Reggio. “Così governa la massomafia”. I pentiti Vecchio, Cortese e De Carlo raccontano il Sistema: da Scopelliti e Caridi a Nicolò

Vecchio, Cortese e De Carlo svelano le relazioni con la politica ed il “livello superiore”

di Alessia Candito

Fonte: Antimafia Duemila (https://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/82452-cosi-governa-la-ndrangheta-i-pentiti-calabresi-raccontano-il-sistema.html)

“Chi come me partecipa alla competizione elettorale, sa bene quali sono gli schieramenti, o comunque lo intuisce anche solo verificando chi partecipa alle varie cene elettorali”. Non parla certo di partiti o di coalizioni, ma di grandi famiglie di ‘Ndrangheta pronte ad appoggiare questo o quel politico, il neo pentito Seby Vecchio, quando seduto di fronte ai pm disegna la reale geografia politica di Reggio Calabria.

Il prezzo dell’endorsement
Che i clan puntassero su qualcuno, era noto dice Vecchio. Normale. Sandro Nicolò, arrestato quando era l’astro nascente di Fratelli d’Italia in Calabria ad esempio, a detta del neo pentito deve “il suo exploit elettorale al fatto che, così come io avevo dialogato con i Serraino per ottenere voti, Nicolò dialogava con i Libri”. E non faceva alcunché per nasconderlo, tanto da chiamare in segreteria politica anche il padre di Anita Repaci, dunque il suocero di Filippo Chirico, reggente del clan Libri e sospettato di aver avuto un ruolo nell’omicidio del padre del politico.
Nicolò, spiega, ne “ricordava spesso la figura commuovendosi e non parlava volentieri della sua vicenda”. Eppure, nel ring politico elettorale non ha esitato a coinvolgere Repaci. Pubblicamente Una mossa che anche a Vecchio è risultata “inopportuna”, ma lui – mette a verbale – “fece scivolare il discorso”. Stesse obiezioni, racconta il neopentito, erano state sollevate da altri. Ma con tutti Nicolò aveva difeso quella scelta. Il motivo non sa dirlo neanche Vecchio, di certo però “nel nostro ambiente” della cosa si parlava. “Qualcuno pensava che la chiamata di Repaci nella segreteria fosse stata chiesta, o in qualche modo imposta, dalla cosca Libri e fosse funzionale ad allontanare i sospetti su Filippo Chirico. Il fatto che il suocero di Chirico lavorasse con Nicolò poteva indurre, all’esterno, a non alimentare sospetti su Chirico circa la scomparsa del padre dell’uomo politico”.

L’alleanza larga per le regionali
Ma l’allora astro nascente del partito di Giorgia Meloni, nel 2010 quando ha fatto il gran salto in Regione, ha incassato anche l’appoggio di un altro storico clan. Fabio Giardiniere, genero di Mico Serraino – racconta Vecchio – nel frattempo si era allontanato da me (a seguito delle incomprensioni e delle lamentele per il mio comportamento postelettorale) ed appoggiò Sandro Nicolò”. Una cesura che il luogotenente del clan ha deciso di rendere palese e manifesta. “Volle fare mettere un manifesto di Sandro Nicolò affisso alla porta del suo supermercato a San Sperato. Fu una cosa plateale, una manifestazione esplicita dell’appoggio della cosca al politico. So che intervennero addirittura i Carabinieri, facendolo rimuovere”.

Il “Sistema” della ‘Ndrangheta che governa
Episodi di cui probabilmente potrà riferire anche Maurizio Cortese, che dei Serraino è stato reggente per lungo tempo, prima di pentirsi dopo l’ennesimo arresto. Quarant’anni la maggior parte dei quali passati dietro le sbarre, Cortese – sentito per la prima volta al processo Gotha – nonostante fosse elemento di rango, ha dovuto capire dall’esterno che nella ‘Ndrangheta di cui si sentiva un capo c’era un livello anche per lui inaccessibile. Lo chiama “sistema”, lo racconta quasi come un elemento estraneo a quell’organizzazione di cui sentiva di far parte perché “contaminato” dai rapporti con politica, massoneria, apparati dello Stato. Ma alla fine è lui stesso ad ammettere “chi si contrappone viene emarginato”. Perché quella la ‘Ndrangheta che davvero decide e governa e non esita neanche un secondo a fagocitare e “bruciare” chi sta sotto. E lui, racconta Cortese, lo ha sperimentato sulla propria pelle.

Paolo Romeo alla Festa del Mare 2011 mentre ascolta Nicolò

Romeo, De Stefano e il “livello superiore”
La “’Ndrangheta moderna” la chiama Cortese. Che senza esitazione ne indica anche gli elementi di vertice negli avvocati Giorgio De Stefano, condannato in primo e in secondo grado del processo Gotha con rito abbreviato come elemento della direzione strategica, e Paolo Romeo, che affronta la medesima accusa in ordinario. “Non facevano parte della ‘Ndrangheta ‘vecchio modello’” dice il giovane boss pentito, ma “di un sistema di potere superiore di quello della ‘Ndrangheta tradizionale. Paolo Romeo non credo che era affiliato, ma faceva parte di questo sistema superiore che dirigeva la ‘Ndrangheta”. Informazioni arrivate da fonte sicura, il boss Pietro Labate che – racconta “mi disse di rispettarli perché sono delle brave persone. Non intendo che facevano beneficienza alla Caritas, ma che erano persone di cui ci si poteva fidare”. E che contavano. Entrambi, afferma, facevano parte del “Sistema” che a Reggio tutto governa. Non a caso, racconta, “Romeo aveva un circolo nautico e mi era stata fatta una battuta: che il Comune non era al Comune ma in questo circolo. Chi aveva un problema da risolvere si rivolgeva a Romeo”.

Informazioni riservate e canali preferenziali
A chi viene concesso di entrare o avvicinarsi a quel mondo – spiega – si aprono canali e rapporti di tipo diverso. Come successo a Mimmo Morabito, arrestato con lui nell’operazione “Pedigree”. Lui, dice, “collaborava con i carabinieri, con i servizi segreti e che faceva parte della massoneria. Morabito mi faceva sapere quando scattavano le operazioni o quando dovevo ricevere una perquisizione. Mi informava delle indagini e delle microspie che avevano messo in varie parti della città. Tutte queste cose me le faceva sapere perché lui riceveva notizie dalle forze dell’ordine. Morabito faceva parte del sistema”.

Il livello riservato secondo il pentito De Carlo
Usa termini diversi per definirla, ma conferma l’esistenza di un diverso, più esclusivo e più decisivo di ‘Ndrangheta anche Maurizio De Carlo. Imprenditore cresciuto all’interno del clan De Stefano, poi imparentatosi con i Molinetti, De Carlo per decenni – si legge nelle carte dell’inchiesta Malefix – è stato uno dei burattini “che gestivano l’apparato aziendale riconducibile ai De Stefano ed a costoro dovevano render conto”. Un ruolo importante. Eppure, neanche lui aveva accesso a certi livelli di conoscenza.
“Spesso e volentieri partecipavo anche agli incontri con Giovanni De Stefano – dice, ascoltato da testimone al processo Gotha – Quando si parlava di cose super riservate non mi faceva partecipare. Quando parlavano di discorsi inerenti alla politica, a me non mi facevano partecipare. Ci sono delle persone riservate che li chiamavano gli invisibili all’interno della cosca De Stefano. Persone che neanche io conosco”. Di una cosa però è certa, della famiglia tutta “l’avvocato Giorgio è una figura apicale, un ago della bilancia da cui dipendono tutti”. E lui a decidere le strategie.Le strategie elettorali per governare le municipalizzate
Per prendersi il Comune di Reggio Calabria, gli arcoti – racconta – hanno puntato su due persone. Nino Fiume, oggi pentito ma per decenni ombra e proiezione del capocrimine Peppe De Stefano “ha fatto una forte campagna elettorale per l’ex presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti”.
Il secondo politico del clan era invece Antonio Caridi “anche lui – dice De Carlo – sponsorizzato dalla cosca De Stefano e soprattutto da Franco Chirico. Stavano nascendo le municipalizzate, come la Leonia, e ci volevano delle persone. C’era il senatore Caridi e tramite lui i De Stefano sapevano quello che succedeva all’interno delle municipalizzate”. Quelle poste alla base dei nuovi equilibri della ‘Ndrangheta a Reggio – ha affermato il processo Meta – ancora prima che nascessero. Ma nessuno poteva accedere direttamente a Caridi. Il suo era un ruolo riservato. “Se avevo bisogno di un posto, ne parlavo con Giovanni De Stefano e lui ne parlava con chi di competenza. Io – dice De Carlo – non potevo andare dal senatore”. Su di lui, i massimi vertici dei clan reggini avevano fatto un investimento a lungo termine.