Cosenza nel pallone: la favola di “Mamino” Mari

COSENZA NEL PALLONE, viaggio nel calcio dei quartieri: I CAMPIONI

Il vivaio cosentino ormai non si ferma più e sforna talenti in continuazione. La stagione 1939-40 è quello della consacrazione per un altro portiere, il sostituto di Luciano Gisberti. E’ Massimo Mari, per tutti Mamino. Ceduto in prestito al San Lucido, nel 1938-39 torna alla casa madre ma ha davanti ben due rivali: il torinese Goffi, proveniente dal Casale e il cosentino Giuseppe Cristiano. Ben presto, però, Mari convince il tecnico tedesco Hansel (nel frattempo succeduto all’ungherese Vanicsek) delle sue qualità e l’8 ottobre è già titolare in un burrascoso Cosenza-Salernitana finito 5-4 per i campani, giocato su un terreno impraticabile per tutti tranne che per l’arbitro.

Da allora Mamino Mari non lascia più la maglia numero 1. In molti affermano che è stato il degno successore di Luciano Gisberti, ritenendolo forse migliore in alcuni fondamentali. Mari era un portiere di gran classe, completo e per lui stravedeva Gipo Viani, all’epoca a Siracusa, che poi avrebbe fatto fortuna nel Milan.

Mamino, proveniente da una famiglia di professionisti che ne ha tentato di frenare la carriera con ogni mezzo necessario, si è costruito la sua fama fin dagli anni della scuola. Erano i tempi dei palloni di pezza e delle pietre ammucchiate a far da palo, ma già si organizzavano i primi Campionati studenteschi. Ogni istituto aveva la sua squadra e le sfide erano sentite e avvincenti. Massimo Mari aveva già capito di avere un futuro da portiere. Stare tra i pali era per lui una passione primordiale e artigianale.

Nessuno che gli spiegasse quali esercizi fare per prepararsi atleticamente, la tecnica delle uscite e degli altri interventi. Mamino rubava segreti ai portieri durante le partite del Cosenza e poi li applicava nei cortili o ai tornei studenteschi, dove le sue parate divennero leggendarie.

A quei livelli un atleta del talento di Mari faceva davvero la differenza e gli attaccanti di tutte le scuole superiori di Cosenza dovettero presto rassegnarsi: con quel “gatto” in porta era davvero impossibile segnare.

Massimo Mari trova però nelle prestazioni di questi tornei tra ragazzini la motivazione per continuare ad allenarsi, ad affinare il suo stile e a perfezionare la sua “presa”, gesto tecnico divenuto il suo carattere distintivo. Sotto il flusso dell’entusiasmo, anche la famiglia dovette rassegnarsi e farlo proseguire nella sua passione sportiva, tanto che Mamino sarà l’unico della sua famiglia a non laurearsi, troppo preso dal pallone per andare avanti con gli studi. Le caratteristiche tecniche distintive di questo splendido atleta furono le doti acrobatiche e la presa. Tanto Gisberti era essenziale nei movimenti e preciso nella posizione quanto Mamino era esplosivo negli interventi e raffinato nello stile. Uno stile plastico che lo faceva ammirare dagli spettatori anche al di là delle sue potenzialità tecniche. C’era poi la mitica “presa alla Mari”, che divenne il tormentone dei campetti di quartiere della Cosenza di quegli anni e anche di molti anni a venire. Una presa ferrea, tanto che sembrava avesse delle morse al posto delle mani. Mani come calamite che riuscivano a domare anche i palloni più infidi e scivolosi.

Gioca con il Cosenza fino alla vigilia della Seconda guerra mondiale, poi – dopo il conflitto – non rientra subito con i Lupi ma sarà nell’organico della squadra promossa in Serie B e per lui stravederà anche Attilio Demaria, il campione del mondo oriundo argentino del 1938 approdato a Cosenza nell’immediato dopoguerra.

Ciccio Delmorgine, Mamino Mari e Raffaele Bruno

Leggendaria la sua prestazione proprio in una gara col Siracusa che i cronisti titoleranno significativamente “Siracusa-Mari: zero a zero”. A penalizzarlo è stata una serie di circostanze negative che ne hanno stroncato la carriera. A partire dai contrasti familiari per la sua passione calcistica. Il padre, il professore Annibale Mari, non gradiva che suo figlio diventasse un calciatore di professione ed è per questo che Mamino non emigra, come invece accade a Gisberti. Mari viene seguito anche dalla Juventus, ma l’affare non si conclude e così Mamino, dopo aver giocato a singhiozzo fino all’alba degli anni Cinquanta, lascia il calcio, tormentato anche da una insistente miopia.