Cosenza, vi racconto la mia esperienza nel reparto maternità: #maipiùsole

Lo scorso 7 gennaio all’ospedale Pertini di Roma, un neonato di tre giorni è morto tra le braccia della madre che lo stava allattando. La tragica notizia, diffusa negli ultimi giorni, ha riacceso i fari sul cosiddetto «rooming-in», ovvero la pratica che permette alla madre e al bambino di restare insieme 24 ore su 24 durante la permanenza in ospedale. L’argomento ha dimostrato di essere tanto caldo quanto divisivo: mentre molti sottolineano i benefici di un’intimità tra madre e figlio sin dai primi momenti di vita, diverse donne hanno raccontato di aver vissuto un’esperienza traumatica, fatta di disservizi e abbandono. Come evitare un drammatico epilogo come quello avvenuto tra i corridoi del Pertini? Come offrire adeguate cure e attenzioni alle donne anche dopo la gravidanza? E quali ripercussioni, fisiche e psicologiche, ha sulle neo-mamme la mancata assistenza? E di seguito pubblichiamo anche noi la testimonianza di una donna che ha partorito nel reparto maternità dell’ospedale dell’Annunziata di Cosenza.

Ho riflettuto bene se condividere o meno la mia esperienza nel reparto maternità dell’ospedale dell’Annunziata di Cosenza ma alla fine ho deciso di raccontare la triste realtà che è toccata a me e che ogni donna vive prima, durante e dopo una gravidanza. Gli ultimi mesi sono i più duri, dal mal di schiena, dalle piccole contrazioni preparatorie, nausee, notti insonni perché non si trovano posizioni. Insomma si arriva al parto già stremate.

A me è accaduto questo. Arrivo in ospedale per dolori. Ore 23
Mi lasciano in attesa in corridoio su una poltrona per 3 ore, nell’attesa dell’esito del tampone. Dopo 3 ore, vado a chiedere, mi viene risposto che si erano dimenticati di controllare😅 l’esito.

Dopo poco, ritornano e mi dicono di attendere ancora un po’. Il tempo passava e dalle 3 ore siamo arrivati alla mattina. Nel frattempo nessuna delle operanti mi ha chiesto se avessi bisogno di una coperta, o di qualcosa. E faceva freddo. Verso le 5 del mattino mi portano in una camera già stracolma di letti occupati, e cercano di stringere il più possibile tutti per farmi entrare.
Passo 5 giorni in quella stanza, che aveva tutto di sbagliato, tranne le mie compagne di degenza con la quale scambiavo risate a volontà.
Dopo 5 giorni, mi portano in maternità, avrei dovuto fare l’induzione. Per 3 giorni mi hanno indotto con vari metodi, ed io, dolorante, attendevo solo di vedere la mia principessa. Mi portarono in sala travaglio, avevo perso il tappo, avevo contrazioni già da 5 ore abbondanti, sempre più intense, ed ero sfinita ormai dai giorni precedenti in degenza.

Ed ecco che arriva il bello (ironicamente parlando, anche se di ironico vi è ben poco). Il dottore di turno mi chiede di aprire le gambe (scusate se sono diretta) e di farmi visitare. Io, avendo un po’ di ansia, ho chiesto gentilmente di aspettare un minuto, perché avevo un attacco di panico. Lui, senza neanche provare a tranquillizzarmi, si è rivolto all’ostetrica e ha detto “preparate la sala operatoria, la signora fa il cesareo”. Mai avrei voluto subire un’operazione, ma per il medico, che neanche mi ha visitata, ero pronta…
In sala parto, l’unico a rivolgermi parole di conforto fu l’anestesista, che mi rassicurava man mano perché tremavo, tremavo di paura.

Durante l’operazione sentii il pianto di mia figlia, e il dottore e la dottoressa che mi operavano, neanche una parola. Portarono via mia figlia, e non riuscii neppure a sentirne l’odore o a darle un bacio. Quando finirono di ricucire il tutto mi lasciarono in una stanza ad aspettare il mio compagno. Mi lasciarono con metà corpo paralizzato, avevo freddo, con mia figlia nella culletta a fianco, senza nessuno da supporto, anche solo per tenerla tra le braccia. Riuscii a sentire il suo calore solo dopo l’ingresso del mio compagno che la prese e me la passò. Mi dilungherei nei dettagli e sorvolo.

Vi dico solo che volevo allattarla, chiesi se potevo farlo e mi venne risposto di no, dopo 20 minuti passò un’altra dottoressa che mi chiese: “Signora, ancora non l’ha attaccata al seno?”. Cioè… mettetevi d’accordo…
La degenza dei 3 giorni post parto è stata bruttissima. Imploravo antidolorifici che non arrivavano, se non dopo grida disperate di dolore.

Mi portarono in camera e li iniziò un martirio. Non mi cambiarono il PANNOLONE per quasi 2 giorni, con perdite di sangue a volontà. Non mi aiutarono ad alzarmi, se non al terzo giorno, con l’aiuto della mia compagna di stanza sono riuscita a trovare la forza di scendere e saltare da quel maledetto letto che era troppo alto. Ahia. La ferita faceva male, non riuscivo a stare dritta, mi mancava il respiro e sentivo i miei organi che pian piano prendevano di nuovo spazio.

Le puericultrici mi lasciarono con la bambina senza aiuto (intervennero solo quando alzai la voce e minacciai di chiamare il direttore sanitario). Chiesi aiuto per la bambina, per portarla al nido. Avevo bisogno di riposo ma dopo continui pianti, al terzo giorno riuscii a dormire e a mangiare qualcosa e bere acqua. Un martirio continuo, non potevo neanche bere dopo l’operazione e la stanchezza era davvero alle stelle.

Allora mi chiedo… Una mamma stremata che si addormenta con il figlio in braccio, e dopo poche ore si accorge che il proprio bambino è morto soffocato, può sentirsi colpevole? Magari sì, si sente colpevole, ma colpevole non lo è. Chi ha colpe? I medici e gli operatori sanitari. Sono loro a doversi sentire in colpa, perché siamo donne, siamo umane, non siamo di ferro, non sopportiamo tutto. Una mano sulla coscienza non guasta.
E per dirvela tutta mi è capitato anche di sentirmi dire “signora, non c’è solo lei, c’è chi sta peggio”. Certo, c’è chi sta peggio di me come voi, che prendete uno stipendio per curare chi ne ha bisogno, ma fate tutt’altro e ci considerate dei numeri, ho risposto.
Questo vuole essere un grido affinché non capiti più quello che è capitato a me.
Firmato #unamammacometante #ospedaleannunziata #maipiusole