Cosenza, togliete quelle mani dalla città (di Battista Sangineto)

di Battista Sangineto

Una città è fatta di molte cose, alcune materiali ed altre immateriali; una città è fatta di un patrimonio culturale “immateriale”, la memoria culturale, e di uno “materiale”, i monumenti, le piazze, le strade, i palazzi, i beni culturali. Ogni città è il risultato unico ed irripetibile di una enorme quantità di variabili storiche, sociali, religiose, politiche ed economiche. Le città, soprattutto quelle italiane, sono diverse le une dalle altre perché hanno forme urbane, avvenimenti storici, stili e materiali architettonici e paesaggi nei quali si incastonano, molto differenti fra loro. Cosenza ha una sua pluristratificata e originale storia il cui fascino e la cui ricchezza degli elementi materiali ed immateriali dovrebbe indurre i cittadini a viverla e ad amarla. Ogni città, soprattutto se di antica origine come la nostra, è non solo il risultato della propria storia, ma anche il volto e la traduzione in pietra e mattoni del popolo che la abita, la conserva e la trasforma (Settis 2014). Con l’abbandono, nel secondo dopoguerra, del Centro storico e con la discesa a valle degli abitanti la memoria ha cominciato a svanire e poi, inesorabilmente, a perdersi fra i cittadini che non la conservano e non la trasformano più.

L’esito è che Cosenza inizia ad esser priva di una identità, di una memoria culturale collettiva riconosciuta e riconoscibile. I cosentini mi paiono quasi del tutto manchevoli, nel complesso, di quel fondamentale elemento della coscienza collettiva di una comunità che è rappresentato dalla memoria, quella memoria che permette di riconoscersi e di riconoscere. Sì, perché se degli elementi materiali della memoria si ha poca consapevolezza -come dimostra il silenzio, collettivo, che ha accompagnato e seguito la recente demolizione di alcuni palazzi storici lungo il medioevale Corso Telesio – ancor meno la si ha degli edifici che appartengono ad una storia più recente, alla storia della fine dell’800-inizi ‘900. Mi riferisco a quei quartieri – come i Rivocati e la Riforma – che compongono il reticolo di vie compreso, grossomodo, fra la riva sinistra del Busento a sud, quella del Crati a est, via Romualdo Campagna a Ovest e via Piave a nord. Un’area che, secondo gli studi condotti da Fulvio Terzi, era già urbanizzata a partire dal XIII secolo come testimoniano alcuni edifici riconducibili a quell’epoca, ma anche, con grande evidenza, il disegno della città conservato presso la Biblioteca Angelica, databile fra il 1580 ed il 1584. Questa porzione della città è interessata dalla costruzione di edifici a partire dalla seconda metà dell’800, ma è negli anni ’20 che raggiunge la massima attività edilizia che viene completata nei primi anni ’30. Dal punto di vista dell’architettura si osserva un evidente miglioramento qualitativo delle costruzioni con proposte formali di indubbia qualità e definizione che nei prospetti illustrano il processo culturale artistico con stili e linguaggi caratterizzati da ornati barocchi, liberty, déco e neoclassici di indubbia qualità. La composizione di questo settore urbano così ampiamente stratificato storicamente da ben più di 70 anni e dalle precise qualità urbane e architettoniche non può, dunque, essere modificato da abbattimenti e sostituzioni volumetriche.

Quasi tutti gli edifici conservano caratteri formali simili e, spesso, di pregio tanto è vero che esiste già un vincolo paesaggistico riguardante una buona parte di questa area, emanato il 14 agosto 1969 ed allargato, il 31 luglio 1992, a tutte le colline intorno al Centro storico. Il vincolo per notevole interesse pubblico, artt. 136-146 D. Lgs. 42/2004, impedisce la costruzione o la sostituzione volumetrica di edifici senza un obbligatorio parere positivo da parte della Soprintendenza ABAP di Cosenza.
Il vincolo recita: “L’area del centro storico e zone limitrofe di Cosenza ha notevole interesse pubblico ai sensi della legge 1939, n. 1497. Tale zona è delimitata nel modo seguente: Cominciando dal ponte detto di Alarico sul Crati: il ponte stesso, la discesa che congiunge il ponte con Piazza XX settembre, piazza Matteotti, viale Trieste in parte, viale Trento in parte, via Montello (ora D. Andreotti), via Bengasi in parte, Via Milelli, piazza Amendola, via Asmara, sino a raggiungere il vertice est del mappale 51 …Il tratto del fiume Crati, a partire dalla confluenza con il torrente Cardona-Ispica, risalendo a monte ad intersecare il confine comunale del comune di Pietrafitta. Da tale punto (A) si costeggia il termine confinario comunale del territorio di Pietrafitta fino ad incrociare la strada provinciale Cosenza-Pietrafitta costituente ulteriore limite vertice (B) e da qui continuando lungo detta strada fino alla sua intersezione (C) con il tratto di confine comunale sempre di Pietrafitta, seguendo il quale confine si giunge ad incrociare il torrente Ispica (D). Indi da tale punto, costituente il vertice sud della composizione misti-linea, si percorre naturalmente scendendo a valle il torrente Ispica fino alla sua confluenza con il torrente Cardona (E), indi detto torrente fino alla sua confluenza con il fiume Crati (F); Considerato che l’area predetta presenta una struttura orografica naturale, costituente un fondale paesaggistico modellato di rilievi, valloni, corsi d’acqua e pendici nel quale esistono ancora valenze ambientali meritevoli di tutela… Il territorio collinare sito nel comune di Cosenza così come perimetrato è dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 ed in applicazione dell’art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 ed è pertanto soggetta a tutte le disposizioni contenute nella legge stessa ed a quelle previste nel citato decreto del Presidente della Repubblica”.Dopo questo, importante, vincolo siamo convinti che ormai una più vasta area – dalla riva sinistra del Busento, a sud, fino a piazza Skanderberg, a nord – abbisogna dell’estensione del vincolo paesaggistico, ma anche dell’applicazione di un vincolo diretto per la presenza di edifici e manufatti urbanistici, ormai storici poiché hanno più di 70 anni. Bisogna ricordare anche che il vincolo paesaggistico del 1969 impedisce di costruire su tutte le colline che circondano la città perché costituiscono “un fondale paesaggistico modellato di rilievi, valloni, corsi d’acqua e pendici nel quale esistono ancora valenze ambientali meritevoli di tutela”.

Secondo questo vincolo non avrebbero potuto costruire il Planetario, il Ponte che collega il nulla con il nulla e non potrebbero costruire il sedicente Parco del Benessere, il Parco fluviale, la metro leggera et cetera, et cetera. Non avrebbero potuto pavimentare, senza chiedere l’autorizzazione, Corso Mazzini e, soprattutto, quell’ultimo tratto, nei pressi di Palazzo dei Bruzi, che ha un vincolo diretto non solo perché c’è la storica, ha più di 70 anni, Fontana di Giugno, ma, soprattutto, perché è adiacente all’ex Convento dei Carmelitani, ora Caserma Grippo, di fondazione cinquecentesca. Avrebbero dovuto usare una precauzione ulteriore sapendo che, agli inizi del XX secolo, furono rinvenute, nel corso di un rifacimento, alcune tombe di epoca ellenistica e romana.In ogni caso non possono e non devono più, per legge, verificarsi episodi di demolizione e sostituzione di volumetria come quelli di via Rivocati, o tentativi di edificazione ex novo sulle colline intorno alla città (come stavano provando a fare a Colle Triglio, per esempio) perché il Comune di Cosenza -non avendo avuto l’adeguamento del PSC perché non era conforme al Quadro Territoriale Regionale Paesaggistico della Regione- non può rilasciare licenze edilizie a privati.In altre parole non si può saccheggiare l’intera città cementificando senza rispettare alcuna regola e legge e senza tener conto della enorme quantità di case vuote certificata, di recente, dall’ISTAT: la Calabria è la regione italiana che presenta il maggior numero di abitazioni rispetto al numero di abitanti: 1.243.643 alloggi, di cui 482.736 vuoti, per poco meno di 2 milioni di abitanti. Solo a Cosenza i vani vuoti sono 165.398 e la sua provincia è la seconda in Italia per numero, 15.188, di immobili degradati. A Cosenza e provincia non c’è alcun bisogno di costruire altri edifici e altri vani che resterebbero vuoti, ma è necessario un’opera gigantesca di restauro e recupero di quelli vuoti o degradati, soprattutto nel centro storico, da destinare, in primis et ante omnia, ai bisognosi ed ai senza casa.