Cosenza, quando la “rivoluzione” è avvilire una città

di Michele Giacomantonio 

“Noi siamo i veri rivoluzionari”, continua ad urlare dalla sua bacheca il sindaco di Cosenza, rivendicando cambiamenti strabilianti impressi alla città. Eppure l’intera sua azione politica è stata improntata su pratiche e linee di vecchissima e pessima politica. Non risulta esserci alcunché di innovativo, men che meno di rivoluzionario, nell’essere coinvolto dentro una indagine giudiziaria piuttosto grave assieme all’ex ministro Clini.

Essere accusato di aver fatto parte di una associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta e alla corruzione è una cosa squallida, non rivoluzionaria. Né appare particolarmente rivoluzionario aver assunto come assessore la moglie dello stesso Clini, Martina Hauser, la cui presenza nella sale di Palazzo dei Bruzi è stata effimera come una figura mitologica.

Cosa c’è poi di rivoluzionario nell’abbandonare al degrado il patrimonio architettonico della città antica e l’umanità che vi abita, inseguendo ostinatamente il progetto dispendiosissimo di un museo del nulla? La bramosia di appalti che sembra segnare l’azione quotidiana di questa amministrazione rappresenta forse una rivoluzione? L’avere in questi non pochi anni impegnato somme milionarie oltre l’immaginazione in appalti dati senza gare, al punto da destare l’attenzione perfino della procura di Cosenza e per lavori che hanno aggravato le condizioni di vivibilità della città, rappresenta un segno fortemente innovativo?

L’essersi più volte e con profitto seduto allo stesso tavolo con quelli che lo stesso Occhiuto chiama “vecchi politicanti della sinistra” per trattare, mediare, dividersi appalti e progetti, tutti calati dall’alto sulla testa dei cittadini mai coinvolti nelle scelte, non è forse un tratto caratteristico della polverosa e vecchia politica?

E’ forse rivoluzionario non pagare i propri debiti, rischiando di farli gravare sulle casse pubbliche, come esattamente un anno fa scrivevano – tra gli altri – il Corriere della Sera e il Fatto Quotidiano? C’è qualcuno a cui pare irresistibilmente rivoluzionario mostrare cinismo e nessuna sensibilità politica e umana verso i soggetti più deboli, che lottano per difendere con le unghie brandelli di diritti costantemente in pericolo, sbeffeggiandoli con battute sui Rolex che erano vecchie quando lo stesso sindaco aveva i pantaloni corti?

Anche la pratica, francamente ormai diventata noiosa, di accusare gli avversari di essere non solo odiatori, ma perfino terroristi, mercenari e assassini, fa parte della vecchissima politica, cui con tutta evidenza appartiene il sindaco, che mira a delegittimare chi non applaude al suo passaggio. Forse la vecchia frase con cui Mao Tse Tung spiegava che la rivoluzione non è un pranzo di gala andrebbe aggiornata: la rivoluzione è avvilire una città.