Faida M5S su bozza e armi, Di Maio (finalmente!) rischia l’espulsione

(DI PAOLA ZANCA – Il Fatto Quotidiano) – L’ultima fotografia per cornice ha il golfo di Gaeta. Niente mare: i quattro indossano tailleur, giacche e cravatte. Sono ministri e viceministri del Movimento 5 Stelle: uniti da un convegno, divisi su tutto il resto. Luigi Di Maio, l’ex capo che ha deciso di aprire il processo a Giuseppe Conte dopo il flop alle amministrative, ha dalla sua Laura Castelli che ieri, proprio a Gaeta, ha annunciato che non voterà mai una risoluzione in cui si chieda lo stop all’invio di armi in Ucraina. Poi c’è Stefano Patuanelli, il titolare delle Politiche agricole e fedelissimo contiano, che liquida la faida aperta dal ministro degli Esteri dicendo che lui deve “occuparsi delle cavallette in Sardegna”. Con lui, la viceministra Alessandra Todde che invece la prende sul serio: “Se stiamo per cacciare Di Maio? Parlando in una certa modalità, ci si pone fuori dal Movimento. Abbiamo organi interni in cui dibattere, il consiglio nazionale, la discussione va fatta lì”. Todde, en passant, è anche una dei vicepresidenti che affianca Conte nella guida del Movimento. Ed è con questa frase che di fatto annuncia l’intenzione dei vertici di sottoporre Di Maio a un procedimento interno che può arrivare all’espulsione. La scelta non è ancora stata presa, anche se – ragionano – le motivazioni per cacciarlo ci sarebbero. Due espressamente previste dallo Statuto: il divieto di organizzare “cordate e correnti”, come quella dimaiana; e lo stigma verso “comportamenti suscettibili di pregiudicare l’immagine o l’azione politica del M5S”, come nel caso della questione Ucraina.

È proprio su questo punto che ieri Di Maio ha deciso di calare l’asso da peso massimo della Farnesina: se ci “disallineiamo dalla Nato” (con il no all’invio di armi, ndr) – ha detto – la “sicurezza dell’Italia è a rischio”. Poche ore prima nelle mani dei cronisti delle agenzie era finita una delle bozze che i parlamentari M5S hanno scritto in vista di martedì, quando Mario Draghi andrà in Parlamento prima del Consiglio europeo. Un testo radicale, di netta opposizione a nuove forniture belliche a Kiev. La tesi dei contiani è che sia stato fatto “circolare ad arte” per affondare Conte sul delicato tasto dell’atlantismo. E a riprova dell’operazione coordinata, i sostenitori dell’ex premier, citano la batteria di dichiarazioni che ne è seguita: uno dietro l’altro, dimaiani di vecchio e nuovo corso, a sparare contro il capo perché non li ha informati (Simona Nocerino), è ambiguo (Gianluca Vacca), prende i complimenti dell’ambasciatore russo (Primo Di Nicola).

Nel quartier generale contiano la prendono malissimo. Parla di “fango” il vicepresidente Gubitosa e tutti si telefonano per dirsi che “non si può lasciar correre”: “Il ministro degli Esteri lancia un’accusa gravissima – si infervorano – nemmeno i nostri peggiori detrattori hanno mai osato dire che mettiamo a repentaglio la sicurezza nazionale. Le sue parole non restano confinate a Gaeta, rimbalzano nelle ambasciate: si rende conto del danno che fa al governo?”. La replica dimaiana è altrettanto feroce, e ricorda tutte le “ambiguità” e “contraddizioni” che il titolare del governo deve sopportare quando gli chiedono da che parte sta il Movimento a cui è iscritto. Ma il punto, insistono i contiani, è che i 5Stelle hanno dimostrato lealtà a Draghi e ancora hanno intenzione di farlo, visto che stanno cercando di scrivere una risoluzione di maggioranza unitaria. Quella bozza, chiariscono, “è vecchia” ed è una delle tante versioni buttate giù alla ricerca di un punto di caduta comune. Per i 5Stelle non è negoziabile un testo in cui non ci sia un coinvolgimento delle Camere nel caso di un quarto decreto sulle armi in Ucraina. Difficile che Draghi voglia concedere troppi margini al Parlamento. Tutto è rinviato a domani, quando il sottosegretario Amendola incontrerà i partiti per procedere alla stesura del testo. Sempre che Di Maio, con o senza espulsione, sia ancora nello stesso di Conte.