Donzelli, un boomerang per Giorgia

Se il cesso è sempre in fondo a destra, anche la stupidità e l’ignoranza, come il cesso, si trovano in fondo al centrodestra: la latrina d’Italia. Un luogo squallido e puzzolente dove abitano personaggi abituati a galleggiare nell’acqua di fogna come dei veri e propri stronzi. Che è la materia prima che ha plasmato i defecati dalla storia che oggi governano il paese. Tra questi, modellato direttamente dalla Meloni a sua immagine e somiglianza, tale Giovanni Donzelli vicepresidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR), con un passato e un presente da fascista. Donzelli, cresciuto nel melmoso rancore di chi pensa che si stava meglio quando c’era lui, è la rappresentazione plastica di una destra nostalgica che si finge democratica ma che non ha mai smesso di pensare al potere come strumento di sottomissione totale del popolo al volere politico, e come arma per eliminare dissidenti e oppositori. Ma non è solo questa la qualità di Donzelli, a renderlo degno rappresentante di questa rozza destra, e quindi lo zerbino perfetto di Giorgia, la sua spaventosa, e a tratti demenziale, inadeguatezza a ricoprire qualsivoglia ruolo istituzionale per totale mancanza di senso dello stato, rispetto per le istituzioni, e di neuroni.

Tutte caratteristiche che in Donzelli, più degli altri, risultano evidenti anche ad occhio nudo. La sua estrema stupidità, figlia dalla sua meschina arroganza politica, e l’incapacità di valutare le conseguenze di ciò che dice – tipico di chi pensa che chi governa può fare e dire tutto quello che agli altri cittadini è vietato -, fanno di lui un vero e proprio campione mondiale del tiro del boomerang. E le sue parole pronunciate ieri in aula, lo dimostrano senza ombra di dubbio.

I fatti: la Meloni, impegnata da 100 giorni a nascondere la sua inettitudine a governare e la sue menzogne elettorali irrealizzabili, aveva chiesto al suo cerchio magico di studiare qualche “arma di distrazione di massa” per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da altre faccende “governative” che dovevano e devono passare in sordina e restare, il più possibile, fuori dal pubblico dibattito. Tra queste la riforma della Giustizia, che per gli alleati della Meloni, zio Silvio in testa, significa solo ed esclusivamente mettere uno stop alle intercettazioni che riguardano i potenti e intoccabili “amici degli amici” della terra di sopra. Per tutti gli altri vanno bene. Un tema osteggiato da gran parte della magistratura e non per senso di giustizia, ma per non perdere una importante arma di ricatto nei confronti della politica. Anche se la critica ufficiale al governo è quella di voler privare le procure di un importante strumento investigativo nella lotta alla mafia e ai colletti bianchi corrotti. Riformare la Giustizia in Italia è sempre stata una impresa che nessuno è riuscito a compiere fino in fondo, ed è per questo che la Meloni, consapevole di dover accontentare chi vuole lo stop alle intercettazione e di tutte le difficoltà del caso, aveva studiato bene a tavolino come evitare che il suo governo venisse accusato dall’opinione pubblica di voler fare un favore, abolendo le intercettazioni, a mafiosi e corrotti, ed è così che spunta fuori “l’affaire Messina Denaro”.

Con l’aiuto del Ros, che hanno mediato per conto dello stato la resa del boss, la cattura di Messina Denaro doveva occultare ogni possibile pubblica accusa al governo di voler favorire mafiosi e corrotti: “noi i latitanti li catturiamo e la mafia la combattiamo con i fatti”. Così disse il governo, convinto di essersi creato l’alibi perfetto da esibire all’opinione pubblica come prova della loro serietà nella lotta alla mafia. Una genialata che secondo la Meloni avrebbe dovuto anche annullare le critiche di chi li accusa di essere filo massomafiosi. Ma le cose non sono andate proprio come le aveva pensate il governo Meloni, e la cattura del boss dei boss che girava liberamente nel suo paese, si è tramutata, per manifesta incapacità anche a strutturare e eseguire un “banale piano di depistaggio dell’opinione pubblica”, in una telenovela di quart’ordine dove gli argomenti sono diventati, a dispetto di quello che tutti si aspettavano, le amanti, i preservativi, l’abbigliamento, lo stile, le abitudini sessuali, e i gusti alimentari del boss. Tutti hanno capito la truffa che si cela dietro l’arresto dell’ex super latitante, e quello che doveva servire come maquillage al governo per nascondere la loro appartenenza alla “cricca di potere”, si è trasformato in un boomerang. La loro stupidità non ha confini.

Esaurito, per avvenuto sgamo nazionale, l’argomento di distrazione di massa Messina Denaro, la Meloni e il suo cerchio magico, disperati per il fallimento dell’operazione, hanno pensato bene di mettere in scena un’altra finta emergenza sempre per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da faccende ben più importanti che devono passare in sordina. Su tutte le intercettazioni, cavallo di battaglia del ministro Nordio, messo lì apposta. E come succede storicamente, una bella emergenza terrorismo anarchico, a copertura degli intrallazzi, ci sta proprio bene. Da piazza Fontana in poi gli anarchici vanno bene per ogni occasione. L’occasione giunge con l’inizio dello sciopero della fame di Alfredo Cospito, anarchico detenuto che, senza voler fare ironia a tutti i costi, arriva come il cacio sui maccheroni della Meloni. Su qualche macchina incendiata qua e là, imbastiscono una emergenza che non solo finisce su tutte le pagine dei giornali e nei titoli di apertura di tutti i tg, scavalcando Messina Denaro, ma addirittura mobilita il governo con una conferenza stampa di tre ministri, fino ad arrivare nell’aula del parlamento con l’intervento di Donzelli. Che era stato incaricato dalla Meloni di intervenire sull’emergenza terrorismo anarchico e sulla fermezza del governo sul 41 bis.

Ma Donzelli, che di neuroni ne ha uno, nella foga di compiacere la capa, forte della sua innata stupidità, e andato oltre divulgando, pensando di aver fatto una genialata associando Cospito alla mafia, intercettazioni segretate captate all’interno della sezione carceraria del 41 bis. A fornire le intercettazioni che non dicono nulla, espressioni fugaci tra detenuti al 41 bis esternate dallo spioncino a Cospito durante il suo passaggio nel corridoio per andare in infermeria, un altro che di neuroni non ne ha neanche uno: il sottosegretario alla Giustizia coinquilino di Donzelli, Andrea Delmastro Delle Vedove. Un vero e proprio sucido assistito, quello di Donzelli ieri in aula durante il suo intervento, assistito dalla sua stessa stupidità e dai cretini che gli stanno attorno. Un altro boomerang per la Meloni che non ne azzecca una. Voleva creare un diversivo e una unità parlamentare rievocando “la linea della fermezza dei tempi del rapimento Moro” per evitare attriti interni alla maggioranza e con l’opposizione, e invece è finita come per Messina Denaro, sgamata dall’opinione pubblica: parlano di voler impedire la divulgazione delle intercettazioni, e poi sono i primi che ne fanno un uso illegale e politicamente scorretto. È questo quello che oggi ha capito ancora una volta la gente dell’azione di questo governo la cui stupidità rasenta l’idiozia.

La miglior sintesi di questa ennesima pagliacciata del governo arriva proprio dal suo interno e precisamente da Forza Italia, che rivolgendosi ironicamente al governo dice: siamo passati dalle intercettazioni sui giornali, alle intercettazioni negli atti parlamentari. Se ci fosse ancora Emilio Fede a condurre il Tg di Berlusconi direbbe sicuramente: che figura di merda! Speriamo che continuano cosi.