei portieri e il “vice” si doveva accollare una serie incredibile di mansioni, tra le quali anche quella di curare il settore giovanile.Intanto, i suoi ragazzi non si limitano più alle imprese nelle sfide regionali con Catanzaro, Crotone e Reggina e nella stagione 1961-62 disputano la finale nazionale del Torneo “De Martino” (l’equivalente dell’attuale campionato Primavera) perdendo solo ai calci di rigore contro il Genoa in una memorabile sfida a Marassi. Ciccio dà tutto se stesso ai suoi ragazzi, fioriscono centinaia di aneddoti sui suoi “metodi” e la squadra sale sul tetto d’Italia entusiasmando i tifosi e mettendo in vetrina talenti assoluti come Millea, Gramoglia, Malvasi, Ortale e Florio solo per citare quelli più in vista. Ce ne occuperemo approfonditamente più avanti.PRIMA SQUADRA SEMPRE… A TEMPO

Nel 1963-64, dopo l’esonero di Todeschini, Ciccio Delmorgine ha l’opportunità di sedersi per la prima volta sulla panchina della prima squadra ma l’esordio è di quelli da dimenticare: l’Alessandria violerà il “Morrone”. La società chiamerò quindi Mezzadri e poi di nuovo Todeschini ma l’esito del torneo è scontato: retrocessione in Serie C. Delnmorgine resta ancora nei quadri societari come “secondo” e capo del settore giovanile anche negli anni in cui si alterneranno sulla panchina allenatori come Tom Rosati e Oscar Montez, che solo per mera sfortuna non centreranno la promozione in Serie B.

Nel 1967-68 Egizio Rubino, nonostante il presidente Mario Guido avesse allestito una signora squadra, non riesce a far ingranare il gruppo e Delmorgine viene nuovamente lanciato nella mischia. Questa volta il buon Ciccio non si fa sfuggire l’occasione: guida la squadra come meglio non potrebbe e conquista un onorevolissimo ottavo posto finale.Nel 1968-69 è secondo del rientrante Oscar Montez e nel 1969-70 di Castignani. Nella stagione successiva (1970-71) il presidente Guido lo richiama a guidare la prima squadra quasi a furor di popolo dopo il “gran rifiuto” di Tito Corsi, che prima firma e poi se ne andrà ad Empoli, dove raggiungerà la gloria assoluta. E’ il Cosenza dei fratelli Campidonico, di Giusto Lodi (a fine carriera), del giovane terzino scuola Juve, Gioanetto, dei cosentini Tonino Vita e Pasquale Fiore, provenienti dai grandi vivai di Paola e Acri e “scoperti” sempre da Ciccio, del forte stopper Eros Gobbi, dell’estrosa ala destra Gianfranco Gagliardi. Ma soprattutto del libero Sergio Codognato (scuola Inter), che negli anni successivi diventerà capitano e bandiera rossoblù. La squadra si classifica al nono posto ma Delmorgine non veiene confermato. Gli si preferisce Giusto Lodi nella veste di allenatore-giocatore e a Ciccio non restava che fargli da tutore in panchina, visto che non aveva il tesserino federale. Una soluzione non particolarmente gradita dall’ormai esperto tecnico, che infatti dopo pochi mesi molla la presa e decide di tentare una strada nuova, accettando le proposte della Gioiese in Serie D. Ma si tratterà solo di una breve parentesi.Ciccio Delmorgine torna a Cosenza e per lui inizia una nuova fase, quella dell’osservatore e dello scopritore di talenti in giro per l’Italia, alla quale si dedicherà – come sempre – anima e corpo e che lo accompagnerà dal buio della fine degli anni Settanta con il Cosenza impelagato nelle secche della Serie D fino alla rinascita degli anni Ottanta.

I MILLE ANEDDOTI SU CICCIO

L’aneddotica su Ciccio è praticamente infinita. Le macchiette più particolari riguardano la sua idiosincrasia per un corretto uso della lingua di Dante, determinata dal fatto che non aveva avuto la possibilità di andare a scuola. E così Ciccio parlava esclusivamente in dialetto e quando era costretto a dialogare con compagni di squadra o allenatori che venivano dal Nord o addirittura dall’estero, era in difficoltà ma ne usciva alla grande con l’innata simpatia e il senso dell’umorismo che lo caratterizzava. Impossibile però non citare alcune “chicche”. Per esempio: “Mister, oggi la partita sarà molto difficile: gli avversari sono forti e in campo c’è pure foschia…”. Risposta: “Va bene, allora marcalo tu!”. Oppure: “Ragazzi, al mio colpo di fiscaletto ‘nchianate le scalone a quattro a quattro!”. “Il Rigore” scriveva che “la personalità di Delmorgine è fatta di vecchia esperienza calcistica, di una schietta base di pratica filosofia, di un’arguta parlantina infiorata di aforismi e di un buonumore che non manca mai”. Ciccio in verità era consapevole dei suoi limiti linguistici e sopperiva a queste lacune dandosi un’immagine particolare e certamente originale, anche e soprattutto nel modo di vestire.

Ciardullo lo vedeva così.

E’ Delmorgine, è Cicciu ed a Cusenza

è canusciutu cumu tri dinari

Nun fa chiacchiere, mosse, riverenze

ma alla difesa cumu turra stari

Mo sarà valentìa, nciarmu o magagna

ma a menzala de Cicciu sinne spagna

GLI EREDI

Suo figlio Teobaldo è stato prima calciatore e poi allenatore portando avanti gli insegnamenti paterni e raccogliendo ottimi risultati, tra i quali anche il titolo di Campione d’Italia Berretti con il Cosenza nel 1993. Suo nipote, che porta lo stesso nome Francesco Delmorgine, è un apprezzato preparatore atletico e ha lavorato con società importanti come Ternana, Latina, Spezia e Bari.

IL SANVITINO-DELMORGINE

L’ex sindaco di Cosenza Salvatore Perugini, in carica nel 2008, nell’immediatezza della sua scomparsa, ha dichiarato che con Ciccio Delmorgine se ne andava non solo un pezzo di storia del calcio cosentino ma dell’intera città. E ha intitolato il Sanvitino alla sua memoria ma successivamente, per quanto possiamo ricordare, non si era mai svolta una cerimonia ufficiale di intitolazione.