Gad Lerner: “Cari 5 Stelle, con l’attendismo non si fa una vera opposizione”

(DI GAD LERNER – Il Fatto Quotidiano) – Il Movimento 5 Stelle se ne sta lì immobile, appostato sulla riva del fiume, compiaciuto dei sondaggi che lo danno in crescita, e aspetta. Che cosa? Aspetta che gli scorra davanti il malcontento crescente per gli effetti indesiderati della riforma Cartabia. Aspetta che il governo si inventi un escamotage per non lasciare in mezzo alla strada gli “occupabili” che da luglio resteranno privi di Reddito di cittadinanza. Aspetta che si estenda fra la maggioranza degli italiani la preoccupazione di finire impantanati nell’escalation di una guerra senza via d’uscita. Aspetta che il Partito democratico continui a farsi male da solo, retrocedendo alle sue spalle nelle elezioni europee del 2024.

Mi chiedo, però, se immagazzinare consensi (teorici) in frigorifero, senza indicare nel contempo un disegno politico alternativo, possa rivelarsi davvero una strategia vincente. Giuseppe Conte ha vinto la sfida del primum vivere, ma persiste in lui una tendenza al rinvio dettata più da convenienze immediate che da una visione convincente del futuro. Quasi che la principale forza d’opposizione che il M5S aspira a diventare (anche se i numeri dell’attuale Parlamento dicono altro) potesse accontentarsi di giocare di rimessa.

Dei 5 Stelle, ormai, a dieci anni dal loro ingresso nelle istituzioni, conosciamo pregi e limiti. Hanno governato, bene o male, dimezzando i propri consensi, ma conservando un rapporto con fasce significative di cittadini che si sentono a ragione marginalizzati dal sistema, soprattutto nel Mezzogiorno. Difettano di radicamento territoriale, come dimostra la mancata rielezione dei loro sindaci nelle grandi città. In particolare, si è dissolta la loro iniziale capacità di rappresentare movimenti popolari ambientalisti, dalla Val di Susa a Taranto. Contraddicendo la loro ispirazione originaria di cittadinanza attiva, sembrano badare solo a giungere preparati alle future scadenze elettorali nazionali. Pur con tutti questi limiti, e nonostante una selezione maldestra della loro classe dirigente funestata da presenze dimenticabili, hanno espresso una leadership di governo credibile nella persona di Giuseppe Conte, e non solo.

A questo punto, però, è giusto chiedersi: il M5S intende solo cavalcarla così come capita, l’opposizione al governo della destra, o ha anche delle idee sul come costruirla? Vero è che Conte ha avviato un rapporto discreto con la Cgil di Landini e con le associazioni del cattolicesimo “francescano”, mantenendo l’accortezza di non sovrapporgli un marchio partitico. Ma nell’iniziativa parlamentare e nell’imminente scadenza delle elezioni regionali si direbbe che il M5S abbia scelto di non scegliere. Nel Lazio ha preferito rinunciare a vincere alleato col Pd. In Lombardia fa il contrario, appoggia Majorino, forse anche per evitare l’onta di finire quarto dietro la Moratti. Calcoli spiccioli, così come miope rischia di rivelarsi il proposito di aspettare che si consumi definitivamente la crisi del Pd, senza cercare fin d’ora interlocutori con cui delineare un progetto comune.

Ignoro se sia in corso un dibattito interno al M5S o se, a dispetto della volontà dichiarata di non ridursi a partito personale del leader, finirà per essere quello il suo destino. Di certo, però, l’attendismo non è mai una buona soluzione in politica. Mentre già s’intravede la crescita di un’opposizione extraparlamentare dal basso al governo della destra, ramificata nelle associazioni del volontariato, nei conflitti sindacali, nelle vertenze ambientali, nella difesa dei diritti civili, sarebbe interessante capire se il M5S è davvero cambiato. La sua irriducibile visione settaria degli inizi – niente alleanze, chi ci ama ci segua o si arrangi – l’ha già portato a sbattere più di una volta. I tempi duri che stiamo vivendo richiederebbero ben altra apertura