Quindici anni senza Antonino Catera

Quindici anni fa, il 16 gennaio 2006, moriva tragicamente colpito da infarto mentre saliva le scale del consiglio comunale di Cosenza il giornalista Antonino Catera. Una giornata che nessuno di noi che l’ha vissuta potrà mai dimenticare. Così come il protagonista di quella giornata, un Uomo con la U maiuscola. 

“Libertà vo cercando ch’è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta”

Il tema della libertà attraversa tutta la storia del pensiero dell’uomo. La difficoltà del vivere liberamente dipende dalla capacità di decidere cosa è il bene e cosa è il male. La questione dunque è il discernimento.

La citazione è di Dante Alighieri. Divina Commedia. Siamo agli inizi del XIII secolo. Chi pronuncia quella frase è Catone l’Uticense, I secolo avanti Cristo. Si uccide. Dante lo mette nell’Inferno, ma a custodire le porte del Purgatorio. Si uccide per non perdere la sua libertà e perchè non cessasse la libertà del Senato romano. E’ quasi salvo. Catone è messo a guardia del Purgatorio nonostante si sia suicidato. Il motivo è comprensibile: si è suicidato non per motivi egoistici, ma per ribadire il valore della libertà.

Alessandro Bozzo non ce l’ha fatta a continuare a protestare contro un sistema marcio ed infame che permette ai Sansonetti e simili di sguazzare e fare soldi a palate e a quelli come noi di essere fatti a pezzettini.

Sono sempre i più sensibili che se ne vanno, spremuti come limoni, annullati nella loro dignità di uomini e donne e “derubati” della loro vita privata, schiacciati da un sistema spietato e schifoso nel quale o ti adegui alle voci dei padroni o ti fanno fuori.

Al nobile Antonino Catera del Quotidiano non ha retto il cuore. Oggi sono esattamente dieci anni che è morto d’infarto sulle scale di Palazzo dei Bruzi.

Bozzo, che era decisamente più prosaico, non gliel’ha data vinta e si è chiamato fuori in maniera eclatante: l’ha deciso lui!

Antonino e Alessandro sono due facce della stessa medaglia. E ricordarli è sempre un rischio perché si rischia di cadere nella solita retorica e di non fare un buon servizio a nessuno.

Antonino e Alessandro sono stati due vittime di un sistema maledetto che ormai sta arrivando alla fine. Dopo le radio e le tivu libere (come si chiamavano una volta), dopo i giornali, il web ha sotterrato tutti. Ognuno diventa editore di se stesso. Un passaggio che i giornalisti, almeno dalle nostre parti, non hanno afferrato. La caccia all’editore per fortuna è finita. Nessuno di noi cadrà più com’è accaduto ad Antonino e Alessandro. Nessun editore e nessun direttore potrà dettarci la linea o la deontologia. Anche se c’è ancora qualcuno che corre dietro ai massomafiosi travestiti da editori. Un’altra farsa che durerà poco, pochissimo. 

A Catera mi legano dieci anni di amicizia. Nonostante fosse toccato proprio a lui prendere il mio posto di caposervizio della cronaca di Cosenza al Quotidiano nell’anno di grazia 2005. La redazione si era spaccata in due perché c’era qualcuno che si sentiva pronto per fare il grande passo e aveva rovinato tutto. E Antonino si era ritrovato in mezzo a questo casino col suo animo nobile, incapace di portare rancore a nessuno e costantemente impegnato a portare pace.

Eravamo insieme a Roma a sostenere l’esame orale per diventare professionisti: Carchidi-Catera. Era un po’ come a scuola. Andò tutto bene. Per noi era stata una conquista eccezionale dopo 15 anni di abusivismo perché la Casta dei giornalisti non riconosceva il lavoro fatto nelle radio e nelle tivu libere per me e nei giornali che non fossero la Gazzetta del Sud per lui. Era il periodo in cui andavamo tutti d’amore e d’accordo. Purtroppo non è durata.

Ma la dimostrazione d’affetto più sincera, Antonino me l’aveva data quando gli avevano dato il mio posto. Andò dal direttore e gli chiese se era possibile inserirmi ugualmente nel settore della cronaca (perché io ero stato trasferito “per punizione” allo sport, dal quale tra l’altro arrivavo) anche se non ero più il “capo”. Il direttore gli disse di no. Ma Catera aveva dimostrato ancora una volta quanto fosse nobile di animo. (g. c.)