Una delle principali domande che la città dovrebbe porsi, all’indomani delle gravi dichiarazione del sindaco Franz sul grave disastro economico riscontrato nelle casse comunali (i commissari e i dirigenti comunali parlano di un comune indebitato per oltre 400 milioni di euro, e il dato non è ancora definitivo), è questa: si può sapere a chi dobbiamo questi denari e perché? Una domanda che dovrebbe essere all’ordine del giorno di tutte le discussioni dei cosentini, e della politica tutta. Non parliamo poi della Giustizia che dovrebbe interessarsi più degli altri a questa situazione che ha tutte le caratteristiche di una grande truffa ai danni dei cittadini. Ma pare non interessare a nessuno sapere come ci siamo indebitati e con chi, come se questo “buco” non ci interessasse. Tanto paga Pantalone, ognuno pensa. È ovvio che ognuno vede in Pantalone il “vicino caggio” che paga tutte le tasse, compreso le multe. In Italia si sa: c’è sempre qualcuno, alla fine, che paga per tutti.
Eppure non è una domanda peregrina, forzata, o addirittura inventata. I conti sono conti e al Comune di Cosenza non tornano da tempo. E sarebbe giusto capire dove sono finiti e chi ha intascato i denari di tutti, ma soprattutto ci piacerebbe sapere come sono stati spesi. Perché se c’è qualcuno che “avanza” soldi dal comune la ragione è solo una: ha fornito servizi, beni, o ha eseguito lavori per la pubblica amministrazione. E se la cifra dei debiti supera i 400 milioni di euro, in città, eventuali “lavori” dovrebbero essere più che visibili. Una città che spende 400 milioni di euro qualcosina di vistoso la deve pur esporre! E quello che espone la città è solo qualche alliccata di cemento che qualcuno si ostina a chiamare “piazza”, e null’altro, checchè ne dica Mario Occhiuto che continua a spacciare come “opere” da lui finanziate, in riferimento a: piazza Fera/Bilotti, Ponte di Calatrava, e Planetario, “lavori” che in realtà risultavano già finanziati e portati a termine dalla sua scadente e truffaldina amministrazione. Opere la cui realizzazione non ha intaccato le casse comunali, ed è per questo che la domanda diventa, a maggior ragione, sempre più pressante: dove sono finiti, allora, questi denari? Forse Occhiuto ha costruito qualche città sotterranea che nessuno vede? O ha rifatto l’intera conduttura idrica cittadina e oggi tutti hanno l’acqua in casa h24? Oppure ha costruito un nuovo e moderno ospedale che appare, però, solo nei sogni incantati di qualche lecchino?
Di opere faraoniche e utili per i cittadini, in città non se ne vedono: con 400 milioni di euro di cose se ne fanno, ma non a Cosenza. E tuttavia il debito esiste, più di qualcuno si è arricchito, e vorremmo sapere chi e perché. Il che dovrebbe essere l’argomento di ogni discussione pubblica in città. Tutti i cosentini dovrebbero chiedere spiegazioni, ma nessuno osa chiedere conto di tale disastro, compreso i rivoluzionari di sinistra e destra, i partiti, la società civile, i sindacati, le associazioni sociali e di categoria, il terziario, la brava gente. Tutti zitti e silenti, magari perché impegnati in altre più importanti lotte come quella promossa da certa sinistra sull’apertura o meno di via Roma al traffico.
Fare questa domanda non conviene a nessuno, perché la risposta potrebbe portare ad un vero e proprio terremoto politico/giudiziario: dalla contabilità, e quindi dal flusso di denaro drenato illegalmente dalle casse pubbliche, si può ricostruire il “Sistema Cosenza”. Capire chi ha intascato i soldi significa disegnare l’organigramma massomafioso che governa la città. E qualcuno, per questo, potrebbe incazzarsi. Meglio farsi i fatti propri, piuttosto che aprire una “polemica” di queste dimensioni: quando a Cosenza tocchi “certi interessi” la repressione sottobanco scatta all’istante. E nessuno vuole inimicarsi certi potenti signori della città, compresi i rivoluzionari con la bandiera rossa. La lotta politica, in città, si fa fino ad un certo punto, di massomafiosi, e di malavita a Cosenza non si parla. Perciò è meglio, se vuoi vivere tranquillo, non farti troppo domande… ca campi cent’anni.