Cosenza. Un Natale spento: “Vena Natali e nun tiagnu dinari (e mancu luminarie)”

Era il 1955 quando un giovane ma talentuoso Renato Carosone cantava, in giro per Napoli, accompagnato dalla sua nascente “band”, il brano “Mò vene Natale” (pubblicato nel ‘58. Il testo si rifà ad una antica filastrocca napoletana, leggermente modificata dall’estro geniale del grande maestro). La Rai da quasi un anno aveva lanciato la sua prima trasmissione, e il presidente Gronchi era appena succeduto al Quirinale, al posto del presidente Einaudi, giunto al termine del suo settennato. L’Italia spalava ancora le macerie della guerra, ma da lì a poco sarebbe arrivato il boom economico che avrebbe cambiato per sempre i connotati sociali ed economici dell’Italia. Ed è proprio l’idea di poter raggiungere un prosperoso e ricco futuro che rese più sopportabile, agli italiani, la durezza di quegli anni fatti di lacrime e sudore, guidati, però, come non mai, dalla stella della speranza. Che come si sa è sempre l’ultima a morire.

A rendere più sopportabile la fatica anche le note delle canzoni che in quegli anni uscivano dalle prime radio “casalinghe” a transistor. E la canzone del grande Carosone, con il suo motivo “all’americana” e il suo testo “ironico”, non ci mise molto a conquistare le orecchie e i cuori degli italiani. Al punto da assurgere come rito esorcizzante della miseria: “una formula” per prendersi beffa della propria povertà, magari fumandoci sopra, che diventa però, nel paradosso, un forte auspicio di libertà dal bisogno e dalla fatica. L’antica filastrocca recita così: “Mo’ vene Natale e u ttegnu dinari; mi pigghiu a pippa e mi mindu a fumari! Che il maestro Carosone trasformò in: Mo’ vene Natale – Nun tengo denare – Me leggio ‘o giurnale – E me vado ‘a cucca’. Cantarla, o recitarla, è sempre stato di buon auspicio.

Ecco, la canzone potrebbe essere il leit motiv di questo Natale cosentino. Dovrebbe essere diffusa tutto il giorno su corso Mazzini, per ricordare a tutti i cittadini che passeggiano sul corso che se quest’anno la città non è addobbata è perché non ci sono denari, ed è giusto che sia così, farsi altri debiti per le luminarie, non è cosa!

Certo, una città senza luminarie non ha nessun fascino natalizio: si sa che la cosa più bella del Natale, è “l’atmosfera natalizia”. E fa un po’ tristezza vedere la città spenta. Ma questo è, in mancanza di denari si deve rinunciare a qualcosa, e delle luminarie, pagate a peso d’oro negli anni passati, nonostante la necessaria e tradizionale esposizione natalizia, ne possiamo fare a meno. Tuttavia non dobbiamo essere tristi, dobbiamo vederla così come la vedevano i nostri nonni con ironia e speranza per il futuro, non dimenticando, però, che se la città è cupa e buia la colpa è di chi ha sperperato e saccheggiato le casse comunali per 10 anni, facendoci credere che nulla sarebbe cambiato nelle ordinarie e giuste abitudini dei cosentini. E in tanti, purtroppo, a tutto questo, hanno abboccato.