Cozzolino, scarpe grosse cervello fino

Il giudice Cozzolino: scarpe grosse cervello fino...

E’ un giorno di lavoro come tanti altri in procura, ma non per quel duro di un Cozzolino. Lì, dentro quelle ombrose stanze, nell’anno del Signore 2011, quel segugio di un Cozzolino sta torchiando di brutto un indagato. Lui, l’investigatore dello spasmo (nel senso che le sue inchieste sono sempre al cardiopalma), è un tipo che non va tanto per il sottile.

E’ uno risoluto negli interrogatori, va dritto alla domanda, tipo quelle che sentiamo sempre in tv : dov’ eri la sera del giorno y alle ore x ? Se ti punta non ti lascia di piede. Non a caso i casi (scusatemi la ripetizione) più scottanti, quella vecchia volpe di un Granieri li affida sempre a lui.

Se potrebbi descriverlo parafrasando un vecchio adagio io dicessi: Cozzolino scarpe grosse e cervello fino.

Un vero e proprio “mastino napoletano”, per spaziare anche un po’ nella veterinaria, restando però nell’agreste. Lui è uno che i reati li annusa a distanza, così come i delinquenti. Ne sente l’odore prima degli altri. Un fiuto dimostrato direttamente sulla scena del crimine. E’ sempre lui a cogliere il particolare che nessuno ha notato. Il tassello mancante. La chiave di volta. Intuizioni accompagnate sempre da una attenta osservazione di tutto ciò che compone la scena del crimine. Uno sguardo qua, una riflessione là, una folgorazione lì, e il caso è risolto.

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L’uomo che quel tardo pomeriggio l’investigatore dello spasmo sta torchiando a dovere è lì lì per cedere sotto l’incalzante pressione delle sue insidiose, nonché puntuali e mirate domande. L’atmosfera è tesa nella stanza. L’uomo, accompagnato dal suo avvocato di fiducia, vibra sotto i decibel che l’inquisitrice voce emana. Vibrazioni che scuotono anche l’impressionato avvocato che nulla riesce a replicare a quella corda tesa di un Cozzolino.

Non resta altro da fare che vuotare il sacco. Ha talmente tante prove dalla sua quella grancassa di un Cozzolino che nessuna evidenza può essere più negata. Fosse anche il più incallito dei bugiardi.

E così, il signor Aniello Bafaro, che di bugie ne ha dette tante allo stato e al fisco, su esortazione del suo avvocato Annalisa Roseti, inizia a cantarsela. Confessa di aver truffato lo stato e i cittadini, organizzando i soliti finti corsi di formazione. Il famoso carrozzone dei carrozzoni.

Una macchina mangiasoldi mai vista. Un mostro abnorme che ha divorato denaro, futuro e speranza a migliaia e migliaia di giovani e non. Il “luogo” perfetto che garantisce tutte le condizioni per imbrogliare, truffare e rubare denaro pubblico. Una sorta di “zona franca”, quella dei corsi di formazione, praticata da politici imbroglioni, che con la complicità, lautamente pagata, di dirigenti e funzionari pubblici e lazzaroni di ogni specie la utilizzano per organizzare il proprio consenso elettorale; attraverso l’elargizione di una elemosina che umilia la dignità dei cosiddetti “corsisti”, ma che, per bisogno o per ricatto nessuno può rifiutare. Certo è che se non ci fosse chi accettasse di partecipare a queste truffe – che poi spesso e volentieri, come vedremo, a restarci impigliati in questa rete sono anche coloro i quali alla fine hanno preso 300 euro senza mai andare, mettendo solo il nome – non ci sarebbero gli imbroglioni, e chi prende i soldi sarebbe costretto a fare veramente il corso. Ma io vi invito a non farvi gabbo. Non sempre siamo in grado di capire che cosa vuol dire per ognuno di noi il bisogno.

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E’ chi lo usa come arma di ricatto che è becero, non chi accetta “l’offerta”. A questi si può imputare di alimentare un sistema che alla fine non paga. Attagna sì la fame di oggi, ma non garantisce il pranzo di domani. Ma in fondo chi sono io per dire è meglio la gallina domani piuttosto che l’uovo oggi? Posso però dire che se questa “pratica” influenza la vita democratica della comunità, allora non va più bene.

Se lo scambio è: il corso di tre mesi in cambio del voto, voi capite che è una questione di democrazia. Specie se quel voto permette ai soliti politici imbroglioni di continuare ad amministrare la cosa pubblica e, se mi permettete, anche la nostra perenne povertà. Fuori dal gabbo dico che è arrivato il momento di dire no a questi truffatori, anche quando sono i nostri datori di lavoro; perché se così fanno vuol dire che poco ci tengono al lavoro vero.

Se invece di specializzarvi per migliorare l’azienda pensano solo a rubare, come può crescere una azienda? Questa si sa è l’anticamera del fallimento e dunque del licenziamento. Bisognerebbe ritrovare il coraggio dei nostri nonni e delle nostre nonne, ai quali dobbiamo il nostro benessere, che ha permesso loro di rifiutare nonostante la fame, l’uovo oggi, se questo comprometteva il domani dei loro figli e nipoti. Oramai lo abbiamo capito tutti, questi corsi sono una sola, che sottraggono denaro importante che potrebbe essere impiegato meglio. Invece sono anni e anni che assistiamo a questo ignobile magna magna, in vergognoso silenzio. Prendiamo quella elemosina e tiriamo a campare.

In poche parole funziona così: il politico lazzarone indica al dirigente responsabile le società o l’associazione da favorire per l’assegnazione dei fondi per la formazione di questo o di quel por, di questa o di quell’ asse. L’ente nomina una commissione interna, ovviamente composta sempre dai solti amici degli amici che stila una graduatoria provvisoria degli aventi diritto al finanziamento, nella quale, secondo parametri del tutto arbitrari, a prescindere, rientrano gli amici prima di tutto. Dopodichè se ne rimane, si inizia a far girare la lista provvisoria sondando chi è disponibile ad appattarsi alla modica cifra del 5% sul totale del finanziamento.

E’ ovvio che per gli onesti in questo girone dantesco non c’è posto. Infatti questi corsi oltre a non formare nessuno, sono sempre gli stessi: parrucchieri, unghie, estetista. Ma davvero c’è qualcuno che pensa ancora che queste siano le professionalità che servono alla Calabria? Infatti posti di lavoro creati pari zero. Sono tutti corsi fittizi. Dove a guadagnarci, oltre ai politici e pubblici dipendenti corrotti, sono i soliti professionisti. Consulenze di tutoraggio per ogni cosa che costano fior di quattrini.

Professori di ogni materia e specializzati in tutto. Un giro di soldi spaventoso che finisce nelle tasche di chi ha già tanto: la middle class cosentina. Sfruttando la nostra miseria, e con il nostro , seppur taciuto, consenso. Loro la sera al ristorante, e noi agliu e uagliu. Che è un signor piatto, per carità, ad averlo sempre.

Ma ogni tanto anche noi vorremmo portare la famiglia nei famosi ristoranti pieni. Un politico normale che ha chiare le cose, promuove specializzazione che serve al territorio, riconvertendo magari molta mano d’opera fuoriuscita da talune ottocentesche produzioni. In una visione di recupero reale dei nostri territori, e del suo enorme patrimonio storico/architettonico, visto che i soldi “europei” arrivano per queste cose, servono che so: scalpellini, posatori, stuccatori, carpentieri del legno e del metallo, fabbri, intarsiatori, pittori, falegnami, idraulici,   informatici, agricoltori, enogastronomia, geologi, agronomi, matematici, storici, artisti, musicisti, e chi più ne ha più ne metta. Non i corsi per le unghie!

Ritorniamo alla storia. Il signor Aniello Bafaro, l’uomo caduto nella rete di quel pescatore di un Cozzolino, è, all’epoca dei fatti, il legale rappresentante di una onlus: Associazione Promoteo. Molto attiva da tanti anni nel campo della formazione. E’ seduto lì sulla sedia davanti a quel ficcanaso di un Cozzolino, perché è accusato di essere a capo di una associazione a delinquere dedita alla truffa allo stato. Organizzava in combutta con altri corsi fantasma facendo sparire i soldi attraverso incarichi fittizi e fatture false. Una giostra che girava bene fino a quel giorno.

Nello specifico è accusato di aver organizzato diversi corsi ad Amantea e di aver truffato allo stato qualcosa come oltre mezzo milione di euro. Di quello che si sa. Nella truffa è imputato anche il noto produttore di fichi Colavolpe, oltre a quasi tutti i corsisti. In totale 107 indagati e 57 aziende coinvolte. L’inchiesta fa riferimento a reati commessi nel lontano 2008, e scoperta dalla Finanza solo nel 2011. Cioè tre anni dopo i fatti: quella che sto per raccontarvi è una storia che squarcia il velo della finta onestà con cui si continua ad ammantare la città.

Mettetevi comodi che la storia inizia.

(1 – Continua)

GdD